Maria Loreta Panella

Jean-Paul Sartre: “Bariona, o il figlio del tuono”.
Breve esperienza
religiosa in Sartre.

(2004)

 

Introduzione | Svolgimento | Conclusione | Bibliografia | í

 

Bariona figlio di Giona 
o Boanergés figlio del tuono?

 Introduzione

Fortezza nel deserto. Scrutano all'orizzonte ospiti sconosciuti, tra le mura riducono schiavi ospiti benemeriti (cf. Sap. 19,14)In questo lavoro mi propongo di mettere in luce il significato dell’esperienza religiosa in J.P. Sartre, notoriamente riconosciuto come l’esponente di un esistenzialismo ateo.

La lettura di “Bariona”  offre l’occasione di ripensare l’ateismo di Sartre e la sua filosofia dell’esistenza seguendone le tappe fondamentali attraverso la lettura delle opere filosofiche.

Tra le opere di teatro, narrativa e filosofia di Sartre, “Bariona, ou le fils du tonnerre”, può dirsi sia una vera e propria eccezione. Vi si parla di Gesù Bambino, della Madonna, dei Re Magi. Una storia, insomma, straordinaria nella bibliografia intellettuale di Sartre.

Ecco di che cosa si tratta.

Bariona è un racconto scritto e rappresentato da Sartre nel Natale del 1940 per i suoi compagni di prigionia nel campo di concentramento di Treviri. Allora il Nostro ebbe modo di conversare a lungo con i preti detenuti discutendo di fede e di teologia. Dalle lettere scritte a Simone de Beauvoir sappiamo che intrattenne lunghe discussioni con l’abate Page e con il gesuita Perrin (di quest’ultimo Sartre parla nel 1946 in L’ Existentialisme est un humanisme). La storia del racconto ruota intorno alla figura di Bariona (dal soprannome di “figlio del tuono”), capo di un villaggio vicino a Betlemme ed è ambientata nell’epoca in cui la Giudea era oppressa dai Romani e vessata da continue richieste di tributi. Dovendo cedere alle pressanti richieste del funzionario Romano, Bariona convincerà i suoi compaesani a pagare; ad una condizione, però, che gli abitanti del villaggio non faranno più figli.

Intanto, ai pastori appare un angelo che porta la buona novella della nascita di un bambino: il Messia. Per Bariona sono tutti pazzi e si rifiuta di seguire i Re Magi, venuti dall’oriente. Egli, però, torna sui suoi passi e alla visione di Gesu Bambino abbandona ogni diffidenza verso il Messia e si impegna nella liberazione del suo popolo.

Svolgimento

 Come già detto, Sartre nel 1940 viene fatto prigioniero e detenuto fino all’Aprile del 1941 nel campo di Treviri. E’  a questi mesi che risalgono alcune sue opere: I Carnets de la drôle de guerre, le prime pagine de L’Etre et le Neante. Il periodo trascorso nel campo di concentramento segnò nella vita di Sartre una svolta umana e culturale.

L’esperienza della guerra lo sradica dall’individualismo, lo porta alla consapevolezza dell’importanza della socialità dell’uomo, ma anche alla convinzione dell’inutilità della guerra. La precaria, anche se non dura, condizione di prigioniero, lo porta ad un nuovo modo di sentire l’esperienza religiosa. Certamente questa sua esperienza “cristiana” fu tutt’altra cosa rispetto all’educazione religiosa che ebbe in famiglia; egli stesso dirà che il cristianesimo familiare era di pura facciata.

Insomma in quei giorni del dicembre del 1940 fece un’esperienza eccezionale.

Sino al punto di sentirsi animato da fede religiosa?

Sartre dichiara che “Bariona” non esprime un momento di crisi spirituale, ma non si può di certo negare che si sia trattato di un momento intellettuale ed umano di forte intensità. Come, del resto, non si può negare che il problema di Dio abbia attraversato l’intera produzione sartriana. Egli, in effetti, ha dato attenzione al tema di Dio nei suoi saggi più importanti così che possiamo sostenere che sia stato uno tra i più grandi pensatori del Novecento, di area laica, ad avere “sentito” il problema di Dio.

Nel 1946 in L’esistenzialismo è un Umanismo,  dirà: ”L’esistenzialismo non è un ateismo nel senso che si esaurisce nel dimostrare che Dio non esiste; ma preferisce affermare: anche se Dio esistesse nulla cambierebbe; ecco il nostro pensiero. Non che noi crediamo che Dio esista; ma noi pensiamo che il problema non sia quello della sua esistenza; bisogna che l’uomo ritrovi se stesso e si persuada che nulla può salvarlo da se stesso, fosse pure una prova valida dell’esistenza di Dio. In questo senso l’esistenzialismo è un ottimismo […] e solo per malafede - confondendo la loro disperazione con la nostra - i cristiani possono chiamarci disperati”[1].

Il problema dell’esistenza o non esistenza di Dio, egli dice, supera completamente la nostra esperienza. Da cosa deriva il suo ateismo? Da una presa di posizione netta a priori. Insomma da un atto di fede nella non esistenza di Dio.

Cosa comporta tutto ciò? Comporta che l’uomo deve realizzare un proprio progetto di vita, sapendo di essere pienamente libero di progettare e realizzare la propria esistenza. Se l’esistenzialista pensa che sia impossibile trovare in ciascun uomo una essenza universale, una natura umana, nondimeno ritiene che vi sia una universalità umana di condizione. L’individuo costruisce la propria singolarità nella relazione agli altri, nella concreta condizione in cui vive, che esige ch’egli si progetti e si costruisca o realizzi come universalità.

La libertà costitutiva dell’ uomo impone all’uomo di inventare se stesso, di essere totalmente responsabile di ciò che egli si fa. Seguendo la lezione di Husserl descrive come stanno le cose: l’uomo scopre i valori nel suo vissuto; e poiché questa scoperta pesa totalmente sulla responsabilità dell’uomo, in quanto non si può credere ad una verità rivelata, l’esistenzialista pensa coerentemente, che sia “molto scomodo che Dio non esista”[2].

Si tratta di un ateismo scomodo, cioè difficile da tenere come verità: “ per un cristiano, la fede è un divenire che è costantemente in pericolo…, per me… il divenire ateo è una lunga e difficile impresa, un rapporto assoluto con questi due infiniti: l’uomo e l’universo”[3].

In che cosa si differenzia la prospettiva del credente, sul problema dei valori, da Sartre? Dal tema del fondamento dei valori. Questione rilevantissima, su cui, però, Sartre dice che la ragione non può dare dimostrazioni. La provenienza fenomenologica del suo esistenzialismo lo porta a descrivere l’esistenza come essa si dà. E in questo darsi, in cui la relazione agli altri è essenziale, l’individuo è aperto a valori solidaristici.

E il Nulla che Sartre pone al centro nel 1943 del suo lavoro teoreticamente più impegnativo e più importante? In Nulla non è un essere, né il contrario dell’essere: è attività nullificante. Il nulla sartiano è attività negatrice di ciò che l’uomo è in rapporto a ciò che può essere, a ciò che può fare di se stesso, alla sua capacità di autodeterminarsi. La coscienza di cui parla Sartre non è un dato, ma un farsi.

Nel saggio L’universale singolare egli riprende il filo del discorso sul cristianesimo. La fede, egli sostiene, è tale in quanto esige di credere in verità che sono, in sostanza dogmi. Se negare il dogma è da pazzi, volerlo dimostrare è da imbecilli. Il rapporto tra immanenza e trascendenza non può essere oggetto di sapere: è questione di vissuto. Ma se si credesse nell’esistenza di Dio, come potrebbe essere salvaguardata la libertà dell’ uomo? Per Sartre l’uomo è ciò che si fa. L’esistenza è assoluta libertà. Dio non esiste poiché, egli dice, la sua esistenza negherebbe o annullerebbe la libertà dell’uomo. Se Dio viene riconosciuto come onnipotenza e assoluta libertà, l’uomo si riduce al nulla. Ma poiché l’uomo è puro progetto, assoluta libertà di dissolvere ciò che pone in essere, nell’atto in cui pone Dio al contempo lo dissolve.

Conclusione

Se Sartre ha scritto un testo religioso ciò è dipeso da una scelta.

Per parlare di Dio egli aveva bisogno di raccontare una storia, di descrivere un’esperienza, insomma di trovare il divino nell’umano.

Sartre si avvicina al problema religioso con l’immaginazione, vivendo un’esperienza che definirei, con audacia, mistica. Esperienza di quel di più che c’è, nel mondo, che si può sentire o intravedere, ma non vedere né spiegare.

In “Bariona” il discorso sartriano non è su Dio, ma è un discorso a Dio. Il rapporto con Dio è nella massima prossimità.

Certamente questa esperienza del sacro è circoscritta a quel Natale del 1940. Ma un fatto è accaduto e, sartrianamente, è accaduto per sempre. Per un istante, ma anche per sempre, Sartre è stato un mistico.

Concluderei proponendo una riflessione dello stesso Sartre in Autoritratto a settant’anni: “Rimangono delle cose che rifiutano persino a me di essere pronunciate, che io posso dire a me stesso, ma che non vogliono concedermi di poterle dire all’altro  […]. Esiste sempre una specie di piccolo margine che non viene detto, che non vuole essere detto”[4].

 

[1] J.P. Sartre, L’Existentialisme est  un humanisme, Paris, Nagel, 1946 ; tr. it., L’esistenzialismo è un umanismo, Milano, Mursia, 1965, pp. 92-93

[2] Ibidem, p. 46.

[3] J. –P. Sartre, L’universel particulier, in AA.VV., Kirkegaard vivant, Paris, Gallimard ; tr. it., L’universale singolare, Milano, Il Saggiatore, 1980, p. 164.

[4] J.P. Sartre, Autoritratto a settant’anni, Milano, Il Saggiatore, 1976.

 


 Bibliografia

J.P. Sartre – L’être e le néant – Essai d’ ontologie phénoménologique, Paris, Gallimard,1943. Ed. it. L’essere e il nulla, Milano, Mondadori, 1958. 

Idem – L’existentialisme est un humanisme, Paris, Nagel, 1946. Ed. it. L’esistenzialismo è un umanismo, Milano, Mursia, 1965. 

Idem – L’universe singulier, in Kierkegaard vivant Paris, Gallimard, 1966. 

Idem – Bariona, ou le fils du tonnerre (1940), in M. Contat et M. Rybalka, Les écrits de Sartre, Paris, Gallimard, 1970. 

G.M. Tortolone – Invito al pensiero di Sartre, Milano, Mursia, 1993. 

G. Giannantoni – La ricerca filosofica: Storia e Testi vol. 3, Torino, Loescher, 1985.

 

Ho capito, però me lo rileggo! E tu?ASMN I.C.102 F 11r Peto Domine (resp., dom. III sett., Tobia senior)finis

 

 

 

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