XXXI.5)  Muore il Presidente Conte

Il 6 novembre 1987 muore improvvisamente il Presidente della SIAE Luigi Conte. Ha ceduto definitivamente il suo cuore, che da tempo  lo aveva avvertito con ripetuti soprassalti.

“Uomo avvertito mezzo salvato”, si dice. Ma Luigi Conte non era il tipo che si facesse intimorire da quegli avvertimenti. Aveva sempre fatto capire che, tra una vita morigerata e attenta e una vita audace, egli non aveva il minimo dubbio. E aveva sistematicamente giocato con il suo cuore, sino a perdere la partita come era già nel conto.

Si potrebbe dire per questo che egli avesse condotto una vita sregolata. Certo, sul piano privato ci stupiva un poco la disinvoltura con la quale, separatosi dalla moglie conosciuta in Svizzera durante un internamento e dalla quale aveva avuto una figlia, si era risposato in età avanzata con la Lucilla Mosca, funzionaria del Ministero degli Esteri, la quale gli aveva dato un figlio,  Adriano, che era ancora un ragazzino alla morte del padre. Separatosi anche da Lucilla dopo anni di vita tempestosa, aveva finito con unirsi con una docile giovane e florida ragazza bruna, dai begli occhi neri e dal formidabile appetito.

Conte non era mai banale. Temperamento vitale, spirito brillante, era sempre imprevedibile e di una schiettezza non comune. Ricordo un episodio che lo dipinge abbastanza bene.

La SIAE aveva motivi di insoddisfazione nei suoi rapporti con la consorella francese SACEM, il cui Presidente Tournier, Presidente anche del BIEM (Bureau International de l’Edition Mécanique), aveva la classica albagia francese mascherata da una buona dose di abilità. Con paziente lavorio e un paio di visite apposite a Parigi, riuscii a negoziare un accordo che risolveva vecchie grane e rasserenava al massimo i rapporti fra le due Società che sono le più antiche al mondo nel loro campo, prima la francese e poco dopo la italiana. Raggiunto felicemente l’accordo, si volle festeggiarlo con una apposita cerimonia in occasione della firma, per la quale ci recammo a Parigi il Presidente Conte ed io. Nella sede della SACEM, alla presenza di qualche Consigliere di Amministrazione e di vari dirigenti, ci fu un simpatico scambio di discorsetti prima della firma e di un sontuoso rinfresco. Durante le amichevoli conversazioni, mi avvidi, con smarrimento, che Luigi Conte, seduto su un divano con le gambe accavallate, esibiva vistosamente una scarpa .. con la bocca aperta, con la suola nettamente staccata sul davanti. Istintivamente andai a posizionarmi davanti a lui come per nascondere quello spettacolo e gli feci un piccolo cenno con gli occhi per indicargli la scarpa: intendevo indurlo a poggiare il piede a terra per far richiudere quella bocca. Ma egli mi rispose con un leggero sorriso e con un lieve alzare delle spalle, come a dirmi: non mi importa proprio nulla.

Nel giugno di quello stesso anno, come ho già raccontato, eravamo andati insieme a Berlino. Prima della partenza mi aveva chiamato il Direttore Generale Capograssi per dirmi che Luigi Conte durante il nostro soggiorno berlinese mi avrebbe parlato di una sua proposta; Capograssi ci teneva a dirmi che lui condivideva pienamente la proposta di Conte. In effetti, la prima sera, dopo cena, in un salone dell’hotel berlinese, il Presidente con tono affettuoso mi chiese se avevo progetti per la mia imminente andata in pensione (mancava meno di un anno). Gli dissi ovviamente che mi sarei potuto finalmente godere la libertà che anelavo da una vita. Ma egli si diceva convinto che io avrei sofferto l’improvviso vuoto dopo una vita così impegnata come la mia. E si dette a  persuadermi di accettare per qualche anno il mantenimento di un rapporto di collaborazione con la SIAE, un rapporto non gravoso, ma tale da attutire i sicuri effetti  sgradevoli del mio avvio al riposo. Lo ringraziai molto, più delle espressioni che della sostanza del discorso, accettando comunque il suo consiglio di pensarci bene. Quella sera mi resi conto di quanto Luigi Conte mi si fosse affezionato.

XXXI.6)  Una cerimonia al Teatro Atelier di Parigi

Proceduto al mesto compito del funerale del Presidente, cui era intervenuto anche il nostro Delegato a Parigi Alessandro Conte, nipote del defunto, questi pose il problema urgentissimo della cerimonia da tenere a Parigi il giorno 10 per il consueto Prix Théâtre Italien Contemporain, un premio che una apposita giuria assegnava ogni anno alla migliore traduzione francese di un’opera teatrale italiana andata in scena a Parigi e al miglior regista  di un’opera italiana. La cerimonia, da tenere al Théâtre de l’Atelier (teatro d’avanguardia che aveva fatto conoscere Pirandello ai parigini) sotto la presidenza di Luigi Conte, era stata già definita in ogni particolare e tutti gli inviti erano stati da tempo diramati, sicché era  ormai troppo tardi un suo rinvio.

Una rapida consultazione alla fine dei funerali portò alla decisione di incaricare me di prendere il posto del Presidente, decisione presa d’urgenza alla quale era difficile sottrarsi, per amor di patria.

Ebbi un giorno di tempo per prepararmi. Venne girata al mio nome la camera già prenotata per Conte al prestigiosissimo Intercontinental Hotel, in rue Castiglione. La cosa più impegnativa per me fu la frettolosa preparazione del discorso da rivolgere ai premiati, alla giuria e al pubblico, sulla base degli elementi fornitimi per telefono dal nostro delegato rientrato precipitosamente a Parigi per dare il via alla cerimonia.

La manifestazione fu presieduta da me e dal Presidente della Società francese degli autori drammatici Claude Santelli. Nel teatro gremito, i premi – deliberati da una giuria italo-francese - vennero da me consegnati alla signora Leloh Bellon per la versione francese della commedia “Ti ho sposato per allegria” di Natalia Ginzburg e al regista Jacques Mauclair per la messa in scena di un dramma di Italo Svevo, presenti l’Ambasciatore d’Italia Walter Gardini e numerosi esponenti del teatro e di istituzioni culturali. Mi commosse Aldo Nicolai che venne, come tanti altri, a complimentarsi per il mio discorso dichiarandosi piacevolmente sorpreso del mio francese. Ma ero stato io il primo a meravigliarmi di essere riuscito a cavarmela abbastanza bene.

XXXI.7)  Compiti di rappresentanza – Viaggi all’estero

In un breve lasso di tempo mi capita di recarmi tre volte a presenziare a nome della SIAE a cerimonie di premiazioni.

Una prima volta a Napoli rappresento la SIAE alla cerimonia di consegna del Premio Curci ai vincitori di un concorso per strumentisti. Una seconda volta sono a Venezia a festeggiare il maestro Nicola Piovani al quale, nella bella sede del Palazzo Labia, viene consegnato il prestigioso Premio Musica Cinematografica: della comitiva venuta da Roma per l’occasione con me e con Maria Rosa fanno parte Mario Verdone, il critico cinematografico padre di Carlo, e la bella attrice Giuliana De Sio. Una terza volta (settembre 1985) sono a Venezia con Maria Rosa per assistere al Teatro La Fenice (poco prima dell’incendio) a un concerto e alla premiazione dei due grandi direttori d’orchestra Carlo Maria Giulini e Franco Ferrara. In questa occasione, dalla piccola terrazza dell’Hotel Bauer abbiamo assistito al corteo del Bucintoro; dopo, ho atteso fino all’ultimo momento che mi venissero recapitati a cura della nostra Sede i biglietti per la cerimonia; arrivati questi all’ultimo istante, corriamo verso il teatro dopo che in fretta io ho gettato nel cassonetto di Campo San Moisè la busta mettendo in tasca i biglietti. All’ingresso del teatro debbo esibire i biglietti, ma mi accorgo di aver messo in tasca la busta. Affannato, torno indietro e, rovistando nel cassonetto, ripesco i biglietti che andrò di volata ad esibire benché spiegazzati e anche un po’ unti.

Partecipazioni a manifestazioni della SIAE come ospite senza impegni onerosi càpitano di tanto in tanto: sempre nel settembre 1985 sono con Maria Rosa al Convegno del Servizio Enciclopedie tenuto al villaggio La Perla Jonica presso Catania; nell’aprile 1986 siamo a Siena alle cerimonie per la premiazione dei Soci anziani; nel giugno 1986 siamo a Spoleto per la chiusura del Festival dei due Mondi; nel giugno 1987 partecipiamo a Pisa a un importante Convegno sul Diritto di Autore; nello stesso mese siamo a Sorrento per l’annuale Congresso dell’ALAI (Association Littéraire et Artistique Internationale). Ognuno di questi convegni ha un programma con manifestazioni di contorno, escursioni, spettacoli, pranzi, ecc: Maria Rosa, oltre alle manifestazioni programmate, si gode anche la libertà di movimento per suoi programmi autonomi mentre io sono impegnato ad assistere o partecipare a sedute e riunioni.

Più regolari sono le riunioni del Bureau International de l’Edition Mécanique: frequenti quelle del Comité de Direction e di Comitati tecnici; biennali salvo qualche eccezione le riunioni dell’Assemblea Generale; a queste ultime normalmente mi accompagnava Maria Rosa. Voglio ricordare in particolare qualche Assemblea.

Nel giugno 1985 andiamo in Argentina per un’Assemblea che si tiene nei pressi di  Mar del Plata, in uno strano Hotel Manantiales. Nell’aeroporto domestico di Buenos Aires, nelle due ore di attesa tra un aereo e l’altro, soffrirò fisicamente il caldo porteño non tanto per la temperatura, quanto per il livello di umidità. Conosceremo Mar del  Plata – la stessa Maria Rosa non c’era mai stata – una  estesa città essenzialmente turistica che è animata anche in questa stagione, non solo nel centro intorno al Casinò e negli stabilimentim balneari. Ammireremo il grande campo di golf in posizione panoramica, andremo nei locali popolari a mangiare il pesce, faremo una puntata nell’interno, con gli efficienti servizi pubblici, per visitare Balcarce, centro agricolo (patate) patria del grande pilota automobilistico Manuel Fangio cui è dedicato un moderno ben fornito museo delle auto da corsa. Terminati i lavori, ci trasferiamo ovviamente a Buenos Aires (Hotel Claridge) per fare una capatina a La Plata, capitale amministrativa della Provincia di Buenos Aires, e per rivedere i parenti a Olivos: è la nostra ultima volta; festeggeremo l’evento con una gita in comitiva al Tigre (dove andiamo per l’occasione utilizzando un servizio pubblico alternativo esercitato con un pullman celere dotato di  aria condizionata).

Nel settembre 1987 l’Assemblea BIEM (Bureau International de l’Edition Mécanique) si riunisce a Taormina, nel classico Hotel San Domenico col bel  parco affacciato alto sulla stupenda costiera. Maria Rosa e le sue amiche scendono a mare a Mazzarò dove, come clienti del San Domenico, possono usufruire di una piscina naturale accanto alle scogliere. In  una giornata libera, gli ospiti incantati saranno portati in gita a Siracusa. Al termine della cena di chiusura tenuta nei giardini dell’hotel, il Comune di Taormina ci offre uno spettacolo  pirotecnico che dialoga tra la città in alto e Mazzarò in basso in una interminabile fantasmagoria di forme e colori che fa impazzire i nostri ospiti e in specie il Presidente Tournier. Sono presenti i delegati argentini, ai quali Maria Rosa ed io dedichiamo molte attenzioni. In albergo un pomeriggio viene a farci visita con un suo collega Giorgio, da Catania dove ha fatto il suo corso di specializzazione in chirurgia plastica e dove poi è andato qualche volta a  dare lezioni.

XXXI.8)  Una perizia per la Casa Ricordi

La Casa Ricordi ha una vertenza con lo Stato, presso la Corte dei Conti, per un indennizzo dovutole in conseguenza dell’esproprio della sua Filiale di Lipsia, subito dopo la guerra, da parte della Repubblica Democratica Tedesca DDR. Dopo la riunificazione tedesca, la Repubblica Federale si è assunto l’impegno di restituire ai legittimi proprietari i beni espropriati dalla DDR. Ma la Filiale di Lipsia della Ricordi non esiste più. Si tratta perciò di liquidare ai danneggiati il valore del bene non più disponibile. Non so come, il Governo italiano ha il compito di  accertare il valore dei beni degli italiani, da far valere presso il Governo germanico o da liquidare mediante prelievo da un forfait concordato fra i due Governi.

La vertenza si trascina da qualche anno tra gli avvocati presso gli uffici della Corte a Piazza Nicosia, dove sono accumulate decine e decine di chili di documenti che nessuno capisce più.

Per venire a capo di questa annosa faccenda, gli avvocati di Casa Ricordi pensano a me, non so perché, e mi fanno avere l’incarico formale di perito di parte. Sono stato pregato di accettare per interesse nazionale e anche perché non sanno a chi altro eventualmente rivolgersi.

Andrò una volta la settimana, per diverse settimane, a Piazza Nicosia in una stanza ove sono accatastate montagne di documenti, ai quali il cancelliere addetto aggiunge senza problemi quelli della vertenza Ricordi. Mi rendo conto che tutti coloro che sono ammessi come me a frequentare quella stanza possono consultare e forse anche manomettere qualsiasi fascicolo che si trova lì in deposito temporaneo. Comunque, io mi romperò il capo dapprima per capire cosa c’è dentro i cosiddetti “faldoni”, poi per selezionare i dati che possono avere interesse concreto e quindi per raccoglierli pazientemente.

Dovrò poi sfruttare tutto il possibile degli scarsi elementi che mi riuscirà di trovare sul mondo musicale della Germania Orientale (mi capiteranno fra le mani, per pura fortuna, informazioni specifiche molto interessanti). Insomma, non saprei più dire come, al termine di alcuni mesi di saltuario impegno riuscirò a mettere insieme una perizia che la Casa Ricordi utilizzerà per chiudere la vertenza.

Il mio lavoro è stato fatto per ordine dei miei superiori, come impegno della SIAE. Non avrò diritto a un onorario, ma avrò un regalino dalla Casa Ricordi.

XXXI.9)  Il termine della carriera

Il 14 maggio del 1988 la mia carriera in SIAE arriva al suo termine naturale, per limiti di età, dopo quasi 47 anni di servizio, iniziati come “diurnista” e terminati come Vice Direttore Generale. Vado in pensione, con trattamento di quiescenza a carico dell’INPS per 31 anni di contributi e dell’INPDAI per gli ultimi 16 anni.

Un rapporto così lungo sempre con la stessa azienda non è raro, ma certamente fuori del comune. Col passare degli anni ho finito per sentire la Società degli Autori come il mio habitat naturale. Eppure, è stato un lavoro che io non ho scelto, ma semplicemente accettato. In tutti questi anni, nessuno degli incarichi che ho avuto è stato da me sollecitato o richiesto. E’ stato come se, sentendomi sostanzialmente un estraneo, non avevo da realizzare nessuna mia personale aspirazione.

E’ questo il motivo che mi ha impedito di battermi davvero per l’affermazione delle idee che pure ho coltivate sulle prospettive di questo ente. Non mi sono astenuto dall’elaborarle e dall’esporle, ma come se esprimessi un parere, sia pur sentito e convinto, su fatti altrui.

Quando si trattava di cose di mia competenza, ho forse addirittura abusato di attivismo e di indipendenza. L’ultimo Direttore Generale Lucio Capograssi si lamentava talvolta che la Dirigenza della Società fosse abituata a chiedere a lui ordini e disposizioni per ogni problema fuori dall’ordinara amministrazione, accampando come una dose positiva quella di essere obbedienti e ligi ai superiori, e mi dichiarava il suo apprezzamento perché, quando io trasmettevo a lui un documento per le decisioni di sua esclusiva competenza, quel documento aveva sempre la forma di un atto decisionale definito e già pronto da firmare, che egli poteva beninteso respingere o modificare ove non fosse di suo gradimento, ma che tendeva ad alleviargli le preoccupazioni, come una vera collaborazione.

Ho avuto la massima fiducia dai miei superiori. Tutto ciò che facevo in piena autonomia ricadeva sotto la mia personale responsabilità esonerando loro dal doverne rispondere sul piano soggettivo. E questo rendeva più spedito e più facile il mio lavoro.

Ma non sono stato convincente su alcuni aspetti fondamentali dell’attività della SIAE e della sua stessa natura. Sono stato sempre convinto che la SIAE dovesse perdere la sua natura di ente di diritto pubblico, che era correntemente da tutti considerata come un usbergo, ma che io vedevo come una armatura difensiva sempre più onerosa e ingombrante. I responsabili della Società si consideravano privilegiati perché essa era l’unica, fra le grandi Società di autori di ogni paese, il cui Presidente fosse eletto dall’Assemblea sociale, ma nominato dal Capo dello Stato. Ciò che però comportava l’intromissione governativa nella gestione sociale, che non si era manifestata vistosamente durante il lungo periodo di governi democristiani, ma che si manifesterà pesantemente appena al governo arriveranno le sinistre.

Sono stato anche sempre contrario a collegare strettamente la misura dei compensi per diritti di autore, nei casi di pubblici spettacoli e trattenimenti, agli imponibili previsti dalle leggi erariali, imponibili non sempre di facile accertamento e comunque aventi natura e finalità fiscali. Ma sembrava che l’incarico di accertamento e incasso delle imposte sugli spettacoli costituisse un elemento di forza della SIAE, finché questo incarico è recentemente terminato, sbilanciando il sistema aziendale.

Ero convinto che alla SIAE non convenisse avere dalle imprese radiotelevisive compensi molto alti, se questi dovevano servire a retribuire anche apporti di natura diversa dalle opere che sono oggetto di diritto di autore. La RAI che attraverso la SIAE paga anche gli ideatori dei programmi e i registi si intrometterà inevitabilmente sui criteri che la SIAE applica nella ripartizione dei forfait e nella fissazione delle tabelle dei compensi.

Ero convinto che la SIAE dovesse far valere meglio, attraverso aggiustamenti dei meccanismi statutari, la sua posizione nell’ambito degli organismi internazionali e in particolare del BIEM (Bureau International de l’Edition Mécanique), tenuto conto della primaria importanza economica del suo repertorio di musica leggera, ridimensionando il ruolo di altre Società, come la olandese STEMRA, che spadroneggiava anche con un po’ di insolenza perché nel suo territorio aveva sede la Philips.

Per tutti questi argomenti, e per tanti altri, io ho prospettato le mie idee ed anche articolato proposte concrete, ma ho sempre doverosamente lasciato ai miei superiori le decisioni politiche nel pieno rispetto delle loro prerogative, astenendomi rigorosamente anche da atteggiamenti di fronda, pago del fatto che essi comunque sapevano apprezzare i miei argomenti opponendomi soltanto delle .. ragioni superiori.


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