Capitolo XXXII
Riorganizzazione della vita privata

XXXII.1)  Ritorno a Luco – Il “palazzotto” [1986-1987]

Dopo la morte di mia sorella Eligia (1984) e dopo che i figli hanno lasciato la casa paterna, Maria Rosa ed io andiamo a Luco sempre più spesso nei nostri week-end. Dalle semplici corse domenicali passiamo a ritorni di sabato, prendendo alloggio per una notte in un albergo di Avezzano. Ci attira la ripresa di contatti con l’altra sorella Giulia, con le famigliole dei nipoti, con qualcuno dei miei amici di gioventù e in primo luogo con Angelina Panella.

Maria Rosa è attratta dalla gente di questo paese, dalla ospitalità semplice che trova dappertutto, tanto che prende l’abitudine di venire sempre più spesso in Abruzzo anche per il suo lavoro nel corso della settimana. Una di queste volte torna a Roma come colta da una improvvisa illuminazione; e mi dice che le piacerebbe avere una casetta a Luco per passarci tutto il tempo possibile.

Per caso, in occasione del successivo week-end passato a Luco, veniamo informati che una giovane coppia romana desidera vendere una casetta che aveva da poco comperata, perché i genitori di lei, in pensione, si sono fatti anche loro a Luco una casa più comoda che può ospitarli nelle loro venute occasionali. Immediatamente contattiamo la coppia, visitiamo la casetta e combiniamo l’affare con soddisfazione da entrambe le parti (atto notarile del 24 ottobre 1986). La casetta nel classico stile locale si trova in via Marruvio, un vicolo (“rua”) che dalla via S. Maria, nella zona alta del paese, discende attraverso gradini e ripiani verso la via Roma, nella parte iniziale dell’abitato venendo da Avezzano. Ai tempi della mia fanciullezza, quel vicolo era chiamato “la rua della processione”, perché, più largo del normale, era percorso dalle processioni che da via S. Maria dovevano scendere a via Roma.

La casetta, sita nella parte più alta del vicolo, aveva: una cantina con ingresso indipendente, nella quale si trovava una vasca in cemento da lavatoio e, nel centro, una tazza da water-closet; un locale cucina-soggiorno con camino, cui si accedeva da un portoncino aperto su un mini-terrazzino a lato del vicolo; una scala in pietra portava dall’ingresso al piano superiore e cioè alla camera da letto; da questa, una botola apribile nel soffittto dava accesso al sottotetto. Per  recarsi dalla cucina o dalla camera da letto al locale con w.c. bisognava comunque uscire di casa sul vicolo e rientrare in cantina.

Ci divertiva l’idea che si trattasse di un “palazzetto” tutto in verticale di quatto piani (cantina, cucina, camera, sottotetto); esso era  inserito tra case analoghe a monte e a valle del vicolo ed aveva due bei balconcini, in cucina e in camera. Si prestava comunque a una facile ristrutturazione e rielaborazione, avendo belle mura solide e spesse in muratura e un tipico portale in pietra ad arco con chiave di volta.

Il viaggio da Roma a Luco – poco più di un centinaio di chilometri –  è facile svolgendosi quasi tutto in autostrada e poi in superstrada, salvo gli ultimi quattro chilometri.

Il nostro architetto di casa Francesco fu ben lieto di progettare la ristrutturazione completa della casetta, prevedendo l’apertura di un passaggio interno tra cantina e scala, la trasformazione della cantina-seminterrato in comodo tinello (da utilizzare per armadi e grandi tavolate) con un lungo sedile in muratura da un lato e  con una piccola toilette, l’arredamento della cucina-soggiorno con un divano-letto, la sistemazione della camera da letto con mobili in legno appositamente disegnati e con un comodo bagno-doccia, l’installazione di una caldaia a gas e delle tubature e radiatori per il termosifone, la ristrutturazione dei servizi idrici ed elettrici e la ripavimentazione completa di tutta la casa, l’applicazione di una scala retrattile per salire al sottotetto.

Qualcuno ci suggerì per i lavori di muratura e pavimentazione il nome di un mastro locale che aveva avuto un piccola impresa di costruzioni, ma che si era ridimensionato a seguito di incidenti di lavoro che sembrava lo avessero fisicamente menomato, Cesidio Venturini. Egli accettò ben volentieri il lavoro, che comprendeva anche la scelta e il coordinamento degli altri addetti per settori specifici (idraulica, elettricità, falegnameria, lavori in ferro, imbiancatura delle pareti, ecc.). Dopo qualche iniziale incomprensione tra Francesco e Cesidio, questi, una volta convinto della validità ed esattezza del progetto, si mise al lavoro con vero entusiasmo, aiutato da un suo cognato, e con una notevole autorità organizzò il lavoro degli altri, di modo che nell’agosto del 1987 potemmo felicemente occupare la casa per le vacanze estive. Eravamo contenti del lavoro fatto da tutti gli intervenuti. Volli esprimere loro i nostri sentimenti invitandoli tutti una sera a cena in un grande locale di Tagliacozzo. Fu una serata simpatica che si concluse a notte alta. Tornati a Luco, ci mettemmo subito a letto per l’ora tarda, ma non potemmo addormentarci perché nel silenzio assoluto della notte si sentiva un certo brusio di fuori, finchè un violino e una chitarra non emersero dal silenzio per eseguire con discrezione una serenata in piena regola: erano i nostri commensali che volevano così dare la buona notte agli sposini romani.

Avevamo occupato la casa per la prima volta il 14 di agosto. Dopo il pranzo del giorno dopo, un bel pranzetto augurale, pensai bene di scendere nel tinello di sotto per distendermi su una sdraio a fare un sonnellino digestivo al fresco; dopo dieci minuti dovetti risalire prima che il freddo mi bloccasse la digestione.

La domenica successiva, verso le nove del mattino, mi avvio con Maria Rosa a fare due passi verso la antica chiesa romanica di S. Maria, fuori del paese. Siccome è presto, arrivati sul luogo mi viene l’idea di salire ad esplorare la montagna lungo l’antico sentiero verso la “Cunicella”, una chiesetta posta sul basso valico (900 metri) tra Luco e Capistrello. Sotto il sole ardente il sentiero dapprima brullo e ripido si fa poi quasi pianeggiante in mezzo alla vegetazione che accorda una deliziosa frescura. Mi inoltro nel sentiero che per un po’ ridiscende per risalire più avanti, ma non vedo la chiesetta che mi era così familiare nella fanciullezza. Essendo andato troppo oltre, torno indietro e finalmente intravedo la punta del piccolo edificio sacro, dove ora si arriva dal paese con una carreggiabile sterrata aperta di recente. Riscendiamo in paese per pranzo e nessuno vuol credere che siamo arrivati alla Cunicella e anche oltre. Questa passeggiata, seguendo il sentiero roccioso a zig-zag disegnato nei secoli dai somari e dai muli, mi ha molto commosso evocando i ricordi di quando esso era percorso dalle robuste donne di Capistrello che scendevano a Luco con grandi cesti sulla testa a vendere fichi o castagne o altra frutta in cambio di grano o patate; ricordo il loro portamento diritto e il coraggio col quale anche da sole traversavano la montagna per portare a casa i preziosi prodotti delle coltivazioni del Fucino.

Alla prima venuta a Luco dopo l’arrivo dei primi veri freddi, entriamo in casa per provvedere, per prima cosa, all’accensione del sistema di riscaldamento. Ma la nuova caldaia non si accende. Forse non sono capace di farla funzionare. Chiamo Cesidio, il mio tutore, perché venga ad aiutarmi; ma lui constata che non arriva il gas dalla rete comunale di distribuzione. E’ ormai notte e sono preoccupato della situazione. Cesidio mi rassicura, si attacca al telefono e fa una severa ramanzina al tecnico del comune addetto al servizio. Costui gli spiega che per qualche motivo la mia domanda di allaccio alla rete è risultata irregolare, sicché l’allaccio già effettuato è stato annullato. Ma le violente imprecazioni di Cesidio convincono il tecnico a venire immediatamente, alle ore 22, a riaprire la fornitura di gas, salvo a vedere il giorno dopo  cosa c’è da fare sul piano burocratico.

La casetta in breve ci permise di mettere radici nel paese ed ebbe un notevole successo anche presso i nostri amici romani venuti in più gruppi e gruppetti a trovarci. Divenne così istintivo per noi, ogni volta a fine settimana, appena liberi, prendere la via di Luco, dove Maria Rosa si ambientò rapidamente; dopo poco tempo, essa sapeva ormai vita, morte e miracoli di una gran quantità di gente. Io invece, avendo passato una cinquantina di anni a Roma, ricordavo soltanto pochissimi amici o coetanei, pur riconoscendo le caratteristiche fisionomie delle famiglie luchesi (ero anzi in grado di capire con una certa approssimazione se una persona era estranea al paese). Non riconoscevo la stragrande maggioranza delle persone che avevano con me legami di parentela e non avevo il coraggio di chiedere loro chi fossero. Mi ci è voluto molto tempo per ritrovarmi luchese fra i luchesi, fra gente che si conosce reciprocamente per nome e per famiglia.

XXXII.2)  L’abitazione romana

La prossima andata in quiescenza mi aveva intanto indotto – su indicazioni razionali di Maria Rosa – a riorganizzare sul piano logistico la nostra vita privata, considerando che, una volta lasciata la SIAE, veniva a cadere la sola ragione che mi aveva indotto nel 1977 ad acquistare casa nelle vicinanze dell’EUR e ad andare ad abitarvi  creando difficoltà continue a moglie e figli.

Nel frattempo il primo marito di Maria Rosa, Rino, aveva acquistato un comodo appartamento da Catina Ranieri, da lui conosciuta negli studi televisivi della RAI. E naturalmente lui e la moglie Mary aspiravano ad andare ad abitarlo, avendo finalmente una casa propria. Si presentava quindi il modo di ricomporre la nostra famiglia, considerando che i figli maschi ci avevano ormai lasciati e che le figlie femmine continuavano a sognare di tornare con la mamma.

Trasferitisi Rino e Mary nella loro nuova casa, ci decidemmo a trasferirci anche noi andando ad abitare in  via Cappelli, realizzando tre obbiettivi: riunirci con le figliole, avvicinarci ai figli maschi, stare in un quartiere assai più vicino al centro.

La positiva esperienza fatta a Luco ci indusse ad effettuare una moderata ristrutturazione e un certo rinnovamento dell’appartamento di Maria Rosa, potendo utilizzare Cesidio Venturini e gli altri artigiani già sperimentati al paese. Trovate alle figliole delle sistemazioni provvisorie, vennero condotti rapidamente i lavori previsti. Io portavo a Roma la domenica a sera Cesidio e suo  cognato, riportandoli a Luco il venerdì sera. Essi alloggiavano nello stesso luogo di lavoro, col minimo disturbo. Al momento giusto, si trasferirono a Roma anche l’elettricista e l’idraulico, tutti accampati in via Cappelli. Una sera, trovammo loro quattro biglietti per lo spettacolo del Bagaglino, in via Due Macelli: fu per loro una straordinaria avventura, specialmente il ritorno notturno a piedi sino all’appartamento.

A fine 1987, dopo dieci anni di vita alla Fonte Meravigliosa, ci trasferimmo a via Raffaele Cappelli, con generale soddisfazione. Io dovevo per un breve periodo residuo andare in ufficio dal Flaminio all’EUR, con un percorso in pieno centro cittadino che non costituiva per me alcun problema.

La casa di via Forster, lasciata libera, viene rapidamente data in locazione al sig. Maurice Rouquille, giovane di Strasburgo, rappresentante in Italia della multinazionale francese Danone e, in particolare, membro del Consiglio di amministrazione della Peroni, con moglie e una bambina biondissima, Camille; mi è stato presentato da un amico di Francesco, Kurt Wentzel.

XXXII.3)  Non lascio ancora la SIAE

Negli ultimi mesi del 1987 Lucio Capograssi è tornato sull’argomento già espostomi in giugno a Berlino da Luigi Conte e mi conferma la proposta di un incarico di collaborazione con la SIAE dopo la mia prossima uscita dai ruoli. Io ho tanto atteso il momento dell’arrivo della libertà, che do la sensazione di volermi far corteggiare. Lucio in effetti cerca di convincermi assicurando che, ovviamente, il nuovo rapporto sarebbe meno vincolante lasciandomi una certa libertà. Mi chiede inoltre di stabilire io stesso la misura del compenso annuale. Io sono assai grato al Direttore Generale per la stima e l’amicizia che mi dimostra ancora una volta e non riesco a dire di no. Ma si svolge tra noi una strana trattativa in cui egli mi offre un compenso pari a quello che la SIAE già riconosce ad altri “collaboratori coordinati e continuativi”, mentre io tiro al ribasso allo scopo di limitare i miei impegni almeno sul piano dell’orario. Arriviamo a una transazione prima della fine del 1987.

Nei primi giorni del 1988, in occasione dello scambio annuale di auguri fra Presidente (ora, il facente funzioni M° Roman Vlad) e Direttore Generale e la Dirigenza della Società, Capograssi dà l’annuncio dell’incarico indicando sommariamente anche alcune materie di cui dovrei occuparmi nella nuova posizione (contratti con le imprese radiotelevisive, rapporti col BIEM, questioni regolamentari, ecc.); egli vuole tastare il terreno per sentire le reazioni della dirigenza, dato che i compiti da affidarmi interferirebbero con le competenze dei colleghi, naturalmente pronti ad occupare i vuoti lasciati da chi se ne va. Rimane un poco sorpreso nel vedere la reazione dei presenti, che si affollano intorno a me per farmi le congratulazioni. A fine cerimonia mi chiama a sé per esprimermi la meraviglia per l’imprevista reazione, dato che si tratterebbe del primo caso di un dirigente della SIAE che lascia i ruoli per limiti di età, ma non gli incarichi (e incarichi di un certo prestigio). Egli aveva temuto una qualche reazione e ora si sente pienamente rassicurato. A giorni procederemo quindi alla firma del contratto di collaborazione, il quale avrà decorrenza dal 1° giugno 1988 (avrò perciò mezzo mese di libertà assoluta prima di reimpegnarmi nella nuova veste).

A metà maggio lascio i locali dell’ufficio al quarto piano, che saranno occupati da un nuovo Vice Direttore Generale. Al mio rientro troverò posto in nuovi più modesti locali nello stesso piano e conserverò come segretaria la stessa Laura D’Harmant che sta con me da tempo .. immemorabile.

Mi sono intanto facilmente abituato al percorso Flaminio-EUR, che farò giornalmente con gli stessi orari che osservavo prima del pensionamento: ma, prendendo in parola le promesse fattemi dal Direttore Generale, accorcio immediatamente la settimana riservandomi sistematicamente il sabato libero. Potrò così godermi tranquillamente la casetta di Luco. Dopo un paio di anni, raccontando a Lucio del traffico che incontro nei rientri a Roma della domenica sera, lui stesso mi ingiunge di non tornare in ufficio il giorno di lunedì, salvo impegni specifici.

XXXII.4)  La riambientazione a Luco

La frequentazione regolare del paese muta in poco tempo il nostro orizzonte sociale. Maria Rosa specialmente viene a conoscenza di una realtà insospettata: la gente del luogo. Innanzitutto i nostri vicini: le donne del vicinato, che dapprima potevano sembrare soltanto curiose nell’interessarsi dei fatti nostri, ci adottano con cordiale semplicità e diventano le guardiane della nostra casetta. Con grande discrezione ci salutano a ogni nostro arrivo e ci mettono al corrente di eventuali novità: in particolare, ci avvertono se qualcuno è venuto a cercarci. Ci fermiamo volentieri a parlare con loro sul pianerottolo davanti a casa e sentiamo la loro simpatia, nelle varie sfumature dei loro diversi caratteri. Un giorno, scherzando, mi lamento di mia moglie che non mi sa fare la minestra di pasta e fagioli; a ora di pranzo qualcuno bussa alla porta e si presenta con una gran ciotola coperta, calda calda: è la pasta e fagioli per me e per Maria Rosa. La quale non perde occasione per conversare con loro e con chiunque per conoscere la gente e le loro storie.

Dopo qualche tempo, i paesani si sono abituati a vedere in giro mia moglie e la riconoscono ormai come una luchese; e qualcuno le chiede: “Anche tuo marito è di Luco?” (nella parlata locale si da del “tu” a tutti, anche al Re, secondo le antiche regole del latino).

Per alcuni mesi non sono riuscito, nei bar, ad arrivare alla cassa per pagare la consumazione; qualcuno dei presenti aveva già provveduto inesorabilmente per noi.

Un bel giorno mia moglie si decide a trasferire a Luco la sua pelliccia di visone, che si trova meglio al freddo e sta anche più sicura dai furti. Dopo qualche tempo va a Luco con la figlia Cristina per qualche motivo nel corso della settimana; al ripartire, chiude a chiave la porta mentre sta salutando una delle vicine. Venerdì sera arriviamo insieme alla solita ora e appena entrati nel vicolo ci accorgiamo che la porta è semplicemente accostata. Maria Rosa si sbianca e corre in affanno a constatare i danni lasciati dai ladri. Ma tutto è a posto, anche la sua pelliccia. Ci si spiega poi che nel chiudere casa lei aveva dato i due o tre giri di chiave senza aver completamente sbattuto la porta, rimasta solo appoggiata. Ma la presenza del vicinato aveva protetto la casa in nostra assenza.

Naturalmente, rapporti correnti si riallacciano con mia sorella Giulia e coi suoi numerosi figli, generi, nuore e nipoti. Purtroppo, Giulia è affetta da una forma gravissima di diabete che ha reso necessaria l’amputazione completa di una gamba. Ella è ottantenne e deve essere completamente accudita con un pesante impegno delle due figlie e della nuora, in turni mensili.

La frequentazione consueta di Maria Rosa è per Angelina Panella, la bravissima sarta (con diverse clienti anche ad Avezzano), nubile, la cui casa – non lontana dalla nostra – è sempre piena di gente: ragazze che la aiutano, clienti, amiche, visitatrici della domenica pomeriggio. Angelina è una istituzione a Luco; di poco più anziana di me, conosce tutto il paese e ha una memoria di ferro. La sua casa è quindi l’ambiente ideale per informarsi di ogni cosa e per seguire gli avvenimenti della comunità luchese. Angelina, già mia amica di gioventù, diverrà la più intima amica di mia moglie.

Il paese è cambiato radicalmente, con una economia in continuo sviluppo. Ci fa impressione notare il numero e la qualità dei negozi di ogni genere, la presenza di una decina tra ristoranti e trattorie, di una trentina di bar, di tre alberghi, di due e poi tre sportelli bancari, ma soprattutto la crescita del patrimonio immobiliare, tra nuove abitazioni e villette, grandi capannoni per derrate alimentari, recuperi di edifici del vecchio centro. Luco è stato il primo dei comuni della Marsica a dotarsi di una rete di distribuzione di gas metano, che ha rivoluzionato radicalmente l’ambiente.

Durante l’estate il paese si popola dei luchesi di ritorno, che hanno conservato qui una casetta per trascorrervi le vacanze e che vengono regolarmente ogni anno dalla città e pian piano portano anche dei forestieri, attratti dalla freschezza del clima estivo. La nuova autostrada permette ormai di arrivare facilmente in paese  nei normali week-end per tutto l’anno.

Un Teatro Dialettale Pro Missioni recita ogni anno una novità scritta e diretta da Pierino Bianchi (“Zì Frate”) e andrà presto a fare una tournée in Canada ad entusiasmare e commuovere i nostri emigranti. Un Coro Folkloristico diretto dal maestro Francesco Fina andrà presto a Chicago ad un Festival folkloristico con diverse formazioni di altre Regioni d’Italia e avrà l’onore di aprire la grande sfilata annuale del Columbus Day (Maria Rosa ed io li abbiamo accompagnati in questa memorabile occasione, come racconterò più avanti).

D’estate arriva  al paese da Firenze Luisa Carlini con suo marito il dott. Nino Lucci, lei luchese, lui avezzanese, miei vecchi amici. Vivono da anni a Firenze dove lui era Cancelliere capo della Corte d’Appello e lei insegnante di Francese, ora ambedue in pensione. Hanno casa ad Avezzano, ma ogni giorno si trasferiscono a Luco in casa di Angelina. Essi saranno i nostri compagni di vita giornalieri per due o tre mesi d’estate. Sarà Nino Lucci a farmi riconoscere il paese e i suoi abitanti, che per lui sono da tanto tempo familiari

Un giorno mi colpisce un cartello “Vendesi” affisso davanti ad una casa che era appartenuta ad una delle famiglie notabili del paese, ultimamente  concessa in locazione dall’ultimo proprietario ad una brava coppia avente tre figli propri e due ragazzi in “affidamento”. Fulmineamente decidiamo, Maria Rosa ed io, che la compreremo se ci sarà possibile: veniamo a sapere della intenzione degli attuali occupanti di acquistarla se riusciranno a mettere insieme la somma necessaria con l’aiuto dei genitori del marito. Ma i poveretti non trovano il necessario sostegno familiare. Li frequentiamo comunque perché ammiriamo lei, una donna non comune per finezza di educazione e per capacità di sacrificio. Attenderemo un anno intero perché loro trovino i mezzi per l’acquisto, che il proprietario del resto sarebbe disposto a facilitare con un sostanzioso sconto sul prezzo.

Un mattino domenicale dell’anno successivo, visto che l’affare non si conclude per sincera confessione della famigliola, io mi decido a farmi avanti. Preparo in quattro e quattr’otto una bozza di accordo di compromesso, lasciando in bianco solo il prezzo di acquisto e l’ammontare della caparra. E ci presentiamo in casa del proprietario. Lui e sua moglie si stanno preparando per andare a una festa matrimoniale. Ci ricevono volentieri. Ci confermano che avrebbero di buon grado venduto la casa agli attuali occupanti, a condizioni speciali, ma si sono convinti che essi non sono in grado di affrontare un impegno per loro troppo gravoso. E sono contenti che all’acquisto siamo pronti noi. In non più di un quarto d’ora concordiamo il prezzo e l’entità della caparra, firmiamo l’accordo e io lascio l’assegno. Ci diranno dopo che alla festa matrimoniale hanno incontrato gli eredi della famiglia di notabili che aveva posseduto e ricostruito la casa dopo il terremoto del 1915, venuti appositamente a Luco nell’occasione di quel matrimonio per riacquistare  il palazzo avito. Sono stato così ancora una volta fortunato in una vicenda immobiliare. Ed ho trovato il miglior modo per investire la mia recente indennità di liquidazione. Poco dopo ho completato la proprietà acquistando, da un componente della stessa famiglia, un’altra unità immobiliare facente parte del medesimo edificio, quella cioè nella quale era stato installato l’Ufficio Postale, con una annessa porzione della cantina.

Aspetteremo molto tempo perché la casa sia liberata (noi non abbiamo una particolare fretta), per poterne prendere piena conoscenza. Essa avrà bisogno di una radicale ristrutturazione e di un profondo rinnovamento. Dovrà impegnarsi per questo il nostro architetto Francesco, che potrà disporre delle capacità dello sperimentato Cesidio Venturini.


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