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 Fr. Lorenzo di Lenzio da Prato. «Item die 3 eiusdem [= 3.X.1388] dedit seu assignavit terminum unius anni fratri Laurenzio Lentii de Prato, apostatae, ad intrandam aliam religionem, et hoc tam propter infirmitatem horribilem quam propter alias certas causas» (MOPH XIX, 84 § 334).

Fr. Pietro da Foligno, medico, espulso «propter partes», non sappiamo di quale natura (Masetti I, 371; testimonianza di fr. Giovanni dei Maiensi 1380, qualche cautela s’impone).

Di un innominato apostata del convento d’Orvieto riferiscono le Vitae fratrum di Gerardo da Frachet, riprese alla lettera dalla Cronaca conventuale (MOPH I, 53-54; Cr Ov 72-73).

Viterbo, convento di Santa Maria della Quercia. Interessante caso di Nicola Manni da Canepina (pr. Viterbo) per pendenze patrimoniali a seguito di apostasia, annotato da un libro di ricordanze del convento:

«Ricordo come oggi, questo dì 23 di marzo <1567>, doppo molte lite di piati fatti con messer Niccola Manni da Canapina, per conto della roba havuta di suo per vigore della bolla di papa Paulo IIII [1555-59] contro a li apostati et per virtù d'una lettera del govematore di Roma, faccemo uno acordo insieme: che detto messer Niccola Manni ci fece una quitanza generale di ciò che lui pretendeva di havere dal nostro convento per conto di dette sue robe, et cosi dall'altra banda gli promettemmo di non li dare più fastidio per conto della apostasia; et acioché l'una parte et l'altra fussi quietato, ci mettemo una pena di cinquecento scudi di questo accordo fatto, et faccemone contratto per mano di messer Giovanni Antonio Buonardi, cittadino romano et procuratore in Roma, sotto dì et anno sopradetto» (G. Ciprini, Canepina e la Madona della Quercia, Viterbo 1994, 15-16).

Fr. Domenico da Pistoia era assegnato («conventualis») in San Domenico in Camporegio di Siena quando disertò illegalmente l’ordine. I conventi senese e pistoiese rivendicano i beni dell’apostata. Il 13 giugno 1281 Giovanni di Svezia ed Ermanno da Minden, delegati del maestro dell’ordine, giudici sulla vertenza, soprintendono alla ripartizione: la Bíbbia al convento pistoíese, lire 25 pisane e l’In IV Sententiarum di Tommaso d’Aquino a quello senese.

Da regesto settecentesco ASS, Spoglio de’ Contratti dell’Archivio di S. Domenico, B 56, f. 171v. Diploma originale irreperibile nel fondo diplomatico di ASS; l’unica sotto la data, ASS, Archivio generale 13.VI.1281, è d’altro negozio. Nel 1281 il CG era stato tenuto in Firenze e la settimana di Pentecoste era la prima settimana di giugno. Priore di Siena era fr. Bonifacio da Massa (ASS, Patrim. resti eccles., S. Domenico 5.V.1281; cf. ib. 15.IX.1283). CG 1330: «Declaramus quod res et bona apostatarum debent ad conventus illos de quibus erant tempore quo apostatarunt, libere pertinere» (MOPH IV, 197/28-29).

Un altro caso pistoiese. Tardivo, ma implicante novità canoniche su "professione tacita" d'inizio Trecento, che potrebbe aver diversificato e arricchito la casistica. Le decretali Clementinae (promulgazione 25.X.1317) III, 9, 2 accolgono decreto conciliare di Vienne (1311-12) e dispongono:

«Eos qui deinceps in discretionis constituti aetate novitiorum habitum in aliqua religione per annum portaverint, hoc ipso religionem illam decernimus esse professos, nisi huiusmodi habitus in colore, scissura vel forma se distinctum patenter exhibeat ab habitu professorum» (ed. Ae. Friedberg II, 1166). discretionis etas = età minima per matrimonio, professione religiosa ecc., 12 anni per femmina, 14 per maschi.

è quanto accadde intorno ai decenni 1430-40 a fr. Raffaele da Pistoia OP, illegittimo figlio del pievano messer Vannino. Raffaele recede dopo l'anno di noviziato, diventa il notaio ser Raffaele, contrae matrimonio "de facto" con una pistoiese. Successivamente costei chiede annullamento, e sollecita tramite i frati domenicani il parere d'Antonino Pierozzi arcivescovo di Firenze. La risposta d'Antonino (10.XI.1450) argomenta su Clementinae III, 9 (De regularibus et transeuntibus ad religionem), 2: poiché presso i domenicani l'abito dei novizi non è diverso «distinctive patenter» ossia "palesemente differente" da quello dei professi, trascorso l'anno di noviziato Raffaele risulta professo tacito [cf. Sextus III, 24, 2 «tacite vel expresse professus»: Friedberg II, 1065] e religiosus censetur, inabile a contrarre matrimonio. Nullo pertanto è il suo contratto matrimoniale, e libera è la donna.

P. Vian, Una lettera inedita di sant'Antonino di Firenze a Lorenzo da Ripafratta (10 novembre 1450), AA. VV., Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae IV, Città del Vat. (Studi e Testi 338), 1990, 385-94.

Non la cronaca del convento senese ma il liber mortuorum, dei secolari cioè sepolti in San Domenico in Camporegio, registra nel 1344 la morte di Niccolò e nel 1348 quella del monaco Giovanni da Colle (Val d’Elsa), ambedue a suo tempo frati domenicani.

 «Nicolaus, qui fuit frater noster, nepos Betti de Montepolitiano, sepultus est die XXIII mensis septembris anno Domini 1344» (Cr Si 67 n. 610). «Dopnus Iohannes, monachus de Colle, olim frater noster, sepultus est die II iunii [1348]» (ib. 76 n. 809). «Fr. Iohannes de Colle senensis» nel 1313 studente in filosofia a Siena (MOPH XX, 190/6), nel 1317 inviato allo studio di Montpellier (ib. 204/26); tra i frati capitolari di Siena il 6.II.1307/8 (ASS, Spoglio de’ Contratti dell’Archivio di S. Domenico [1702], B 55, pp. 1-2; pergamena originale oggi irreperibile).

Due nomi del medesimo convento senese illustrano casi di transizione dalla regola certosina a quella domenicana, e d'abbandono e rientro nella stessa regola. Fr. Ambrogio del fu mr Luigi dei Sansedoni da Siena (non confondere con l’omonimo beato fr. Ambrogio di mr Bonatacca † 20.III.1287) aveva professato nella Certosa di Firenze; il giorno 22 marzo 1373 rinnova cautelativamente la professione e promette ubbidienza all’ordine dei Predicatori nel capitolo di San Domenico in Pistoia. Il 15 marzo 1373 suo fratello Pepo aveva testato in San Giovanni a Sugana, pieve del contado fiorentino, e oltreché disporre sepoltura nella chiesa domenicana del luogo ove morisse, aveva istituito eredi a metà i conventi domenicani di Siena e Firenze. Il 12 maggio 1376 il capitolo conventuale di Santa Maria Novella, presieduto dal priore fr. Iacopo degli Altoviti, nomina fr. Ambrogio procuratore nella riscossione dell’eredità di Pepo spettante al convento fiorentino, e con atto distinto si dichiara disposto all’accettazione dell’eredità «sub beneficio inventarii».

Tutto il caso in ASS, Patrim. resti eccles., S. Domenico 12.V.1376, lunga pergamena in cui sono esemplati e autenticati tutti gli atti per mano del notaio senese Giovanni di Luca, 11.XII.1383. Pistoia 22.III.1373:  «... in capitulo infrascripti conventus pistoriensis et testibus infrascriptis sponte et expresse ratíficavit et confirmavit professionem olím factam per ipsum in conventu fratrum cartusiensium extra Florentiam, prout patere dixit manu ser Angeli Latini notarii de Florentia, ipsamque professionem ratificando etiam ad cautelam clausis manibus iterum et de novo infra manus religiosi viri fr. Filippi ser Ugelli de Prato vicarii conventus pistoriensis ordinis predictorum Predicatorum recipientis vice et nomine venerabilís patris fratris Elie [= Elia Raymond maestro dell’ordine, d’obbedienza avignonese negli anni 1380-89] magistri ordinis suprascripti licet absentis»; segue formula della professione; presenti i frati Predicatori: «Antonii de Cancellariis de Pistorio lectoris, Dominici Porcellini baccellarii, Petri Iohannis de Florentia magistri loice, Nicholaio de Strezana, Marcuccii de Mevania, Nicholai Donatí de Florentia conventualis dictí conventus pistoriensis»; tra i testi: «fr. Gherardo Fredis de Pistorio, fr. Thomaxio de Carmignano ordinís fratrum Predicatorum».

Fr. Ambrogio è tra i frati capitolari di Siena giugno 1374 (ASS, Patrim. resti eccles., S. Domenico 16.VI.1374: «Ambrosius de Sansedonis»), priore in aprile 1390 (ASS, Spoglio.... B 56, ff. 23v-24r: 22.IV.1390), nel 1388 ottiene lunga serie di privilegi dal maestro dell’ordine (1380-99) Raimondo da Capua d’obbedienza romana (MOPH XIX, 83), nel 1392 provinciale di Terrasanta (ib. XIX, 212), muore il 31.VIII.1392 (Cr Si 15 n. 102).

Fr. Niccolò di Meo di Giovanni Sozzi era entrato nell’ordine giovanissimo. Ventenne, «sedotto dalle false lusinghe del mondo», era passato ad un ordine monastico (non è chiaro se per via di fatto o per legale transizione). In Siena in fin di vita riottiene l’abito domenicano. La cronaca conventuale ne registra la morte il 14 luglio 1424:

«Fr. Nicholaus Mei Iohannis Sozzi intravit ordinem in adolescentia sua in quo gratiose vixit usque ad annum vigesimun, factus vero diaconus, blanditiis fallacis seculi tractus, ordinem dimisit, assumens habitum monacalem quem pluribus annis tenens, in locis et eclesiis plurimis predicavit. Tandem Senas rediens percussus letali vulnere pestis ad gremium ordinis rediit humiliter et devote, et sumptis ecclesie sacramentis viam est universe carnis ingressus; cuius animan dignetur recepisse ille qui pro ea et aliis misericorditer fuit passus, amen. 14 iulii [1424]» (Cr Si 34 n. 150).

Altro apostata senese fr. Paolo di Bartolo, 1387 (MOPH XIX, 65 n° 38). Altri casi della provincia Romana nei registri (1380.99) di Raimondo da Capua (MOPH XIX, 64.65 n° 35, 84 n° 234, 87 n° 262, 95 n° 328).

Gli Annales (non la cronaca) cinquecenteschi di Santa Caterina di Pisa, che traggono informazioni dalle carte dell’archivio conventuale, danno notizia dell’apostata fr. Niccolò di Guercio morto nel 1358 (Annales 598; altri casi tardivi d’irregolari in Annales 601, 614). E dal Campione de’ beni del medesimo convento si ricava la notizia dall’apostasia di fr. Lando degli Erici in connessione col titolo di proprietà che i frati pisani rivendicano sui beni dell’apostata contro qualsiasi alienazione che costui avesse invalidamente disposto nel testamento dell’11 aprile 1348:

«Tre pezzi di terra posti nel comune di Quarto. Questi pezzi di terra funno di Lando degli Erici, lo quale in sua juventù fu frate Predicatore professo in dell’ordine, poi apostato, e stette infine a morte in del secolo, et che testamento fare con potea come frate: ciò che ordinò non valse né vale niente, onde in ogni sua cosa succede cone herede lo convento di frati Predicatori di Písa; e per questa cagione sono nostri questi tre pezzi di terra; tuttavia a cautela è appo noi il suo testamento, rogato a ser Ajuto notaio dell’Elba 1349, ind. i, iii id. Aprílis [11.IV.1349/8]; è fermato da ser Iohanni figliolo del ditto ser Ajuto (Annales 598-99 n. 1).

In San Romano di Lucca nel 1279 è questione d’una controversia connessa col novizio fr. Iacopuccio di Ranuccio; ma le lacerazíoni della pergamena rendono il documento d’incerta interpretazione: i frati rivendicano risarcimenti di danni subìti in seguito all’abbandono (legale per il novizio improfesso) dell’abito?

Capitolo San Romano di Lucca, 27.II.1279: «fr. Ubertinus d. Ardinghi de Florentia prior conventus fratrum Predicatorum de Luca, consensu et voluntate infrascriptorum fratrum dicti conventus videlicet fr. David, fr. Marchi, fr. Banduccii Pistoriensis, fr. Ubaldi Cari, fr. Bonaiuti Lucani, fr. Iacobi Urbevatani, fr. Orlandi Dati, fr. Bartholomei Melani, fr. Uguccionis de Perusio, fr. Andalo Lucani, fr. Corradi de Pistorio, fr. Opizi Lucani, fr. Iohannis de Castilione, fr. Taddei de Barga, fr. Orlandi de Quartiscianis, fr. Bruni Lumbardi, fr. Iohannis de Sancto Quirico, fr. Rainerii Lucani, fr. Bandini Lucani, fr. Cristiani Perusini, fr. Nicolai Durazi, fr. Iohannis Perusini, fr. Iacobi de Fulginio, fr. Nicolai Lucani, fr. Ughi Lucani et fr. Pauli Vernaccii» nominano procuratori i frati «Ricciardum et Marcum lucanos eiusdem o<rdinis coram iudice> ecclesiastico vel civili et ubique locorum tum in agendo quam <in de>fendendo occasione spoliationis quam dixerunt ipsis conventui et fratribus factam esse de fr. Iacopuccio novitio suprascripti ordinis et conventus filio Ranuccii Mordecastelli lucani et occasione excessuum et iniuriarum et gravamentum que dixerunt eis allata esse propterea et quacumque alia occasione» (ASL, Dipl. S. Romano 27.II.1279). Totale dei frati 28, di cui 27 capitolari (il secondo procuratore eletto è anche terzo dei capitolari).

Fr. Oddone Custore del fu Giovanni da Parma aveva professato come converso in San Romano e in seguito disertato l’ordine. Il 21 luglio 1285 in fin di vita chiede e ottiene d’esser riaccolto a tutti gli effetti quale frate converso del convento lucchese, rinnova la professione e devolve al convento denaro e beni mobili e immobili di sua proprietà in Lucca e altrove.

Lucca 21.VII.1285: «Oddo Custor condam Iohannis de Parma et qui nunc... moratur in civitate lucana…, existens in lecto infirmus..., dixit et confessus fuit et est, fr. Ubaldo de Pisscia ordinis fratrum Predicatorum vicario fr. Salvi príoris conventus fratrum Predicatorum de Luca,... quod ipse Oddo fuit et est frater conversus dicti ordinis et conventus et professus est in ipso ordine, et in ipso ordine stetit profexus ultra annum profexionis sue per sex menses et ultra cum habitu conversorum dicti ordinis, et quod ad dictum ordinem vult redire et induí habitu conversorum dicti ordinis et sepelliri in cimiterio fratrum et conventus Predicatorum de Luca, et fecit promissionem et obedientiam eidem fr. Ubaldo (...). Et voluít quod pecunía tota et omnia alia sua bona mobilia et immobilia que habet in civitate lucana et extra... quod ad dictum conventum pertineri (...). Qui vero fr. Ubaldus, vicariatus nomine pro dicto priore et suis successoribus, eundem Oddum misericorditer recepit ad obedientiam suprascripti príoris et ordinis et conventus in fratrem conversum... investiendo eundem de omnibus et in omnibus beneficiis et singulis suprascrípti ordinis» (ASL, Dipl. S. Romano 21.VII.1285).

Anche fr. Enrico «de Dure», professo del medesimo convento, aveva abbandonato di sua iniziativa il convento ed era stato accolto da un monastero benedettino in diocesi di Luni. Dietro ricorso del priore domenicano di Lucca, l’8 agosto 1290 papa Niccolò IV dà mandato al canonico pistoiese Ranetto da Maona di costringere il priore del monastero benedettino a rilasciare fr. Enrico perché torni all’ubbídienza del priore di San Romano.

Nicolaus episcopus servus servorum Dei dilecto filio Raynetto de Maona canonico pistoriensi salutem et apostolicam benedictionem.

Sua nobis . (lac.) . prior et conventus domus fratrum ordinis Predicatorum lucan(orum) petitionem monstrarunt quod Henricus de Dure, frater professus eiusdem domus et ordinis, de domo ipsa in qua tunc de mandato dicti prioris degebat, propria temeritate recedens ad monasterium de Monte ordinis sancti Benedieti lunensis diocesis se transferre temerario ausu presumpsit; quem . (lac.) . prior et conventus eiusdem monasterii per priorem soliti gubemari recipientes ibidem eum sub ipsius ordinis sancti Benedicti habitu indebite detinent in anime ipsius fratris periculum, plurimorum scandalum et ipsorum prioris et conventus Predicatorum iniuriam et contemptum. Quocirca discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatinus, si est ita, predictum fr. Henricum quod ad prefatum ordinem Predicatorum redeat sub sui prioris obedientia moraturus, dictosque priorem et conventum de Monte quod illum a monasterio ipso libere abire permittant, monitione premissa per consuetam ecclesiasticam appellationem remota previa ratione compellas. -  Datum apud Urbeveterem VI idus augusti, pontíficatus nostri anno tertio (ASL, Dipl. S. Romano 8.VIII.1291).

Di tutt’altro significato la rimozione dell’abito religioso a fr. Giovanni da Spello, figlio del convento perugino. Non si tratta né d’espulsione né di pena alcuna. Caso da segnalare tuttavia perché rivelatore del rapporto tra comunità e individuo quando quest’ultimo, benché innocente, sia inidoneo a garantire il pubblico decoro della comunità religiosa. Fr. Giovanni era entrato giovanissimo in religione. Già suddiacono, cade in un grave stato di amenza. Gli vien tolto l’abito dell’ordine. Ma non è abbandonato da Dio, aggiunge subito il cronista. Giovanni si aggira ebete nei locali del convento, mite e servizievole. Lava i panni altrui con una lisciva di sua confezione, spazza le ufficine dei frati conversi, raccatta fascine da ardere nel camino conventuale. Giorno dopo giorno così, fino alla morte. Soltanto i funerali gli restituiscono, insieme con l’abito, la dignità di frate. Un articolo biografico insolito che spezza il cliché del frasario eulogico elaborato dal cronista perugino, e da quello orvietano, per i frati deceduti da tempo, dei quali conosce poco più che il nome. Consueti atti domesticí danno realtà a un quotidiano doloroso. Pudore di famiglia e simpatia personale ispirano la pagina del cronista. Soltanto alla lettura distante per tempi e sensibilità, la tessitura del testo rilascia l’involontaria ironia del cronista.

Cr Pg ff. 33v-34r: «Fr. Iohannes de Spello, in sua iuvenili etate receptus est Perusii ad ordinem; nondum enim Fulginei habebatur conventus. Qui fu<n>ctus subdiaconatus officio, ad paucos annos postmodum effectus est amens et mali sensus et capitis, perdens iudicium rationis. Qua de causa ablatus est ei habitus ordinis. Deus autem, qui in servis suis miseretur, non eum deseruit sed donans illi humilitatis meritum; nam tota sua potentia et virtute est amplexatus perfectissimam humilitatem, numquam fratri denegans servicium aliquod sed paratus semper omnibus obedire. Nam ex lisivio facto per eum lavabat omnium pannos, necnon tam claustrum quam refectorium et omnes officinas conventus scopa suis manibus ipse mundabat. En et lingna minuta congregabat ad utilitatem comunem, numquam otio vacare valens. Ista usque ad terminum vite sue continuando, demum mígrans ad Dominum, conventus et singuli fratres ei persolverunt suffragia consueta, ipsum habitum ordinis vestientes, et ut frater traditus est sepulture».

L’anno di morte di fr. Giovanni, sconosciuto al cronista, deve risalire almeno a qualche decennio prima dell’avvio (1327-31) della cronaca; a f. 38v si dà un decesso del 1322, a f. 41r uno del 1326.

Tre volte gli Atti dei capitoli provinciali sollevano il velo dell’anonimato su casi d’espulsione.

Roma 1253 - Ut sanctimonia in vite mundicia ac religionis disciplina viris apostolicís commendata semper in nostro ordine conservetur, pestíferos quosdam et nefarios homines pluries in suis criminibus deprehensos ab ordine nostro duximus expellendos. Inprimis igitur fr. Petrum qui priorem urbevetanum iacentem in nocte lapide percussit in facie, propter immanitatem sceleris ab ordine expelli precipimus. Idem precipimus de fr. Peregrino de Barulo propter suos graves et enormes excessus. Similiter fr. Ildibrandinum de Surrento et fr. Paulum Perusinum propter eorum immundissiman conversationem; sed et fr. Philippum de Mazara qui, ordine contempto, se absolvi ab ordine procuravit et in multis ordinem conturbavit, pena simili condemnamus (MOPH XX, 14/11-21).

Todi 1301 - Fratres Iacobum de Fulgineo dictum Tiniosum carceratum Ananie, Bartholinum Thudertinum carceratum Perusii, Raynerium conversum vinculatum Aretii, Guidonem Barbarosse sub legibus constrictum Senis, Gerardum Florentie sub legibus positum, qui pluries inveniuntur graves et enormes commisisse excessus, sententiamus eos eiiciendos ab ordine sicut incorrigibiles, infectos et infectivos, et mandamus hanc sententiam per priores vel eorum vicarios, ubi priores non fuerint, <sine> tergiversatione et more dilatione effectui mancipari (MOPH XX, 140/24-31).
Guido Barbarossa de Senis
nel 1292 assegnato al convento di Lucca (MOPH XX, 107). Un «fr. Guido» senz’altra specificazione onomastica tra i capitolari di Siena in giugno 1280 (ASS,
Patrim. resti eccles., S. Domenico 17.VI.1280), in ottobre 1282 (ib. 26.X.1282); «fr. Guido Alberti» in settembre 1287 (ib. 10.X.1287).

Firenze 1309 - Item fr. Aldebrandinum Macciolis qui pluries invenitur tam antiquos quam novos graves et enormes comisisse excessus, sententiamus eum abicíendum ab ordine sicut incorrigibilem, infectum et infectivum, et precipimus hanc sententiam per vicarium pisani conventus sine tergiversatione et more dilatione effectui mancipari (MOPH XX, 175/13-17).

Il più antico testo Roma 1253, oltreché i nomi degli espulsi, rilascia specifiche informazioni sul capo d’imputazione, salvo nel caso di fr. Pellegrino da Barletta i cui «graves et enormes excessus» rimandano genericamente più alla gravità che all’area della trasgressione e diventeranno formula usuale di colpe per le quali, dopo comprovata incorreggibilita, si procede all’espulsione. In un intervento del 1271, degli undici frati colpevoli di «excessus enormes» quattro sono puniti col carcere e sette espulsi; per altri, col più generico «graves excessus» convive la più esplicita «suspecta familiaritas» (MOPH XX, 39/1-9). Ma il testo Todi 1301 mostra chiaramente che nel frattempo si è pervenuti a un vero e proprio formulario, dal quale invano si solleciterebbero pertinenti informazioni sulla materia della trasgressione e sulle personali implicanze degli imputati; ne è controprova il testo Firenze 1309, che accoglie soltanto le varianti inerenti al formulario stesso. Né la legislazione costituzionale sulle colpe/pene aiuta a individuare le prevaricazioni per le quali di fatto si comminava l’espulsione. La «culpa gravissima», cui più esplicitamente è connessa la pena d’espulsione, è essenzialmente l’incorreggibilità; questa poteva vertere su molte delle colpe elencate dalle costituzioni, e a motivo della natura evolutiva della legislazione a opera dei capitoli generali, anche per crimini non esplicitamente contemplati dalle costituzioni.

Constitutiones OP I, 16 (De levi culpa), 17 (De gravi culpa), 18 (De graviorí culpa), 19 (De gravissima culpa), 20 (De apostatis).

Raro esemplare di formulario d'espulsione: lettera Orvieto 22.IX.1331 in ASF, Dipl. Badia fiorentina 19.X.1334, terzo §.

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