Capitolo XXX
Conoscenze e amicizie nate dal lavoro

XXX.1)  L’assistenza agli autori

Per gli autori di musica che svolgono professionalmente attività creativa e che vivono quindi essenzialmente di diritti di autore, la SIAE è una specie di mamma,  che si deve prendere cura di loro, li deve coccolare, li deve proteggere, deve cercare di risolvere tanti loro problemi e, infine, deve anche preoccuparsi del loro avvenire sul piano previdenziale (ha infatti istituito un Fondo sociale che eroga assegni vitalizi agli autori anziani e  alle loro vedove).

Il direttore della Sezione Musica è una specie di cerniera dei rapporti tra  la SIAE e gli autori, a cominciare da quelli che fanno parte dei vari organi sociali e specialmente della Commissione di Sezione (di cui egli è statutariamente il segretario), della Commissione per le Sanzioni disciplinari, della Commissione Tecnica e della Commissione Esaminatrice delle prove degli iscrivendi (organismi che egli presiede o di cui fa parte a vario titolo). La consuetudine di lavoro crea a poco a poco l’atmosfera per rapporti amichevoli anche sul piano personale. Tutti hanno bisogno del direttore della Sezione, magari solo per qualche consiglio  sul piano pratico.

Il mondo degli autori, specialmente di quelli professionisti, presenta ovviamente una gamma inesauribile di personalità  straordinarie per estro e carattere e più o meno affascinanti sul piano umano. Una frequentazione prolungata di personalità di questo genere finisce per far nascere facilmente un legame di qualche consistenza. Questi legami portano spesso all’amicizia quando l’autore, che è spesso un bambino sul piano pratico, crede di aver bisogno di te e ti cerca come un protettore o un confidente.

Mi è stato facile, perciò, di annoverare negli anni una quantità di amici o almeno di affezionati conoscenti fra compositori, autori ed editori, che mi piace qui ricordare.

Ma debbo prima di tutti richiamare la memoria del maestro Franco Alfano. Bella figura di napoletano dalla luminosa chioma d’argento, uomo simpatico e aperto, musicista cosmopolita, membro dell’Accademia di Francia, ha scritto opere moderne e raffinate (Risurrezione, Don Juan de Manara, Cyrano de Bergerac, Il dottor Antonio e, soprattutto, Sakuntala), ed è stato chiamato a completare la pucciniana Turandot. Andò in rappresentanza della SIAE ad una riunione tenuta a Londra nel 1947 dalla CISAC per riannodare i rapporti internazionali interrotti dalla guerra. La figliola Caterina, che lo accudiva con tanto affetto, era piuttosto preoccupata di questa missione all’estero del padre ormai più che settantenne. Me ne occupavo io cercando di facilitare per quanto possibile l’espletamento di questo incarico da parte di un nostro rappresentante tanto prestigioso. Alfano partì tranquillo (era abituato a girare il mondo), ma al ritorno mi disse che Londra viveva ancora in un clima di guerra, almeno a tavola: al ristorante dell’Hotel Savoy ove egli alloggiava c’era ancora aria di tesseramento;  mi raccontò però, molto divertito, che per fortuna lo protesse un bravo cameriere italiano facendogli ogni volta trovare nel piatto una bella fettina di pane nascosta sotto una grande foglia di lattuga.

XXX.2)  Tanti amici compositori e autori

Virgilio Mortari, carico d’anni, ma sempre vitale, per oltre mezzo secolo ha continuato a produrre limpide e affascinanti opere e composizioni ignorando olimpicamente le mode. Nelle sedute di Commissione visibilmente si  annoia, ma ha spesso qualche problemino da sottopormi. Ho seguito i suoi  ultimi spostamenti di residenza, dal Palazzo Capizucchi  al Residence di via Ripetta e sino alla casa presso il Colosseo, dove Maria Rosa ed io siamo invitati a pranzo dalla moglie Luisa, già Sovrintendente alle Belle Arti del Molise, per ammirare il panorama. Ho sentito in radio una sua deliziosa operina, “L’alfabeto”; una  volta ci invita alla prima esecuzione di una sua fresca composizione da camera al San Leone Magno; un giorno ci porta a conoscere un loro caro amico, un clinico universitario a riposo, uomo raffinato che abita in un favoloso appartamento attico fra via Giulia e via Monserrato, che in una vastissima sala ha una ricca biblioteca comprendente in modo particolare tutte le edizioni, dall’origine, dell’Orlando Furioso di messer Ludovico Ariosto, che egli asserisce essere un suo antenato. Una mattina Virgilio mi telefona per chiedermi un consiglio, poi decide che gli è più utile passare direttamente da me per sottopormi delle carte: arriva dal Colosseo all’EUR in pochi minuti; gli chiedo come ha fatto a venire così presto, e lui con molta naturalezza mi dice che è venuto con la sua macchina; ha circa 85 anni.

Vieri Tosatti fa parte della Commissione  della Sezione Lirica, uno dei campi di azione della mia  gioventù. Per qualche motivo comincia a cercarmi e presto diventiamo amici. Ricordo di aver visto all’Opera di Roma la sua opera “Il Giudizio Universale”; ho ascoltato per radio la sua “Partita a pugni”; è un compositore veramente originale. Si è fatta da poco una comoda casa con terreno alberato nelle colline intorno a Sacrofano. Con la moglie Valeria, anch’essa musicista, fanno una coppia assai fantasiosa e spregiudicata. Ci invitano ripetutamente a Sacrofano a conoscere la loro villa rustica e la loro cucina. Ma Vieri sta perdendo rapidamente la vista e rimarra presto completamente cieco. E’ incredibile la sua reazione a questa disgrazia. Non ne fa una tragedia: non potrà più comporre musica e allora si dedicherà alla composizione letteraria, dettando a Valeria uno dopo l’altro cinque o sei libri di poesie e soprattutto di strani racconti che io trovo imparentati con i romanzi fantastici di Calvino. Diventeremo di casa dai Tosatti, facendo conoscenza con gli altrettanto interessanti figlioli: Dora (Teodora) che sta studiando da pastora evangelica e Valentino che si dedicherà alle discipline ambientali (sarà lui il primo ad acquistare un nobile palazzo abbandonato sui 1460 metri di Rocca Calascio e ad utilizzarlo dopo averlo riattato con materiali portati a dorso di mulo, avviando così il rilancio di questo eccezionale abitato antico). Con Vieri finiremo con lo stabilire una consuetudine: lui mi telefona di tanto in tanto; fissiamo l’appuntamento sempre nello stesso posto presso Corso Francia; lui vi arriva con Valeria che guida; salgono sulla nostra macchina e andiamo a cena in un qualche ristorante della zona; lui cieco riconosce benissimo i percorsi che faccio in macchina e qualche volta ha da ridire sulle mie opzioni stradali. Passiamo delle serate sempre interessanti  con discussioni spregiudicate che coinvolgono specialmente Maria Rosa, attratta e divertita dalla personalità di Vieri. Andremo così avanti per anni – anche quando essi ospiteranno una simpatica ragazza tedesca, Karin, che studia canto a Roma e che si unisce alla nostra comitiva – sino alla morte di Vieri.

Franco Ferrara teneva il prestigioso corso di perfezionamento in direzione d’orchestra all’Accademia di Santa Cecilia. Aveva dovuto rinunciare all’attività direttoriale pubblica per ragioni di salute (si diceva che potesse cadere in deliquio sentendo il suono dell’oboe). Uomo eccezionale ed ingenuo, venne da me per suggerimento di mio cognato Giambattista che era in rapporti di amicizia con la moglie Màritza e con grande timidezza mi chiese di aiutarlo a riordinare l’abbondante materiale depositato attraverso gli anni alla SIAE come musiche originali per film; ne aveva composte tante e cominciava a non raccapezzarcisi, mentre gli faceva la corte qualche editore intenzionato ad acquistarle. Parlava con ritegno, come se trattasse con una persona importante, lui che godeva della stima di tutti i più noti direttori d’orchestra del mondo. Maritza trovò modo, dopo una manifestazione alla Sala accademica di  Santa Cecilia, di trascinare a casa sua, sulla Piazza Adriana davanti a Castel Sant’Angelo, il suo amico Giambattista e me, pensando che io potessi essere utile a suo marito. Ma Franco non mi chiese mai nulla; fu lei invece, subito dopo la morte del marito, a implorare il mio appoggio (che non era né necessario né utile) per beneficiare dell’assegno vitalizio come vedova di un socio SIAE.

Mi sono trovato tante volte ad avere a che fare con le vedove di soci della SIAE, che hanno comprensibilmente bisogno di chiarimenti ed assistenza. Per il campo teatrale, ho già parlato della teutonica Inge Redlich vedova di Pier Maria Rosso di San Secondo. Mi sono ovviamente occupato ben volentieri di Luisa Babini, vedova dell’amico Giuseppe Dessì. Mi era molto affezionata la vedova di Alfredo Casella, la cara signora Yvonne Müller, che veniva solo per salutarmi accompagnata da una sua buona governante (ben diversa l’assillante figlia Fulvia). Ricordo come persona dignitosa e semplice la Signora Maria Assunta Riggio vedova del senatore Pietro Canonica celebre scultore (v. il Museo Canonica a Villa Borghese), ma anche musicista.

Un caso particolare fu quello di Elsa Sangiacomo vedova di Ottorino Respighi, la quale si affezionò a me, ma soprattutto a Maria Rosa di cui, lusingandomi molto, ammirava la bellezza. Era la vedova più agiata per redditi di diritti di autore e aveva una splendida casa in via Montanelli nel quartiere delle Vittorie. Doveva essere stata molto bella in gioventù. Per un certo periodo ebbe bisogno di ricorrere spesso a me; stava riordinando il catalogo delle opere del marito e doveva sistemare anche delle composizioni incompiute che lei stessa aveva completate: per questo lavoro mi aveva accreditato un suo giovanissimo collaboratore esperto musicologo. Mi volle più di una volta vedere a casa sua, anche con Maria Rosa cui regalò un suo libro con una simpatica dedica. Era ormai ridotta a vivere in poltrona, non potendosi più muovere. Un giorno che dovevo passare da lei, mi telefonò per disdire l’appuntamento scusandosi perché era impegnata con qualche guaio di sua madre; “Sua madre?” dissi io; e lei “Sa, ha 104 anni e non sta per niente bene”. Agli inizi del 1978, avvicinandosi il Centenario della nascita di Ottorino, si preoccupava di avviare un programma di manifestazioni celebrative; per avere consigli e collaborazione, invitò una sera a cena Maria Rosa e me, non ancora sposati, con l’ex ambasciatore Egidio Ortona, squisito uomo di cultura e gran conoscitore del mondo, e un altro paio di persone: io potei essere assai poco utile per impostare il programma, che poi consistette soprattutto in un concerto di musiche respighiane al Teatro dell’Opera con discorsi e commemorazioni di personalità varie.

Mi darà molto da fare Luciano Berio. Viene a ristabilirsi in Italia (andrà ad abitare a Radicòndoli in Toscana) dopo anni passati negli Stati Uniti dove ha insegnato in importanti istituzioni musicali e per ultima alla Juilliard School of Music di New York; nell’occasione, si è separato dalla moglie, la raffinata cantante-attrice Cathy Berberian che ha interpretato e registrato sue famose composizioni e alla quale lascia anche dei figli. Ha assunto gravosi obblighi di mantenimento di lei e dei figli e quindi ha gran bisogno di denaro. La nostra consorella americana BMI – società commerciale, come ho già detto – gli fa una una grossa offerta per avere la sua adesione, dato che lui è fra i più prestigiosi compositori moderni al mondo. L’offerta lo attrae, anche perché gli faciliterebbe l’adempimento degli obblighi assunti con la moglie, ma dovrebbe dare le dimissioni dalla SIAE di cui è socio autorevole. Per questo viene a parlarmi. Io non posso accettare che la SIAE perda un socio così illustre e cerco di dissuaderlo esponendogli alcuni importanti vantaggi che la SIAE riserva alla musica da concerto, ma non riesco a convincerlo. Mi tormenterà poi con varie telefonate dall’Italia e dagli USA, finché mi decido a cercare una via straordinaria data la particolarità del caso. Propongo quindi alla Commissione di Sezione che Luciano Berio, per sue gravi esigenze familiari, possa in via eccezionale ricevere direttamente dal BMI i diritti prodotti dalle sue opere negli USA e in Canada senza il tramite della SIAE; un animato dibattito si conclude con il consenso della Commissione, ma per un periodo di tempo limitato. Egli potrà quindi aderire al BMI, per i soli territori di USA e Canada (quelli, in effetti, che al BMI interessano).  Una sera, dopo una ennesima discussione del suo caso ormai avviato a soluzione, lo accompagnavo in macchina al suo albergo Giulio Cesare in via degli Scipioni: chiacchierando del più e del meno di musica e di musicisti, mi diceva della sua grande stima per Alfredo Casella e si dispiaceva molto di non essere mai riuscito a trovare una certa sua composizione, la Sinfonia “Italia”; a me venne con semplicità di dire: “Se vuole, io ce l’ho”. Lui stupito: “Ma no, non è possibile. L’ho cercata tanto”. Ma io avevo trovato per caso una registrazione russa su disco Melòdija, che la mattina dopo gli feci avere. Avendolo  riversato su  nastro, dopo alcuni giorni mi restituì il disco con sperticati ringraziamenti. Questo episodio credo abbia cementato il nostro rapporto più dell’affare BMI. Mi consultò per cambiare editore: ci incontrammo a Milano presso Casa Ricordi per discuterne con Mimma Guastoni. Ma alla fine si decise per la Universal di Vienna (che era rappresentata in Italia dalla Ricordi). Ben presto, dovemmo riprendere la questione della sua adesione alla SIAE, perché prese a fargli la corte Erich Schulze, il Direttore Generale della consorella tedesca GEMA, con offerte piuttosto accattivanti. Per discutere della questione, ci demmo appuntamento a Milano al ristorante a lato del Teatro alla Scala: io gli portai una serie di tabelle in cui avevo sviluppato per  i tre o quattro anni trascorsi la resa dei diritti liquidatigli dalla SIAE con l’applicazione delle provvidenze da essa accordate alla musica seria e la resa che avrebbe potuto avere dalla GEMA secondo le offerte di Schulze; non c’era molta differenza, ma con la SIAE avrebbe guadagnato nei tempi delle rimesse, oltre che nell’assegno vitalizio del Fondo sociale che già riceveva  avendo appena raggiunto i 60 anni di età. Volle proseguire i suoi contatti con la GEMA per cercare di avere di più. Intanto, io ero divenuto il suo consulente per qualsiasi spiegazione e assistenza: mi telefonava di tanto in tanto. Gli ultimi tempi, era sorta una polemica tra lui e il maestro Franco Mannino per problemi della categoria dei musicisti; si scrivevano delle lettere piuttosto accese e talvolta feroci, e ambedue ne indirizzavano copia a me, come se io fossi il mediatore. Quando seppe che io lasciavo definitivamente la SIAE, mi scrisse parole commoventi lamentando che gli veniva a mancare il suo protettore.

Una vecchia amicizia quella con Franco Mannino. Egli aveva avuto una assai spiacevole vertenza con la SIAE, durata a lungo. Anche per questo era di casa alla SIAE, dove mi incontrava per  riesporre le sue ragioni  e accusare Ciampi di averlo perseguitato. Debbo dire però che fu assai generoso quando la SIAE ebbe bisogno di lui. Gli esercenti cinematografici associati all’AGIS presero un giorno la decisione di denunciare l’accordo SIAE-AGIS che negli anni ’40 – in virtù dell’art.46 della nuova legge sul diritto di autore – aveva  fissato la misura del compenso dovuto dalle sale cinematografiche agli autori delle musiche della colonna sonora dei film proiettati; essi lo ritenevano eccessivo (era in effetti il più alto d’Europa) e pertanto ne chiedevano un ridimensionamento; noi avevamo resistito sostenendo che solo in Italia gli autori di musica cinematografica non ricevono un compenso dal produttore del film, ma anzi essi, e per essi i rispettivi editori, sostengono addirittura le spese per la esecuzione e la registrazione delle musiche. Gli esercenti cercarono allora motivi di contestazione formali: ripreso il testo degli accordi da essi contestati, rilevarono che esso risultava sottoscrito soltanto dalla SIAE e dall’AGIS e non anche dalla organizzazione sindacale dei compositori,  come invece prescriveva l’art.16 del regolamento di esecuzione della legge. Ciò poteva essere invocato come motivo di invalidità degli accordi. Il rilievo era formalmente esatto, nonostante tutte le nostre ricerche nella documentazione dell’epoca. Poiché Mannino era al momento il Presidente del Sindacato Nazionale Musicisti, andai a trovarlo nel suo studio in via Città di Castello e discutemmo il modo di superare questa delicata situazione. Egli fu pienamente disponibile ad accettare e sottoscrivere il testo che io gli sottoposi, secondo il quale il Sindacato confermava di aver a suo tempo espresso il suo consenso all’accordo SIAE-AGIS, consenso tuttora condiviso dalla categoria degli autori di musica. Da allora, si instaurò fra noi un rapporto amichevole, espresso da parte sua nelle affettuose dediche con le quali mi mandava le sue pubblicazioni (a proposito, il suo libro di memorie “Geni” è una galleria straordinaria di personaggi da lui praticati, famosi in ogni campo, e naturalmente di molti musicisti). Ci siamo rivisti con molto piacere ancora nel 2004.

Il rapidissimo propagarsi di emittenti televisive regionali a cavallo del 1980, emittenti che non avevano alcuna capacità di produzione di programmi propri, portò ad una utilizzazione massiccia  di film di repertorio. Le case distributrici avevano i magazzini stracolmi di pizze accumulatesi per anni e quindi non trovarono di meglio che fornire a queste decine e decine di TV locali film di ogni paese e di ogni epoca, salvo naturalmente le ultime novità, praticamente a prezzi stracciati. Si trattava di migliaia e migliaia di programmazioni all’anno, per le quali tuttavia le emittenti non intendevano versare una lira alla SIAE per diritti musicali. Ci vollero anni per normalizzare la situazione, anche con la chiusura di molte stazioni locali incapaci di avviare un regime normale di programmazione. Fra i compositori di musica da film che vedevano utilizzata la loro produzione senza ricevere diritti, il più danneggiato era certamente Carlo Rustichelli, autore delle musiche di più di 400 film quasi tutti di successo. Questo “saccheggio” finì per esasperare le sue reazioni, che si indirizzavano soprattutto verso di me: prese a farmi regolari visite periodiche  con le quali mi consegnava elenchi sempre più nutriti di suoi film andati in onda e per i quali si aspettava una sostanziosa liquidazione di diritti dalla SIAE. A via di discutere e poi di sfogare  la sua rabbiosa frustrazione, le sue visite divennero dei piacevoli incontri periodici; talvolta mi portava anche dei presenti, in genere pacchetti di caramelle gélées alla frutta; in occasioni particolari mi portava una bottiglia di “mandarinetto”; infine, portò il “mandarinetto” anche alla mia segretaria Laura. Io mi affezionai facilmente a questo  caloroso romagnolo, che aveva una grande semplicità e sincerità d’animo e una capacità creativa incredibile. Naturalmente, passava da me anche per avere i soliti anticipi di liquidazione: anche lui era assillato dai bisogni di denaro, che serviva non di rado per dare qualche assestata alla situazione economica di quella simpatica pazza di sua figlia, Alida Chelli. Mi invitò più di una volta a casa sua, in una delle due torri che s’innalzano dietro il laghetto dell’EUR; lui era in uno dei piani più alti, con una stupenda tezzazza sul laghetto; Alida abitava al piano superiore. Mi divertiva l’idea che lui avesse scelto quell’appartamento pur avendo il terrore fisico di affacciarsi sul vuoto dalla terrazza. Aveva in animo di realizzare il sogno della sua vita: desiderava scrivere un’opera lirica sul personaggio di Savonarola: aveva in mente tutto il soggetto e aveva anche già scritto molta musica per vari momenti dell’opera, ma aveva bisogno di trovare un bravo librettista e la ricerca fu piuttosto lunga; mi aggiornava man mano del procedere del suo lavoro e delle sue ricerche; trovò infine, con piena soddisfazione, il poeta Elio Pecora. Aveva fatto leggere brani della musica a Luciano Pavarotti che andava a trovare in una sua tenuta. Mi dispiace molto di non aver potuto vedere la conclusione di questo suo lavoro. Quando mi sono ritirato in Abruzzo, lui mi telefonava di tanto in tanto; una volta sono andato ad assistere a una sua premiazione a Pescara. Poco alla volta stava perdendo la vista. E nel 2004 ci ha lasciati.

Commissario della Sezione Musica particolarmente attivo con interventi specie sugli aspetti più moderni della vita musicale era il compositore Fabio Borgazzi (Fabor). Nella sua abitazione  aveva una sofisticata apparecchiatura per musica elettronica, con cui si divertiva come appassionato operatore anche il simpatico attore americano a riposo Edmund Purdom. La brava consorte Augusta organizzava di tanto in tanto ricevimenti serali dove incontravamo alcuni ospiti quasi fissi, come il direttore d’orchestra Maurizio Arena, spesso impegnato in teatri d’opera degli Stati Uniti, o gente dell’ambiente RAI, come la Anna Zaccagnini, Nana Melis, Claudia De Seta, nonché ospiti vari  più o meno occasionali, come Damiano Damiani, Antonio Ghirelli, Michele Mirabella, ecc.; erano sempre serate simpaticamente animate da interessanti discussioni, con immancabile concertino di Fabor o di Arena o di altri al pianoforte. In una di queste serate Maria Rosa discorreva con la Nana Melis a proposito della radio; la Melis seduta stante la convocò a Via Asiago per due o tre giorni dopo, a un’ora molto mattiniera, per intervistarla sui suoi ascolti radiofonici; l’intervista registrata fu trasmessa durante il mattino della domenica successiva.

Un particolare attaccamento sentì per me Ugo Calise, che avevo aiutato a recuperare la paternità delle canzoni più importanti del suo repertorio. Ci volle molto per raggiungere questo risultato, assai importante per lui; veniva a trovarmi con periodicità quasi regolare e poco alla volta mi vide come suo confidente anche per altri aspetti del suo lavoro; ad esempio, avrei dovuto occuparmi anche della pubblicazione discografica di una sua storia della canzone napoletana, consistente in interpretazioni più fantasiose rispetto a quella classica di Roberto Murolo uscita anni prima. Mi invitò più volte a raggiungerlo a Ischia per passare giorni allegri in un piccolo albergo gestito da una sua stretta parente. Una sua cartolina con saluti molto affettuosi mi raggiunse in Abruzzo poche settimane prima della sua morte.

Potrei ricordare un gran numero di altri soci della SIAE. Ma non posso non menzionare i seguenti:

- Cesare Andrea Bixio, compositore di una infinità di canzoni di grande successo, non conosceva la musica; napoletano, dalla voce un po’ nasale, era uno straordinario amministratore delle sue risorse economiche e mise su un efficiente gruppo editoriale, lasciato ai figli; l’ho conosciuto negli ultimi anni della sua vita, ma ricordo bene le sue visite; era sempre sereno districandosi tranquillamente nei tanti affari che aveva in ballo;

- Bixio Cherubini, mi era affezionato perché venivo dall’Abruzzo; lui era nato a Leonessa, annessa alla provincia di Rieti negli anni ’20; era fiero di essere nato abruzzese e si considerava sempre tale;

- Mario Ruccione, il mitico autore di “Faccetta nera” e di altri successi del Ventennio; l’ho appena conosciuto quando in gioventù ero assegnato all’Ufficio Legale; dovevo assai spesso  occuparmi dei tanti pignoramenti che venivano notificati alla SIAE a suo carico; sapeva turlupinare assai bene suoi colleghi di lavoro, ma poi rimaneva regolarmente invischiato nei pasticci da lui creati;

- Giuseppe Cioffi, autore di tante canzoni napoletane, buona ultima “Zazà”; se la dormiva beatamente nelle riunioni della Commissione di Sezione; mi ha invitato tante volte ad andarlo a trovare a Napoli dove viveva con una figlia, si commuoveva come ogni buon napoletano ed aveva con me un fare paterno;

- Angelo Francesco Lavagnino, ligure di Gavi, viveva a Roma vicino all’EUR; quasi tutti gli autori di musica da film lo consideravano come il loro maestro; ne aveva composte tante, bellissime; un suo motivo per un film ambientato in America Latina (“La canzone di Lima”) era diventata una specie di inno nazionale per i peruviani; in età avanzata aveva smesso di comporre e si dilettava a creare delle incredibili minisculture utilizzando ossicini di  animali da cortile; ebbe un tumore nel cervello, fu operato e tornò fra noi per un po’ con una straordinaria serenità finché dovette cedere definitivamente al ritorno del male; lo ricordo come una persona dolcissima e un gran signore;

- Giorgio Federico Ghedini, con la sua impressionante testa calva dall’aspetto di un teschio, era l’uomo più allegro che io abbia conosciuto; sapeva raccontare storielle e barzellette con un effetto comico accentuato dalla sua immagine spettrale;

- Ennio Morricone, nonostante i suoi strepitosi successi ha conservato sempre la sua espressione da giovanetto pulito; non si può non volergli bene; mi sorprendeva ogni volta con i suoi semplici atteggiamenti di rispetto nei miei riguardi; una volta ha attraversato una ampia strada all’EUR, avendomi appena scorto, per venirmi a salutare; mi era comunque grato di aver semplificato la procedura per la nomina a socio della SIAE di sua moglie Maria Travia, pur essa compositrice;

- Vittorio Giuliani, pugliese, funzionario della Casa Curci a Milano, simpatico e riservato; aveva diretto per tanti anni l’orchestra della compagnia di Wanda Osiris fornendo anche le musiche di scena; i suoi colleghi musicisti giuravano che lui era stato l’unico vero amore della grande soubrette, ma egli se ne è sempre schermito con molta discrezione; aveva un figlio anche lui compositore che lo pregava di sollecitare qualche sua pratica presso la SIAE quando veniva per riunioni della Commissione Tecnica, ma Vittorio aveva un forte ritegno a parlarmene o a seccare gli uffici (me lo diceva poi suo figlio venendo a Roma);

- Virgilio Savona, anima del Quartetto Cetra, marito di Lucia Mannucci (un altro Cetra, il più giovane Giacobetti, era mio vicino di casa alla Balduina), era un autore serio, bravo e infaticabile; quasi tutte sue le tipiche creazioni del Quartetto: venne più volte da me perché, scrupolosissimo, aveva bisogno del consenso del poeta spagnolo Juan Ramon Jiménez per utilizzare brani del  suo favoloso Platero y yo; morto in esilio nel 1958, non si riusciva a rintracciarne gli eredi nessuno dei quali era iscritto ad una qualsiasi Società di autori; interessai un paio di Società del Centro America dove aveva vissuto gli ultimi anni, ma inutilmente; cercai di convincere Savona a creare e depositare l’opera indicando il nome di Jiménez con la riserva di riconoscere i normali diritti agli eredi che si facessero avanti, ma mi sembra che egli abbia finito per rinunciare al progetto, per i suoi scrupoli di legittimità;

- Giorgio Vigolo, poeta romano, curatore impareggiabile dell’edizione mondadoriana dei Sonetti del Belli, venne da me per una questione di poco conto che non ricordo; ricordo però che la visita  si trasformò in un festino di poesia del “suo” Giuseppe Gioachino; quando gli dissi che il sonetto belliano da me preferito era il Se more[1], mi abbracciò entusiasta e lo declamammo insieme incantati;

- Carlo Alberto Rossi, compositore, autore, discografico, editore; ha scritto un impressionante numero di successi (Amore baciami, E se domani, La mille bolle blu, Mon pays, Nun è peccato, Quando vien la sera, Stradivarius, Trieste mia, …) cantati dalla nostra Mina e da altri big come Bing Crosby, Nat King Cole, Tom Jones, Sara Vaugham; ha pubblicato un fascicolo con una scelta del suo repertorio “100 canzoni d’autore”, una delle quali, composta per la colonna sonora di un film inglese, è dedicata “a Maria Rosa e Giovanni Proia”;

- Pino Calvi, brillante direttore d’orchestra, autore di “Accarezzame”, era divenuto grande amico di Maria Rosa in occasione di un Congresso CISAC in Senegal; si era felicemente risposato con una cara signora “Mu”; ci siamo incontrati una sera a cena a Roma e avevamo combinato una nostra visita alla loro tenuta agricola nell’Oltrepò Pavese, andata in fumo per la sua assurda scomparsa troppo prematura;

- Nello Segurini, animale musicale, davanti a un pianoforte soffriva finché non potesse sedersi ed esaltarsi in un trascinante spolverio di musica; col suo carattere entusiasta animava facilmente le sedute di una Commissione esaminatrice degli iscrivendi;

- Toni Renis, affetto da una notevole balbuzie; avevo dovuto occuparmi della nomina a socio SIAE di suo padre, che era inviso a gran parte della Commissione di Sezione competente, benché avesse i titoli formali e sostanziali richiesti; ragazzo piuttosto estroverso, mi imbattei un giorno con lui nei corridoi dell’ufficio e mi assalì per raccontarmi che era appena rientrato da un lungo e fruttifero soggiorno negli Stati Uniti e per vantarsi di aver fatto amicizia con vari italo-americani influenti  mafiosi;

- Armando Romeo: mi piace ricordare questo simpatico artista, autore di canzoni che ebbero una certa voga (Tu sì’ ‘na malatia, Zingarella), che incontrai una volta per caso nello scompartimento di un treno Milano-Parigi nel 1957: mi invitò a pranzo nella carrozza-ristorante svizzera e si divertì un mondo a chiedere all’inappuntabile maître elvetico una bottiglia di vino rosso “secco”; il povero ometto stappò successivamente quattro bottiglie il cui contenuto all’assaggio di Armando non era mai abbastanza secco, finché il mio compagno si .. accontentò vedendo l’elvetico giunto ai limiti della sua compostezza professionale; per il resto del viaggio allietò con la sua chitarra un certo numero di viaggiatori accorsi nel corridoio; tempo dopo mi invitò ad andarlo a trovare in un locale (un ristorantino con musica) che aveva messo su a Montecarlo; alcuni anni fa, mi ha inviato un suo libro ricco di humour e di ricordi di vita movimentata, scrivendomi “Caro Gianni, c’è un capitolo del libro che dovrebbe riguardarti personalmente – Qui è descritto il mio e il tuo mondo”, ma, scorrendo le circa 300 pagine, non ho saputo  individuare il capitolo.

Brevi incontri ho avuto con Nino Rota e con Domenico Modugno. Nino Rota venne da me un giorno per raccomandarmi un musicista veneto bravissimo e molto schivo che aveva composto tanta musica per colleghi amici, i quali l’avevano utilizzata come propria facendogli tutt’al più un regalino; il Maestro, con squisita sensibilità, riteneva che si dovesse in qualche modo dare un riconoscimento all’umile compositore così a lungo sfruttato dai colleghi. Domenico Modugno venne invece soltanto per salutarmi e profittò dell’occasione per presentarmi suo fratello Antonio, ch’egli aveva delegato a rappresentarlo presso la SIAE per ogni occorrenza; i suoi eredi ebbero poi a rivolgersi a me per periziare il suo repertorio ai fini del conferimento a una società.

Mi è capitato più di una volta di dovermi occupare della nomina a socio di autori che, pur avendo raggiunti i requisiti formali e sostanziali previsti dalle severe norme sociali in materia, non erano graditi alla maggioranza della Commissione della Sezione Musica che traccheggiava in mille modi per non  fornire il necessario parere favorevole. E’ stata la mia insistenza a determinare il pronunciamento favorevole in casi come, ad esempio, quello dell’olandese Peter Van Wood, da equiparare agli iscritti italiani in quanto cittadino di un paese comunitario europeo; quello di Orfelio Cesari  padre di Toni Renis; quello di Maria Travia consorte di Ennio Morricone.

 

[1] Se more:
Nun sapete chi è mmorto stammatina?
E’ morto Repiscitto, er mi’ somaro.
Povera bestia, ch’era tanto caro
da potecce annà in groppa una reggina.
L’ariportavo via dar mulinaro
co ttre sacchi-da-rubbio de farina,
e ggià m’aveva fatte una diecina
de cascate, perch’era scipollaro.
J’avevo detto: “Nun me fa la sesta”;
Ma llui la vorze fà pporco futtuto; 
E io je diede una stangata in testa:
Lui fesce allora come uno stranuto
stirò le scianche  e terminò la festa.
Poverello! M’è ppropio dispiasciuto.

G.G.BELLI, I Sonetti, a cura di G. Vigolo, Mondadori, 1961, pag. 1656.

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