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  5. Se fr. Tolomeo da Lucca è il continuatore del De regno di Tommaso d’Aquino[1]  -  e le ragioni che militano a favore sono di grande peso[2] -, la continuazione dell’opera tomasiana fu composta (o almeno portata a termine) nel convento fiorentino di SMN. Riprendendo un testo della Determinatio compendiosa de iurisdictione imperii c. 13, Tolomeo nel De regno III, 19, dice che da quando fu stabilita l’elezione degl’imperatori del Sacro Romano Impero erano trascorsi circa 270 anni. Secondo Tolomeo, Determinatio c. 13, il sistema elettivo fu introdotto nell’anno 1030 per volontà di papa Gregorio V. L’anacronismo (Gregorio V fu papa dal 996 al 999) non intacca l’indicazione cronologica: che cioè Tolomeo scriveva intorno all’anno 1300 (1030 + 270).

De regno III, 19: «Et ex tunc [tempo di Ottone I], ut historiae tradunt, per Gregorium v genere similiter Teutonicum provisa est electio, ut videlicet per septem principes Alamaniae fiat, quae usque ad ista tempora perseverat, quod est spatium ducentorum septuaginta annorum vel circa; et tantum durabit, quantum Romana Ecclesia, quae supremum gradum in principatu tenet, Christi fidelibus expediens judicaverit» (Opuscula omnia I, 420). Determinatio c. 13: «Tertia autem causa fuit voluntas summi pontificis, qui tunc erat, videlicet Gregorii quinti, qui de Theutonia fuit natus et consanguineus Ottonis, ut infra dicetur. Possent et alie cause assignari, sed dicte sufficiant. Ista ergo electio usque modo perseverat, que incepit anno Domini MXXX, et perseverabit quantum ecclesia Romana permiserit, cuius est regna transferre et principes de sede sua deponere»(ed. M. Krammer, Hannoverae-Lipsiae 1909, 30-31)[3].

Lo stesso Tolomeo usa altre due volte simili indicazioni cronologiche (il che rafforza l’attendibilità dell’annotazione): scriveva la Determinatio quand’erano trascorsi 250 anni dall’introduzione del sistema elettivo degli imperatori[4]; e iniziava a scrivere gli Annales quando erano trascorsi circa 240 anni dal 1063[5]. Tolomeo è priore di SMN da poco dopo luglio 1300 a luglio 1302. Sebbene l’indicazione dell’anno 1300 in cui Tolomeo attendeva alla continuazione del De regno sia formulata con qualche margine d’oscillazione («vel circa»), i due anni di residenza fiorentina sono sufficientemente lunghi per coprire i tempi di composizione di un’opera di notevole ampiezza e di natura abbondantemente documentaria; almeno in parte, qualora si volesse rimettere alla precedente residenza lucchese l’avvio del lavoro[6].

Riccoldo da Monte di Croce: BNF, CS, C 8.1173, f. 185rIntorno al 1300 fr. Riccoldo da Monte di Croce, sempre in SMN, raccoglie la lunga esperienza tra musulmani e cristiani d’oriente in opere di straordinaria importanza, Liber peregrinationis, Contra legem Sarracenorum e Libellus ad nationes orientales[7]. Fr. Remigio dei Girolami rientrato a Firenze dopo il baccellierato parigino, probabilmente a fine anno scolastico 1300, è pastoralmente e teologicamente impegnato in mediazione di pace tra parti bianca e nera che alimentano violente lotte cittadine. Non molto dopo la settimana di devastazioni susseguite al 5 novembre 1301 compone il De bono comuni. Convive nel convento fiorentino con Tolomeo da Lucca (insieme prendono parte al capitolo generale di Colonia in maggio 1301), e con lui condivide spiccata simpatia per le formazioni politiche comunali. Ma nell’atto di elaborare progetti di teoria politica, il percorso intellettuale dei due si divarica (ma si era già divaricato in scritti precedenti) in molti punti, anche qualificanti. Eppure mentre in SMN compongono, l’uno il De bono comuni e l’altro la continuazione del De regno, s’incontrano in scritture, documentazione, utilizzazione dei modelli dell’amor patriae della romanità classica dalle sorprendenti coincidenze. Dante Alighieri fa diretta esperienza politica col governo bianco (è priore cittadino nel bimestre giugno-agosto 1300), ma il rovescio politico a favore dei neri lo costringe all’esilio dall’autunno 1301; sia nel Convivio che nella Monarchia (qui, il terzo libro agli antipodi di fr. Tolomeo) svolgerà taluni temi e s’imbatterà in taluni testi che rievocano insistentemente alla memoria dello storico le opere dei due frati domenicani[8].

Dal 1303, e forse dall’autunno dell’anno precedente, il medesimo convento ospita fr. Giordano da Pisa lettore e predicatore; i suoi ammiratori ne raccolgono la predicazione fiorentina assicurandoci un monumento della letteratura volgare trecentesca[9]. Nei medesimi anni e nel medesimo convento un altro eminente frate pisano, fr. Bartolomeo da San Concordio (figlio del convento pisano), apre un altro orizzonte letterario, quello della divulgazione: a messer Geri degli Spini dedica il Libro degli ammaestramenti degli antichi e a Neri di Cambio il volgarizzamento dei sallustiani De coniuratione Catilinae e Bellum Iugurthinum[10].

Una straordinaria fioritura di talenti e una felice congiuntura storica convergono nel convento fiorentino a inizio Trecento. La città è scossa da profonde conflittualità politiche, lacerata da feroci lotte di parte. L’attività apostolica e letteraria dei frati non ne è raffrenata, in gran parte anzi ne è alimentata, specie quando pubblica predicazione e scritti politici mirano a proporre nuovi modelli e nuove ragioni del bene comune; e del bene del comune. Felice congiuntura, si diceva. Ma non del tutto casuale. La ricostruzione del funzionamento delle pubbliche istituzioni dell’ordine e l’individuazione dei processi formativi del ceto direttivo - nel governo così come nell’organizzazione della vita intellettuale - rendono meno sorprendenti tali felici congiunture; certamente meno casuali.


[1] Tommaso lascia incompiuto il De regno a II, 8 «Opportunum est autem in conuersatione humana modicum delectationis quasi pro condimento habere, ut animi hominum recreentur» (Opera omnia t. 42, ed. Leonina, Roma 1979, 471), corrispondente a metà circa di II, 4 delle edizioni volgate (Opera omnia t. 16, Parma 1865, 240b; Opuscula omnia I, ed. P. Mandonnet, Parigi 1927, 353).

[2] Trattazione e bibliografia più aggiornata in DAVIS, Dante's Italy, op. cit. c. 9 (Roman Patriotism and Republican Propaganda: Ptolemy of Lucca and Pope Nicolas III), 224-53; c. 10 (Ptolemy of Lucca and the Roman Republic), 254-89.

[3] Altra indicazione cronologica del De regno è in III, 20: «Quantum autem ad ista duo exemplum habemus etiam modernis temporibus quod electi sunt imperatores, videlicet Rodolphus simplex comes de Ausburg, quo mortuo assumptus est in imperatorem comes Adolphus de Anaxone, quo occiso [1298] ab Alberto Rodolphi filio, eodem modo assumptus est» (Opuscula omnia I, 422). Alberto I d'Asburgo, imperatore dal 1298 al 1308; a lui si arresta la lista. Se Tolomeo avesse scritto al tempo del successore Enrico VII di Lussemburgo (1308-13), non avrebbe mancato di farne menzione, perché Enrico, dal tempo di Federico II, gli offriva il primo caso d'incoronazione susseguita all'elezione, condizione fondamentale per Tolomeo perché l'imperatore potesse esercitare la giurisdizione imperiale fuori i confini della Germania in qualità di «verus minister ecclesie» (cf. Determinatio c. 30, p. 60).

[4] Determinatio c. 30: «De facto autem et consuetudine invenimus imperatores a CCL annis citra coronatos, antequam imperii prosequantur offitium» (p. 61). DAVIS, Dante's Italy 232-37, propone d'anticipare al 1277-78 la composizione della Determinatio, nonostante (ib. p. 233 n. 31) l'anno 1280 indicato da Tolomeo, sulla base di «dominus noster» riferito a Carlo I d'Angiò (Determinatio c. 18, p. 39), da intendere in riferimento al titolo di vicariato toscano detenuto da Carlo fino a settembre 1278.
La datazione del Davis, e la reinterpretazione della Determinatio che ne segue, sono degne d'attenzione. Ma l'implicazione del vicariato toscano nel «dominus noster» di Tolomeo appare così stringente? La politica degli Angioini verso i frati Predicatori della provincia Romana (fino al 1296 includente anche il territorio del regno di Sicilia) fu ispirata a un'indisturbata solidarietà che si tradusse in protezione e favori d'ogni genere. Gli atti dei capitoli provinciali testimoniano ampiamente il debito di devozione e riconoscenza dei frati (cf. ACP Index extraneorum). Speciale sentimento di affetto dei frati per i re Angioini potrebbe rendere soddisfacente ragione del «dominus noster» di Tolomeo senza necessaria implicazione della competenza giurisdizionale in territorio toscano, benché in opere di molto posteriori Tolomeo possa aver mutato i propri sentimenti nei riguardi dell'Angioino. Fr. Remigio dei Girolami nei sermoni in ricevimento di Roberto d'Angiò, re dal 1309: «Noster autem rex non solum sapiens sed etiam eloquens est» (BibI. Naz. di Firenze, Conv. soppr. G 4.936, f. 350vb); «quamquam istud verbum conveniat omni regi, tamen specialiter videtur congruere nostro regi presenti domino regi Roberto» (ff. 350vb-351ra); «verbum istud... veraciter potest dicere de se filius Dei adoptivus et rex temporalis dominus noster Robertus, qui est hic» (f. 351rb); «ad vos igitur, karissimi, est michi sermo de rege nostro honorificando» (f. 352ra); «dominus autem noster qui hic est non est degener sed legiptimus et verus rex» (ib.); «in persona omnium regratior vobis, dominus noster rex amantissime» (f. 352rb); «ego offero domino nostro regi, in persona omnium, quinque missas» (f. 352va). Se dalle espressioni in corsivo si dovesse concludere che i sermoni furono predicati dopo maggio 1313, quando Firenze concesse la signoria della città a re Roberto, non sapremmo dove collocarli, visto che l'unica visita di re Roberto in Toscana prima del 1314-15 (data estrema dei sermoni) fu in settembre 1310. La signoria fiorentina inoltre non comportava il titolo di rex.

[5] Cf. Annales, ed. B. Schmeidler, Berlin 1930, xxvi-xxvii; M. KRAMMER in Determinatio. ed. cit. p. x. Annotazioni simili si ritrovano sotto la penna d'altri scrittori; la qualcosa, mentre testimonia una consuetudine letteraria, avvalora l'intenzione cronologica. Anonimo lettore di Santa Croce di Firenze, Quodlibet II, 4 (Utrum Christus possit probari Iudeis iam venisse): «cum ipsi [sciI. Iudei] steterint 1296 annis sine sacrificiis, concedant nostrum sacrificium esse illud quo Deus petit honorari» (E. LONGPRÉ, Nuovi documenti per la storia dell'Agostinismo Francescano, «Studi Francescani» 9 [1923] 323). RICCOLDO DA MONTE DI CROCE OP, Liber peregrinationis: «Hec quidem referre verecundum est quidem, sed magis tristandum quod per talem legem [sciI. alcorani] dyabolus magnam partem humani generis fere iam septingentis annis decepit» (Berlin, Staatsbibliothek lat. 4°. 466, ff. 20vb-21ra). ID., Contra legem Sarracenorum c. 9: «Nam Christus et apostoli fuerunt ante Mahometum sexcentis annis; Mahometus enim surrexit tempore Eraclii, qui incepit regnare anno Domini sexcentesimo decimo. Unde nondum sunt septigenti anni quod Mahometus fuit. Sunt autem mille ducenti ed amplius quod fuerunt Christus et apostoli» (Bibl. Naz. di Firenze, Conv. soppr. C 8.1173, f. 200v); c. 13: «Devicto igitur Cosdrohe per supradictum Eraclium et reportata sancta cruce in Ierusalem cum triumpho anno Domini sexcentesimo vigesimo sexto. Eraclii autem anno quinto decimo, surrexit Mohometus arabs» (f. 208r). ID., Libellus ad nationes orientales c. 3 (De iudeis in quo differant a nobis): «Nulla enim alia causa potest reddi, nullum aliud peccatum potest inveniri in iudeis quod sit causa presentis captivitatis, que fuit tam contumeliosa tam periculosa tam universalis tam longa que iam duravit fere MCCCtis annis, quam quia negaverunt Christum et occiderunt» (ib. f. 230r). «Et notandum quod sex fecit Deus quasi eodem tempore et ordine quo de ipsis fuerat prophetatum que ostendunt Christum venisse et verum Deum fuisse; et hec dura­verunt continue iam fere mille trecentis annis» (f. 231v). «Quid enim rationis potest habere quod Christus sit natus iam sunt mille trecenti anni et nondum venerit idest nondum apparuit vel manifestatus sit?» (f. 233r).

[6] Il decennio di Tolomeo a cavallo dei secoli è ricostruibile con tale dovizia di dati che lo storico più non potrebbe ragionevolmente desiderare. In febbraio 1295 è priore nel convento domenicano di Lucca (ASL, Dipl. S. Romano 6.II.1295); sempre nella medesima città appare in qualità di teste nel corso del 1295 (ASL, Dipl. S. Romano 22.II.1295 e 3.VII.1295), priore («fr. Tholomeus Fiadonis») in agosto 1297 (ASL, Dipl. S. Romano 11.VIII.1297), non più priore in settembre 1297 (ACP 127/23-27), teste in ottobre 1297 («coram fr. Tholomeo Fiadonis») (ASL, Dipl. S. Romano 19.X.1297), in giugno e settembre 1298 in una transazione commerciale di «Homodeus condam Raynonis Fiadonis» (ASL, Dipl. S. Romano 24.VI.1298 e 3.IX.1298, qui detto «fr. Tholomeo Fiadonis»), tra i frati capitolari in novembre 1298 (ASL, Dipl. S. Romano 7.XI.1298: «fr. Tholomeus Fiadonis»), teste in gennaio e giugno 1299 (ASL, Dipl. S. Romano 11.I.1299; Tuscia. Le decime degli anni 1295-1304, a c. di M. Giusti e P. Guidi, Città del Vaticano 1942, 290), in settembre 1299 nominato definitore al CG del 1300 (ACP 135/22), teste («coram fr. Tholomeo Fiadonis») in transazione di «Homoddeus condam Rainonis Fiadonis» in novembre 1299 (ASL, Dipl. S. Romano 19.XI.1299), il 17.II.1300 riscuote da legato testamentario (ASL, Notarile, Paganello Bonaiuti n° 32, reg. 3°, f. 101r), mentre il 30.IX.1300 è rappresentato in Lucca da procuratore in riscossione da legato testamentario (ASL, Notar., Rabbito Torringelli n° 52, p. 22). Per il periodo del priorato fiorentino, 1300-1302, v. sotto nella lista dei priori. Elettore al CG Colonia maggio 1301 (Chron. rom. 116; non ci sono ragioni per sospettare - cf. A. Dondaine in AFP 1961, 167 n. 49 - di questa fonte; dal 1249 si vieta che i definitori eletti un anno fossero rieletti al medesimo ufficio l'anno immediatamente successivo: MOPH III, 45, 50, 70, 74, 78; Tolomeo è definitore nel 1300 e 1302, mentre nel 1301 è elettore insieme a Remigio dei Girolami elettore-definitore; «tunc enim in nostri ordinis origine semper iidem fiebant diffinitoress», annota Chron. pis. n° 37, ed. p. 424), definitore al CG Bologna 1302 (ACP 142/30; Chron. rom. 117). Priore di Lucca in maggio 1303 (MOPH III, 322; la pergamena del 4.XI.1302 di cui I. TAURISANO, I domenicani in Lucca, Lucca 1914, 63 n. 2 - ripreso da A. Dondaine in AFP 1961, 168 n. 50 - né esiste nel fondo Dipl. S. Romano né è registrata nel catalogo generale ottocentesco del diplomatico di ASL); priore ancora in dicembre 1303 (ASL, Dipl. Tarpea 5.XII.1303), elettore al CG Tolosa 1304 (Chron. rom. 117).
Onomastica: dai docc. risulta che Tolomeus, o Tholomeus, è aferesi di Bartolomeus, esplicitamente testimoniato in ASF, SMN 11.VIII.1301, e pertanto Ptolomeus, che concorre talvolta con Tolomeus, è solo un iperetimologismo degli scribi, cosi come Loth è scrittura iperetimologica, per richiamo del biblico Loth, di Lottus o Loctus (Lotto). Tolomeo è figlio di Fiadone, e molto verosimilmente zio di Omodeo del fu Rainone di Fiadone, con cui compare più volte. Il nome del casato è formalmente testimoniato il 29.VI.1289: «fr. Tholomeus de Fiadonis de Luca» (Arch. Arcivesc. di Lucca, pergam. *0 n° 94 [non *0 n° 49 come nell'ed. a stampa, Priori..., «Memorie domenicane» 17 (1986) p. 266 n. 28]: testamento d'Ughetto del fu Donato di Piero, fascicolo cartaceo in pessimo stato di conservazione; il nome di Tolomeo nel verso della penultima carta). A tergo d'uno dei due diplomi di ASL, Dipl. S. Romano 22.IX.1288 (rescritto di Niccolò IV che dà licenza all'arcidiacono di Lucca di confermare una transazione tra convento domenicano e ospedale di San Pellegrino in Alpi) una mano coeva ha scritto in modulo minuto ma chiaro: «frater Tolomeus prior Predicatorum pre(sentavit) eidem archidiacono has licteras in hospitali Sancti Martini, pre(sentibus) Guido Caldovillani notario et presbitero Ubaldo cappellano hospitalis et presbitero Dainese, a(nno) mcclxxxviii, die xxx octubris». La nota tergale potrebb'essere, con tutta verosimiglianza, autografa dello stesso fr. Tolomeo.

[7] La prima testimonianza della presenza fiorentina di Riccoldo, dopo la partenza per l'oriente a fine 1288, è del 21.III.1301 (ASF, NA 13364 (già M 293, II), f. 22r: 21.III.1300). Vedi edizione del Contra legem Sarracenorum, e Presentazione, in questo stesso volume: «Memorie domenicane» 17 (1986).

[8] Ch.T. Davis, Dante’s Italy and other Essays, Philadelphia 1984, cc. 6, 8, 9, 10. In De bono pacis c. 5 (MD 1985, 176-79) Remigio risponde, a chi obiettava dalla Clericis laicos (1296) di Bonifacio VIII, che tale decretale è stata modificata dalla susseguente Quod olim (12.V.1304) di Benedetto XI. In Lucca, 5.XII.1303, i rappresentanti del clero regolare e secolare della diocesi lucchese nominano procuratori presso il papa i frati Predicatori Ugo dei Borgognoni da Lucca priore provinciale, Tolomeo priore del convento di Lucca, Banduccio da Pistoia e i notai lucchesi Iacopo di Alfeo e Lamberto di Sornaco per ottenere l’assoluzione dalla scomunica o sospensione nelle quali fossero incorsi «occasione illicite et improvide solutionis et mutationis quam fecerunt seu consenserunt vel aliquis eorum, licet convicti et per timorem qui potuit cadere in constantem, de imposita seu tallia cuiuscumque mutationis seu solutionis vel subventionis quocumque nomine censeri posset eis imposite per lucanum comune et ab cis exacte cun effectu contra constitutiones bone memorie sanctissimi domini Bonifatii pape VIII» (ASL, Dipl. Tarpea 5.XII.1303: più pergamene cucite l’una all’altra contengono la lunga lista delle sottoscrizioni degli ecclesiastici e ratifica della procura). In dicembre 1303 papa era il domenicano Benedetto XI, residente in Perugia, dove Remigio compone il De bono pacis in maggio-giugno 1304. La Quod olim di papa Benedetto modifica la Clericis laicos nel dispositivo relativo agli ecclesiastici costretti dalle autorità laiche, senza loro consenso, a pagare le taglie; costoro, a differenza di quanto disponeva la bonifaciana Clericis laicos, non incorrono nella scomunica.

[9] C. DELCORNO, Giordano da Pisa e l'antica predicazione volgare, Firenze 1975; ID., Nuovi testimoni della letteratura domenicana del Trecento, «Lettere italiane» 4/1984, 577-90. GIORDANO DA PISA, Quaresimale Fiorentino 1305-1306, a c. di C. Delcorno, Firenze 1974.

[10] A Firenze, nei primissimi anni del Trecento, gli studiosi di fr. Bartolomeo collocano le due opere: cf. C. SEGRE, Bartolomeo da San Concordio, «Diz. Biogr. degli Ital.» VI, 768-70. Nel 1304 fr. Bartolomeo era certamente in SMN: compare nella lista dei frati capitolari (n° 42) il 20.XI.1304 (ASF, SMN 11.XI.1304: «fr. Bartholomeus Pisanus»); e probabilmente è il «fr. Bartholomeus», senz'altra specificazione, che nella lista dei frati capitolari (n° 27) del 23.XI.1304 apre la sezione dei frati non figli del convento fiorentino (ASF, NA 3141 (già B 2127), ff. 3v-4r). Lettore alla Minerva di Roma nel 1299, ad Arezzo nel 1305 (ACP 132, 154).

I volgarizzamenti delle opere di Sallustio furono fatti «a petizione del Nero Cambi di Firençe», senza specifici titoli o qualifiche. Volgarizzamenti del Due e Trecento, a cura di C. Segre, Torino 1980, 403. Patricia J. Osmond, Princeps historiae romanae: Sallust in Renaissance political thought, «Memoirs of the American Academy in Rome» 40 (1995) 104-05; Catiline in Fiesole and Florence, «International Journal of the Classical Tradition» 7 (2000) 5n (Catalogus translationum...), 22, 34.

Neri di Cambio delle fonti comuni? senz'alcun raccordo con l'autore o convento domenicano: esponente, insieme a Geri degli Spini, dei neri d’inizio Trecento, «di sottile ingegno, ma crudo e spiacevole» (Compagni indice 202b). Sia Nèri (da Rainerius) che Cambio sono comunissimi antroponimi nella Firenze del tempo e possono dar luogo a molte omonimie. Registriamo altre possibili alternative:

a) Un Nero di Cambio (del Tedesco), senz’indicazione di popolo, appare nel libro d’amministrazione di Baldovino dei Riccomanni, 1272-78 (A. Castellani, Nuovi testi fiorentini del Dugento, Firenze 1952, 248-83).

b) Un «Nero Cambi» è priore in dic. 1289 - febbr. 1290 per il sesto d’Oltrarno [no! correggi in Porta San Piero], e un altro in dic. 1294 - febbr. 1295 per il sesto Porta San Piero (Stefani rubr. 185 e 207); quest’ultimo è il «Nerius Cambii populi Sancti Simonis» (San Simone e Giuda, sesto Porta San Piero) iscritto all’arte della lana in novembre 1309 (ASF, Arte della Lana 18, f. 3r). No! Ricontrollo (genn. 2014!) il testo dello Stefani, e mi accorgo di aver fatto un errore quanto a rubr. 185: anche qui Nero Cambi è priore per il sesto Porta San Piero (vedi lista dell'ordine dei sestieri in rubr. 158). Correggi dunque questo brano di «Memorie domenicane» 17 (1986) p. 267 n. 32, e riscrivilo:

b) Un «Nero Cambi» è priore per il sesto Porta San Piero in dic. 1289 - febbr. 1290, e in dic. 1294 - febbr. 1295 (Stefani rubr. 185 e 207); verosilmente da identificare con«Nerius Cambii populi Sancti Simonis» (San Simone e Giuda, sesto Porta San Piero) iscritto all’arte della lana in novembre 1309 (ASF, Arte della Lana 18, f. 3r).

c) Neri di Cambio del popolo Santa Maria Maggiore (ASF, NA 3140 (già B 2126), f. 132v: 16.V.1304), confinante col convento domenicano e deceduto poco prima di giugno 1306, deve aver intrattenuto speciali rapporti coi frati, se sceglie sepoltura nei recinti conventuali. Potrebbe candidarsi con buone ragioni al titolo di destinatario dei volgarizzamenti sallustiani di Bartolomeo da San Concordio. Firenze 27.VI.1306, «iuxta plateam novam» di SMN: «Mannus Attaviani, Cione Benintendi et Veri Belli Benintendi, officiales comunis Florentie ad infrascripta, una cum ser Berto magistro mensuratore comunis Florentie, existentes in dicta platea ad videndum et mensurandum et dirizandum terrenum dicte nove platee et etiam terrenum orti ipsius ecclesie pro danda posta muri noviter fiendi, visis mensuratis et dirizatis dictis terrenis, dederunt licentiam ipsius ecclesie fratribus edificandi seu edificari et murari faciendi super dicto terreno recta linea sicut trahitur et protenditur murus dictorum fratrum, qui est iuxta viam qua itur ad monasterium dominarum de Ripulis, usque ad palum infixum in angulo ipsius platee, et ab ipso palo recta linea iuxta dictam plateam usque ad murum noviter inceptum iuxta portam claustri ipsius ecclesie et sepulcrum factum pro corpore Nigri Cambii, salvo in omnibus predictis iure comunis florentini» (ASF, NA 3141 (già B 2127), f. 25v). L’8.I.1319/20 un atto è rogato «in domo fil(iorum) olim Neri Cambii in populo Sancte Marie Maioris» (ASF, NA 3143 (già B 2129), f. 17r-v). Suo figlio è «Giambertus filius Neri Cambii populi Sancte Marie Maioris», che il 29.VIII.1303 provvede in proprio alla restituzione delle usure (ASF, NA 3140, f. 113v).

vedi ora → ..\nomen2\neri1.htm


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