VI

L’ERMENEUTICA FILOSOFICA DI H.-G. GADAMER 
NON È VALIDA PER LE OPERE-ICONÌA
DELLA S. SCRITTURA (cfr. IV, 2)

VI.1   La ‘critica’ di Eric D. Hirsch sulla ‘non-validità’ dell’ermeneutica di H.-G.  Gadamer

           L’ermeneutica filosofica delle opere d’arte, che H.-G. Gadamer ha teorizzato[1] - e che viene riconosciuta come la più considerevole trattazione “che ci sia giunta in questo secolo dalla Germania” [2] -,  richiede che le si dedichi attento esame, perché il discorso che qui si va facendo su ermeneutica e critica delle opere d’arte risulti ‘colloquio’ con sì forte ed apprezzata teoria, e con quanti ne danno un giudizio non del tutto positivo [3].

            Eric D. Hirsch - e cito uno dei più tenaci oppositori - critica il processo cognitivo di Gadamer e le conclusioni alle quali questi approda, in quanto esse possono “essere nelle loro implicazioni più distruttive di quanto egli [Gadamer] avesse calcolato”. Infatti, sostiene Hirsch, il “trattato sull’interpretazione” del Filosofo tedesco è “concezione che non può fornire alcuna norma soddisfacente di validità” [4].

            Per Hirsch la teoria ermeneutica di Gadamer è inficiata da un certo ‘scetticismo’.

            Anzitutto, v’è scetticismo nel metodo, in quanto “non vi può essere una Methodologie dell’intrepretazione testuale perché l’interpretazione non è, dopo tutto, una Wissenschaft (scienza), il cui scopo sia una conoscenza oggettiva e permanente” [5].

            Poi, e nella stessa concezione della teoria dell’ermeneutica, troviamo l’affermazione dell’indipendenza dell’opera letteraria (o artistica) “dall’autore e dalla designazione determinata (destinatario, lettore originario, ecc.)”, a favore dell’autonomia del testo scritto, così che “nessuna singola interpretazione potrebbe mai corrispondere al significato del testo”, perché “il testo, essendo indipendente da ogni particolare coscienza umana, assume l’esistenza autonoma della lingua stessa” [6].

            Infine, sconcerta l’ambiguità del “concetto di tradizione”, escogitato da Gadamer, quale “funzione di conservazione e di trasmissione spirituale [...], che porta in sé, in ogni presente, la sua storia nascosta”, ma che “non può di fatto funzionare da stabile concetto normativo” [7], che permetta “una scelta valida tra due interpretazioni differenti” - di due “lettori contemporanei” (ad esempio) -, qualora si ritenga che “ogni nuova interpretazione per il fatto di esistere appartiene alla tradizione e la modifica”, prescindendo dal discernimento se “tutte le interpretazioni plausibili sono compatibili [8].

            Tale distinzione tra il plausibile ed il compatibile è fondamentale per il Professore americano.

            Hirsch, infatti, ritiene che tale ‘distinzione’ è capace di mettere in luce la debolezza teorica dell’ermeneutica di Gadamer, perché con siffatto criterio si può “dimostrare che una valida interpretazione è impresa possibile, malgrado l’evidente anarchia che ha caratterizzato il commento testuale dai fastigi del periodo alessandrino fino ai giorni nostri” [9].

            Nella considerazione del presente paragrafo sottintendo le ‘critiche’ di Hirsch, e le estendo esplicitamente dal ‘testo letterario’ all’ermeneutica dell’opera d’arte visiva - considerata da Gadamer nell’Attualità del Bello come ‘proprium’ della sua ricerca -, per vagliarne la ‘validità’ o ‘compatibilità’ (appunto),  sia nel campo della produzione artistica in generale e della critica  ‘iconologica’, sia in quella che è stata ‘messa su per rendere ‘visibile: zur Schau stellen’ il dato di Fede - oggetto della critica ‘iconoteologica’ -, così che lo spettatore lo avesse ‘dinanzi agli occhi: vor Augen (gestellt)’ nell’intessere il ‘dialogo’, che dà ‘orgine: Urspung alla formazione del giudizio e alla coscienza estetica.

            Prospetto la trattazione di Gadamer nei quesiti fondamentali e tra loro strettamente connessi, servendomi del metodo heideggeriano-gadameriano del ‘Fragensatz: frase interrogativa’, cioè del porre una domanda-Frage che, ovviamente, postula una risposta-Antwort.

            Le domande essenziali vertono su: i criteri dell’ermeneutica letteraria sono presenti anche nell’opera-estetica ‘estralinguistica’ ? (cfr. VI, 2); e su: quale tipo di significazione ha l’opera d’arte, e quale polisemia? (cfr. VI,  4--6).

            A questi interrogativi farò seguire esplicitamente la preoccupazione ermeneutica (primaria nel presente saggio) degl’iconoteologi, e non solo; vale a dire: è l’estetica ermeneutica (o “estetica filosofica”) ‘teorizzata’ da Gadamer ‘valida’ (o almeno ‘compatibile’) come ‘sapienza secolare’ alla visione e alla critica delle opere d’arte antiche e moderne, intuìte e prodotte nell’ascolto della sacra Scrittura? (cfr. VI, 7-9).

            In breve, metto in discussione e sollevo il dubbio che il cammino-Weg, indicato da Gadamer, non solo non offra la “chiara direzione: die Klare Richtung” per pervenire ad appropriata interpretazione delle opere d’arte che ‘dicono’ l’annuncio del Vangelo, ma addirittura costituisca un “rischio: Gefahr”, che porta fuori strada (cfr. VI, 10) [10].

VI.2   L’ermeneutica letteraria si estende all’opera-estetica estralinguistica

            Gadamer nel saggio “Estetica ed Ermeneutica” stabilisce i confini della propria ricerca.

            Egli, in comunione con E. Kant, intende trattare dell’estetica filosofica, di  cui riconosce che la “vera e propria origine” - anzi “la sua fondazione” - è nella Critica del giudizio del filosofo di Königsberg. Si differenzia però da questi perché ritiene che “il problema teoretico dell’estetica” non deve comprendere “il bello della natura e dell’arte” ma il solo bello dell’arte, in quanto “il bello naturale [estralinguistico] non dice qualcosa nello stesso senso in cui ci dicono qualcosa le opere create per l’uomo, quelle che noi chiamiamo opere d’arte” [11].

            In questa particolare determinazione Gadamer è all’interno anche della speculazione di Hegel, perché nella “più acuta riflessione” avviata dal Filosofo dell’Assoluto sul “rapporto tra bello naturale e bello artistico” questi vede raggiunto il “valido risultato: il bello naturale è un riflesso del bello artistico”, come ne dà “testimonianza inconfutabile” la storia estetica di un “paesaggio alpino, oppure il  fenomeno di transizione dell’arte del giardinaggio” [12]; basti aver presente (e mi rifaccio ad alcune puntualizzazioni di R. Assunto): il giardino di ispirazione illuminista , il giardino romantico, il giardino neoclassico, il giardino inglese [13]. E Gadamer conclude: “è quindi giustificato partire dall’opera d’arte se si vuole determinare il rapporto di estetica ed ermeneutica” [14].

            Cito l’incipit dell’Estetica di Hegel, che è presente nella considerazione di Gadamer, anche nel qualificare ‘filosofica’ l’ermeneutica dell’arte. “Queste lezioni sono dedicate all’Estetica - premette il Filosofo.  Il loro oggetto è il vasto regno del bello e, più dappresso, il loro campo è l’arte, anzi, la bella arte. [...] Tuttavia la scienza che qui s’intende, considera non il bello in generale, ma puramente il bello dell’arte. [...] Il vero e proprio nome per la nostra scienza è filosofia dell’arte, e più specificamente filosofia della bella arte [15].

            L’accenno a questi testi era opportuno per inquadrare la posizione di Gadamer, che fa riferimento (sia pure  con nuances non certamente lievi) alla galassia teorica di Alexander Gottlieb Baumgarten [1714-1762]: “l’estetica è la scienza della conoscenza sensibile: Aesthetica est scientia cognitionis sensitivae”; ed ancora: “scienza del conoscere qualcosa in maniera sensibile: scientia sensitive quid cognoscendi[16].

            In realtà, è con la Critica del giudizio di Kant che s’instaurava la nuova “concezione dell’arte” quale creazione soggetiva.

            “Da parecchio tempo - scriveva Kant - è invalso l’uso di chiamare ‘estetico’, cioè sensibile, un modo di rappresentare (Vorstellungsart) non alla facoltà conoscitiva (Erkenntnisvermögen), ma al sentimento del piacere e dispiacere (Gefühl der Lust und Unlust). Ora, sebbene noi siamo soliti chiamare questo sentimento (nell’accezione suddetta) anche ‘senso: Sinn’ (modificazione del nostro stato: Modifikation unseres Zustandes) perché ci manca un’altra espressione (Ausdruck), esso però non è un senso oggettivo (objektiver Sinn), [...], ma una recettività del soggetto (eine Empfändlichkeit des Subjekts). [...] Le determinazioni del sentimento non hanno che un significato soggettivo (alle Bestimmungen des Gefühls bloss von subjektiver Bedeutung sind)” [17].

            Kant poneva, pertanto, il criterio della critica dell’arte nel giudizio di gusto, che è giudizio non determinante ma riflettente. Il Filosofo della terza Critica contestava perciò l’estetica-scienza di Baumgarten, e la designava “fallace speranza” dell’“eccellente analista”, che intese “riportare la valutazione critica del bello a principi razionali e di elevarne le regole a scienza”. Solo la ‘estetica trascendentale’  è per Kant “scienza” [18].

            L’interpretazione estetica, dunque, guidata dal giudizio di gusto, “riposa sulla percezione sensibile-Sinneswahrnehmung”, ed  è da distinguire - com’è stato notato (ad esempio) da R. Assunto, filosofo-storico della “Teoria del bello nel Medioevo” - dall’interpretazione estetica dell’uomo medievale, il quale intuiva “il Bello” come proprietà oggettiva dell’essere in sé, così che le cose create dall’uomo erano belle nella misura in cui partecipavano alla bellezza oggettiva, che Dio irraggiava sul mondo” [19]: che è estetica del tutto divaricante da quella hegeliana: “il bello naturale è un riflesso del bello artistico” (cfr. sopra) [20].

            In realtà, è lapalissiano che il bello artistico è quello creato dall’artificio  dal facitore dell’opera d’arte. Tralasciare, però, di ‘vedere’ il bello della natura come il ‘bello creato da Dio’ - ‘teorizzato’ e ‘gustato’ nell’estetica del Medio Evo (e non solo) - è de facto pèrdita culturale, che inficia la visione della ‘totalità’ del ‘regno del bello’ - per usare un enunciato hegeliamo -, sia del rapporto analogico con Dio ‘summus artifex’ ed esemplare di ogni attiviità ‘artistica’, e sia del rapporto, asserito nel Nuovo Testamento, con il Verbo  ‘arte di Dio’, “per mezzo del quale le cose tutte furono fatte, e senza di lui nulla fu fatto di quanto esiste” (Giovanni 1, 3); e, per di più, nella bontà-bellezza / bellezza bontà, come esponeva l’estetica di Plotino ‘cristianizzata’ da Dionigi Areopagita (cfr. VII, 1).

            Merito di Gadamer è di avere esteso il discorso filosofico sull’estetica alla ‘esperienza dell’arte’ e alla ‘coscienza estetica’ del fruitore; vale a dire di aver posto esplicitamente “la questione del linguaggio dell’arte e della sua legittimità del punto di vista ermeneutico rispetto all’esperienza dell’arte[21].

            Gadamer, quasi volesse seguire la metodologia della ‘disputa’ degli Scolastici (prima ancora del ‘dialogo: Gespräch’ alla maniera di Heidegger), inizia mettendo in dubbio (quasi un ‘sed contra’) la validità  del rapporto estetica-ermeneutica, e prospettando (provvisoriamente) un esito negativo.

            Pone difatti la ‘domanda’: l’opera d’arte - o, e meglio: l’esperienza dell’opera estetica - appartiene all’ermeneutica? E struttura la risposta  facendo presente che si ha bisogno di ‘ermeneutica’ quando è necessario “oltrepassare la distanza umana o spirituale tra uno spirito ed un altro spirito”; mentre l’opera d’arte, “ci parla nel modo più immediato ed emana una familiarità, che è al tempo stesso enigmatica e coinvolgente tutto il nostro essere, come se non vi fosse più alcuna distanza”, quasi che l’opera ed il suo rispettivo osservatore esperissero piena “contemporaneità” [22].

            Il Filosofo ermeneuta scioglie  la ‘enigmaticità’ del nodo estetica-ermeneutica con l’esame delle funzioni dell’ermeneutica letteraria, e con il provare che esse hanno luogo, e alla stessa guisa, quando ‘interpretiamo’ le opere d’arte-opere estetiche, interrogandole e lasciandoci interrogare [23].

            In questo incontro dialogico prendiamo coscienza che le opere d’arte - spiega Gadamer - sono “enunciazione di senso”. Le enunciazioni di senso, però, “sono anzitutto tutte le espressioni linguistiche”, “hanno il carattere ermeneutico del discorso” [24]: è sufficiente richiamare alla memoria “la derivazione etimologica del termine ermeneutica” dal nome di Hermes, “l’interprete del messaggio divino per gli uomini” [25].

            Ora, “trasmettere i contenuti di una lingua straniera per la comprensione altrui” è possibile soltanto se “si è inteso il senso di ciò che si è detto e lo si costruisce ex novo in un’altra lingua”. Quindi “un tale processo linguistico presuppone il comprendere”. Ma “ogni esplicazione di ciò che è intelligibile, e che aiuta gli altri ad intendere, ha certamente un carattere linguistico” (cfr. sopra). Pertanto, se il costitutivo sine qua non di ogni interpretazione è il ‘capire-comprendere’, ne segue che  l’ermeneutica linguistica è valida ed estensibile all’opera d’arte, ed in quanto tale. Questa infatti, pur nella sua sostanza e struttura estralinguistica, “ha un senso” e “ci dice qualcosa”; come le opere letterarie, appunto [26].

            Certamente tale processo conoscitivo dell’opera estralinguistica ha modalità propria, quella che si sviluppa in forza della presenza estetica dell’opera, che è ‘immediata’ (lo si è accennato), ed impegna a rispondere all’incontro (Begegnung), che è ‘dialogo diretto’ con la coscienza estetica del fruitore.

            In questa situazione - accennata da Gadamer nell’obiezione (vedi sopra) -, l’osservatore dell’opera d’arte non può sottrarsi al compito ermeneutico: ‘tradurre’ e ‘spiegare’ l’emozione procuratagli dalla ‘percezione’ - la “modificazione: Modifikation del nostro stato, diceva Kant (cfr. sopra) -, e dal sorgere della ‘rappresentazione’ dell’oggetto nell’immaginazione, che - e riporto ancora Kant - si ‘gusta’ nel giudizio-Urteilskraft in modo spontaneo e conforme all’esigenze dell’intelletto.

            Pertanto, conclude Gadamer, il processo cognitivo che prende l’abbrìvo nel ‘momento ermeneutico’ - che appartiene al complesso integrale di ciò che dobbiamo rendere intelligibile -, è “talmente comprensivo da contenere in sé anche l’espressione del bello”, sia nell’opera letteraria-poetica che nell’opera d’arte-bella visiva [27].


[1] Hans-Georg Gadamer, Die Aktualität des Schönen, Kunst als Spiel, Symbol, und Fest, Ph. Reclam Jun., Stuttgart 1986; ID., L’attualità del bello. Studi di estetica ermeneutica, Edizione italiana a c. di Riccardo Dottori, Marietti Ed., Genova  1988.

[2] Eric D. Hirsch jr, Teoria dell’interpretazione e critica letteraria, Il Mulino ed., Bologna 1973, p. 257.

[3] Sulla posizione degli ‘ermeneuti’ Gadamer ed Hirsch, cfr. Pier Luigi Carisola, Dall’impegno sociale al disimpegno dal testo: la critica dei nostri giorni, in “Storia della critica letteraria in Italia”, a c. di Giorgio Baroni, UTET Lib., Torino 1997, pp. 496-548. Carisola caratterizza l’ermeneutica di Gadamer e di Hirsch nel paragrafo “La neoermeneutica”, riassumendo la teoria del primo nella “irrecuperabilità del significato testuale quale lo pensò originariamente l’autore”, persuaso che per superare la ‘distanza storica’ occorresse ‘fondere i due orizzonti’ “dell’autore e del lettore-ermeneuta”; e la teoria del secondo, il quale ricostruisce  in ‘due momenti distinti’: sia “il significato (meaning) del testo secondo l’intentio auctoris”, che è momento “oggettivante-storicizzante”; sia la ‘significanza-significance’, che pone il significato-meaning “in rapporto alla situazione dell’interprete”, che è momento ‘soggettivante-attualizzante’. - Su Gadamer, cfr. anche :Alberto Casadei, La critica letteraria del Novecento, Il Mulino, Bologna 2001, pp. 125-133; Gianni Vattimo, La fine della modernità. Nichilismo ed ermeneutica nella cultura post-moderna, Garzanti ed., Milano 1985. Vattimo studia l’ermeneutica di Gadamer nel cap. VII: “L’ermeneutica e nichilismo”, prendendo in esame soprattutto il saggio di Gadamer “Verità e metodo”, ii cui ‘nucleo teoricamente rilevante’ è dedicato al “recupero del problema della verità nell’arte” (pp. 121-137).

[4] E. D. Hirsch jr, Teoria dell’interpretazione e critica letteraria, cit., p. 160. - Faccio notare che nel titolo dell’edizione italiana della “Teoria” di Hirsch manca - e non se ne vede il motivo, anzi! - il lemma ‘validità’, che è l’incipit della titolazione originale dell’edizione inglese: “Validity in Interpretation”.

[5] E. D. Hirsch jr, Teoria dell’interpretazione e critica letteraria, cit.: Appendice seconda, “Gadamer e la sua teoria dell’interpretazione”, p. 257.

[6] Id., 261.

[7] Id., p. 263.

[8] Id., pp. 136-137.

[9] Id., p. 35.

[10] Nella formulazione di questo dubbio faccio riferimento alla problematica che Heiddegger si pone all’inizio del saggio “Che cos’è la filosofia ?”, che è ‘domanda: Frage' preliminare per imboccare la via, che proporziona a ‘rispondere’ al tema proposto: cfr. M. Heidegger, Che cos’è la filosofia ?, Il Melangolo ed., Genova 1997.  Cfr. VI, 3.

[11] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, p. 73. - Gadamer ritiene che occorra avere un atteggiamento tollerante nei confronti della  ‘Critica del giudizio’ di Kant  per quanto riguarda il ‘bello della natura’. “Rispetto al bello di natura, sembra inevitabile un relativismo tollerante, capace di conoscere la bellezza selvaggia e sublime delle cime, accanto alla grazia serena di un paesaggio coltivato, senza condannare l’una come barbara, l’altra come sdolcinata”.  Cfr, l. cit., p. 62.

[12] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, p. 73. - Cfr. G. W. F. Hegel, Estetica, Feltrinelli ed., Milano 1978, t. I, p. 37 e ss.: “Quel che noi sappiamo correntemente dell’opera d’arte, riguarda le tre seguenti definizioni: 1. l’opera d’arte non è un prodotto naturale, ma è prodotta dall’attività umana; 2. essa è creata essenzialmente per l’uomo, a beneficio del cui senso  anzi,  viene più o meno tratta dal sensibile; 3. ha un fine in sé”.

[13] Rosario Assunto, Verità e bellezza nell’estetiche e nelle poetiche dell’Italia neoclassica e primoromantica, Edizioni Quasar, Roma 1984. Assunto  tratteggia le varie strutture-transizioni: del paesaggio: “natura come arte”, e del giardino: “arte come natura”, descrivendone i ‘periodi storici’, che connotano il passaggio - e l‘ermeneutica - da una bellezza ad un’altra, da un modo di fare arte ad un altro, che includono variazioni sia nel rapporto ‘spazio-tempo’ e ‘natura-storia’, sia nella relazione ‘estetica-etica’, come (ad esempio) nel ‘giardino neo-classico’, che mirava ad “un platonico ideale di bellezza sovrastante alla natura ed a cui l’arte deve pervenire correggendo la natura”, a significare “il rimpatrio al paradiso perduto dell’antichità virtuosamente felice e felicemente virtuosa”: cfr. l. cit., pp. 336 e ss., 360.

[14] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, p. 73.

[15] G. W. F. Hegel, Estetica, Feltrinelli ed., Milano 1978, t. I, p. 5.

[16] Alexander G. Baumgarten, Definizione e apologia dell’estetica; e Progetto di estetica, in” A. G. Baumgarten, I. Kant, Il battesimo dell’estetica”, a c. di Leonardo Amoroso, Edizioni ETS,  Pisa 1999, p. 34, 42. Nel corso della trattazione saranno chiare le profonde discordanze di Gadamer con siffatte definizioni. - Cfr. IV, 1, 3.

[17] I. Kant,  I giudizi estetici, , in “A. G. BaumGerten, I. Kant, Il battesimo dell’estetica”, cit., pp. 60-63.

[18] Immanuel Kant, Sulla possibilità di una estetica filosofica, in “A. G. BaumGerten, I. Kant, Il battesimo dell’estetica”, cit., p. 57. 

[19] Rosario Assunto, Die Theorie des Schönen im Mittelalter, DuMont Buchverlag, Köln 1982: “Der moderne Begriff der Ästhetik und die mitterlalterlischen Theorien von der Kunst und dem Schönen”, p. 16 e ss.

[20] Tuttavia Hegel difende, pur rimanendo coerente ai propri principi ‘idealistici’, la presenza della “creazione divina” nell’attività artistica. “La natura e i suoi prodotti, si dice, sono opera di Dio, creati dalla sua bontà  e saggezza, mentre la produzione artistica è solo opera dell’uomo, fatta dall’uomo secondo intendimenti umani. In questa opposizione tra la produzione naturale come creazione divina e l’attività umana come attività solo finita, è insito l’errore, per cui Dio non opererebbe negli uomini e attraverso gli uomini, ma limiterebbe la sua operosità alla natura. Questa falsa opinione va del tutto respinta   se si vuole giungere al vero concetto dell’arte, anzi le si deve saldamente opporre l’idea che Dio ha più onore da ciò che lo spirito fa, che dalle creazioni e formazioni della natura”: cfr. G. W. F. Hegel, Estetica, cit..  t. I, p. 45.

[21] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, p. 74.

[22] Id., p. 71.

[23] Gadamer nello scritto “Sulla lettura degli edifici e dei dipinti” pone espressamente le “analogie tra l’opera letteraria e le creazioni delle arti figurative”: come per leggere un semplice  testo scritto è sufficiente saper leggere, ma per leggere   un  testo letterario o un’opera poetica si richiede molto di più per ‘farli parlare’, così  non è sufficiente guardare un’opera d’arte visiva con “lo sguardo ingenuo” ma occorre ‘imparare a guardarla” con “avvicinamento graduale” fin quasi a ‘costruirla per noi” ed a “farla parlare di nuovo”. Cfr. H.G. Gadamer, L’attualità del bello, pp. 146-147.

[24] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, p. 160: “La possibilità del dialogo si basa sullo scambio reciproco di domanda e risposta. Non esiste dunque alcun enunciato che non riceva il suo senso ultimo, e cioè quel che a ciscuno dice, se non a partire dalla domanda cui dà risposta. Definisco questo fatto il carattere ermeneutico del discorso”.

[25] H.G. Gadamer, L’attualità del bello, p. 74.

[26]  Id., p. 74.

[27]  Id., pp. 71-74

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