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(I.6)  Ora ci sembra che l'argomentazione disposta sulla linea orizzontale della storia critica della fede, dal presente della Chiesa ai dicta, facta et acta dei personaggi archetipi della fede (apostoli e profeti, e secondariamente loro successori), suggerisce occasioni persuasive di fede che rifuggono dallo schema logico-deduttivo del primo tipo di teologia argomentativa. E proprio il caso degli apostoli occupa un posto peculiare nell'orchestrazione delle prove, di­ciamo così, ex vita Ecclesiae. Non sarà ozioso metterne in risalto la specificità, sia quanto all'autonomia epistemologica entro intenzioni di fede protese sulle tracce del passato della Chiesa, sia quanto alla distribuita varietà dei nodi argomentativi sulle sequenze del discorso storico-apostolico.

C'è dunque, generatrice e ordinatrice della vita intima della Chiesa, una familiaris Apostolorum traditio (III, 64,2, ad 1), una traditio Apostolorum (III, 83,4, ad 2), quanto gli Apostoli ecclesiis tradiderunt (IlI, 25,3, ad 4); così come c'è una traditio sacrae Scripturae (II-II, 140,2, sed c.) o quanto è traditum in sacra Scriptura (De div. nomin. c. 2, lect. 1; ed. Marietti nn. 125, 126), in scriptis (III, 25,3, ad 4). Anzi le stesse Scritture sono a loro volta traditae dagli apostoli e profeti (De div. nomin. c. 1, lect. 1; ed. Marietti n. 6).

In rapporto multiformemente articolato e subordinato alla funzione degli apostoli, giocano gli altri luoghi argomentativi sopra elencati (p. 95). La loro auctoritas può esser fissata, in relazione al momento normativo della fede cristiana, seguendo le tracce delle referenze tomistiche suggerite.

In clima di riscoperta dell'apostolica institutio come fonte d'ispirazione della riforma della Chiesa, la funzione degli apostoli non poteva non ottenere un posto rilevante nella riflessione critica d'una teologia in stato d'evangelismo. Abbiamo veduto come s.T. faccia breccia negli argomenti di diritto istituzionale della Chiesa del tempo risalendo di colpo - e non senza stupore - alla scaturigine d'ogni legittimo modo d'esser Chiesa:

Omnis religio ad exemplum vitae apostolicae formata est... Haec autem fuit vita apostolica ut relictis omnibus per mundum discurrerent evangelizando et praedicando, ut patet Matth. X ubi regula quaedam eis inscribitur (Contra imp. 4, 880-88).

E si afferma nel contempo che la institutio Christi (Contra doctr. 16,54) fu consegnata agli apostoli. Costoro hanno assicurato la perfetta osservanza della vita evangelica (ib. 15, 238-41) al punto che solo l'eretico oserebbe mettere in dubbio l'autenticità evangelica della prima discipulorum instructio (ib. 15, 184-86). L'Ecclesia primitiva (specie quella di Gerusalemme) sulle orme degli apostoli espresse un'immagine di somma fedeltà quale in seguito non si è riscontrata se non in pochi perfetti discepoli (ib. 15, 288-90).

L'apparente fluttuazione in s.T. della collocazione degli apostoli ora nel versante normans della fede (Cristo-apostoli) ora in quello normatus (apostoli e successori) non nasconde alcuno stridore logico se ci si libera dal dualismo tardivo Scrittura-Tradizione. Ora due tesi tomistiche illuminano, a nostro avviso, il problema:

1) La funzione normans del Cristo, come degli apostoli, è in atto sia nella linea della doctrina (insegnamento) che in quella dell'exemplum (esemplarità etica), ambedue tramandati poco importa se in verbo o in scripto. C'è una normatività di fede e una normatività di vita; un contenuto di conoscenza del mistero di Dio e una proposta di stile di vita; una fedeltà d'assenso e una fedeltà di comportamento. Un ortodossia - se si vuole - e un ortoprassi (cfr. Contra docr. cc. 15,16).

2) Lo Spirito santo, che porta a compimento tra l'ascensione e la parusia l'opera iniziata dal Cristo, è lo stesso «qui loquitur in Scripturis» e «qui movet sanctos ad operandum» (De perfect. 21, 157-60; cfr. Contra docr 15,1-189; 190-97). Ma c'è di più. La funzione della Scriptura come tale non può esser conchiusa in un ciclo isolato del passato della fede, quasi in una protostoria dagli archetipi onnirealizzati, a cui « succeda », per esempio, la Tradizione ed eventualmente la Chiesa. È che la Scrittura è opera del medesimo Spirito che presiede alla crescita della Chiesa. Ora il testo e la lettura del testo sono correlativi e strutturalmente cofunzionali. Così come la parola di Dio e la sua comprensione sono cibo quotidianamente e irrinunciabilmente urgente per la fede in crescita in qualsivoglia istante del tempo. La Scrittura si estende quanto e dovunque si estende la sua comprensione. Di nuovo, il medesimo Spirito è ad un tempo autore ed interprete delle Scritture sante:

Ad eundem pertinet facere aliquid propter finem et perducere ad illum finem. Sed finis Scripturae, quae est a Spiritu sancto, est eruditio hominum: haec autem eruditio hominum ex Scripturis non potest esse nisi per expositiones Sanctorum. Ergo expositiones Sanctorum sunt a Spiritu sancto.
Rispondeo dicendum, quod ab eodem Spiritu scripturae sunt expositae et editae (Quodl. 12, a. 26; cfr. De div. nomin. c.2, lect. 1).

In termini di scuola. La vita et exemplum del Cristo e degli apostoli non restano causa efficiente esterna posta una volta per tutte all'atto istitutivo della comunità dei credenti, ma divengono, attraverso l'attività dello Spirito (nella cui gratia, si ricordi, consiste al lex nova: I-II, 106,1), causa formale interna alla vita e allo sviluppo della Chiesa. Sulla china discendente della successione apostolica («Apostoli et eorum successores») si distribuiscono le crescite della fede secondo il principio della conformità etica e dottrinale al modello «Cristo-apostoli». A chi obietta una trasmissione della fede dubitativamente autorevole a motivo dei molteplici trapassi intermedi tra capostipiti («apostoli et prophetae») e noi (De Verit. q. 14, a. 10, ob. 11), s.T. risponde:

Omnia media per quae fides ad nos venit suspicione carent. Prophetis etiam et apostolis credimus ex hoc quod eis Dominus testimonium perhibuit miracula faciendo... Successoribus autem eorum non credimus nisi in quantum nobis annuntiant ea quae illi in scriptis reliquerunt (ib. ad 11).

E riaffermata la distribuzione ineguale dei momenti tipici della fede cristiana, s.T. sostiene a più riprese e in più occasioni che la doctrina Ecclesiae e la consuetudo Ecclesiae sono autorevolissime (I-II, 5,3; II-II, 10,12; 11,2, ad 3; Suppl. 28,1, ad 3) poiché la fedeltà al modello Cristo-apostoli è garantita dalla gratia Spiritus sancti. Mentre, ad esempio, le auctoritates sanctorum doctorum non sunt demonstrativae, sed persuasiones quaedam... (II-II, 1,5, ad 2); sono soggette al giudizio definitivo della conformità alle Scritture canoniche (De Verit. q. 14, a. 10, ad 11); in ogni caso dieta sanetorum neeessitatem non indueunt (Quodl. 12, a. 26, ad 1).
Si riprendano ora, a mò di conclusione, i saggi di teologia storico-evangelica recensiti sopra (c. 5). I nodi del discorso teologico sono stretti intorno ai seguenti punti:

a) esemplarità normativa di Cristo e degli apostoli sia nella parola (doctrina, dieta, instructio...) che nello stile di vita (exemplum, vita, disciplina...):

Primordium huius perfectionis in Christo et in apostolis fuit (Contra imp. 6, 449-50; cfr. Contra doctr. 15, 1-24).

b) la perfetta adeguazione al modello cristico caratterizzò la fase «apostolica» della Chiesa:

evangelica perfectio maxime in apostolis claruit (Contra imp.  6, 290-91).

c) l'autorevolezza della fede nei giorni susseguenti agli apostoli fu riproposta dalla primitiva Eeclesia (ib. rr. 465-66).

d) tra fatti di storia ecclesiastica, tra documenti scritti e orali, tra soluzioni alterne alla mente cristiana perplessa (accettazione o non dei praedia, autorità o non delle decretali e degli scritri dei Padri, legittimità o non della povertà cristiana assoluta, valore del diritto pubblico della Chiesa medievale...) si stabilisce nell'oggi della fede il principio dell'aderenza più rigorosa possibile (rigor evangelicae disciplinae) dell'eventuali alternative all'esemplarità efficiente e formale della perfectio Christi et apostolorum; così come il medesimo principio emette giudizio sulla legittimità di un'emergenza storica (donazione costantiniana e monachesimo d'Egitto, Ordini mendicanti e diritto pubblico della Chiesa carolingia, laicità dei movimenti d'evangelismo e rafforzamento concorrente del potere ecclesiastico centrale e della clericalizzazione nella vita della Chiesa...) a porsi come norma di fede e di condotta in regime cristiano.

I nodi argomentativi di tale discorso teologico sono disseminati sulla linea orizzontale della memoria storica della vita di fede. E sarebbe di già sufficiente per affermarne l'alterità specifica rispetto all'attività teologica sulle tracce dell'epistemologia aristotelica. Ma, a guardare più da presso, si scoprono altre peculiarità. Vi è anche qui, a dire il vero, una subalternatio, ma di tutt'altra natura di quella stabilita sull'inclusione logica tra il noema delle premesse e quello delle conclusioni, e sull'omogeneità gnoseologica degli estremi che legittima il trascorrere argomentativo dall'uno all'altro. Si parla ancora di rationes. Ma queste serbano nient'altro che il residuo d'omonimia delle rationes quia o propter quid che fissano i trapassi logici tra i termini della demonstratio. Sono invece intenzioni etiche tratte dall'imperatività della lex evangelii (v. sopra c. 2 le rationes della povertà degli apostoli). La ratio del primo tipo è lessicalmente marcata da un ex. La ratio del secondo da ad instar, secundum exemplum e simili.

«[Ad] inventionem veritatis in quaestionibus ex principiis fidei oportet argumentis uti» (In Sent., prol. a. 5, ad 4). [In hac doctrina] «acquiritur habitus eorum quae ex eis deducuntur» (a. 3, sol. 2, ad 3). «Ex ipsis articulis quaedam alia in theologia syllogizantur» (In III Sent. d. 23, q. 2, a. 1, ad 4). «Scientia de qua nunc loquimur... ex eis facit apparere alia per modum quo de primis certitudo habetur» (In Boet. De Trinit. q. 2, a. 2, ad 6). «Et sic fidelis potest dici habere scientiam de hiis quae concluduntur ex articulis fidei» (De Verit. q. 14, a. 9, ad 3). «Procedit ex principiis ad aliquid aliud probandum» (I,1,8). «Ex articulis fidei haec doctrina ad alia argumentatur» (ib. ad 1). «Signanter autem non dicit (Dionysius): in sanctis eloquiis, sed ex sanctis eloquiis, quia quaecumque ex his quae continentur in sacra Scriptura elici possunt non sunt aliena ab hac doctrina... » (De div. nomin. c.1, lect. 1; Marietti, n. 11).

«Ad exemplum vitae apostolicae» (Contra imp. 4,880-81). «Luce Apostolorum mundus est aedificatus exemplis» (In Matth. 5,14; EP 10,56 A). «Qui (Christus) in omnibus paupertatem servandam verbo docuit et exemplo monstravit» (Contra doctr. 15,4-6). «Ad exemplum Christi» (ib. 15,74). «Evangelica perfectio maxime in apostolis claruit» (Contra imp. 6,290-91). «Primordium huius perfectionis in Christo et in apostolis fuit» (ib. 6,449-50). «Perfectio evangelica consistit in imitatione Christi» (ib. 6,278-79). «Per conformitatem ad Christum» (In Matth. 17,25; EP 10, 165 B). Imitazione della povertà di Gesù (Contra doctr. 9,119-151). «Praecipue christianis imitandum proponitur venerandae crucis exemplum» (Contra doctr. 15,81-83). «Non est praesuntuosum hunc modum sequi... (qui) antiquitus a multis sanctis patribus observatus fuit et etiam in Ecclesia primitiva» (Contra imp. 6,1008-13). «In sequela Christi consistit perfectio» (De perfect. 8,93).
I capitoli 15 e 16 di Contra doctr. (come il cap. 6 di Contra imp.) sono tenacemente argomentativi secondo la sequenza: a) descrizione del modello cristico e apostolico della perfezione cristiana (c. 15, 1-224); b) esemplarità direttiva di tale modello («verbo docuit et exemplo monstravit »: 15,4-6; «patet hanc esse evangelicae vitae observantiam ab apostolis observatam »: 15,238-39; «imitandum proponitur exemplum»: 15,81-83); c) invito a seguire il modello («praeceptis evangelicis suadetur»: 15, 169); d) riproposta storica del prototipo nella Chiesa primitiva (15,225-254; «primae perfectionis aemuli»: 15,316-17); e) giudizio alla luce della lex evangelicae perfectionis sul passato della Chiesa, sue istituzioni, argomenti dei Secolari (c. 16). La logica argomentativa di siffatto discorso di fede fa perno sulla volontà dei credenti di piegare il loro presente alla permanente imperatività della institutio Christi: «omnes quicumque hanc regulam secuti fuerint, institutionem Christi sequuntur» (c. 16,53-55).

La prima discorre per inductio o resolutio; la seconda per imitatio e persuasio. Nello sforzo d'individuare le occasioni che ospitano la replica storica del modello cristico-apostolico, le unità discorsive sono costituite da personaggi, documenti, condotta di vita, eventi sociali ed ecclesiali, quali non omologabili secondo dipendenza e connessione d'omogeneità noetica. Persone, comportamenti, eventi sono cospicuamente autonomi, persino eterogenei perché possano filare un ordito su cui l'atto scientifico di teologia discorra come tra principia e conclusiones. Tutt'altro assetto e strumentazione mentale postula un'attività teologica che si risolve in giudizio critico del presente o del passato della storia della fede alla luce della regula apostolorum. Qui non soltanto la «conclusione» è d'ordine etico-ecclesiologico (la resumptio della perfezione della Chiesa primitiva), ma vi possono occorrere persino unità allogene quali la relaxatio, le auctoritates delle pseudo-isidoriane, l'acquiescenza alle cupidigie terrene, le concorrenze di auctoritates discordi (testi evangelici sulla povertà e decretali, risveglio di coscienza evangelica e canones...). Una teologia che esercita la sua funzione critica sulla memoria della storia della Chiesa per trarre autorità dalla resumptio evangelicae perfectionis accetta e respinge, seleziona e compone, sollecita e squalifica secondo il caso le molte eterogenee situazioni di vita dei credenti. Le quali non sono preordinate da «necessità» alcuna, né nell'ordine del pensiero né in quello dell'essere. Semplicemente accadono sulla scena improgrammata della storia e dell'agire dell'uomo. Riflettono, quando appaiono sullo specchio dell'ideale evangelico, angustie di fede.

Non è nostra intenzione toglier credito all'esercizio della teologia in chiave d'epistemologia aristotelica - che è, bisogna riconoscerlo, di gran lunga la più familiare al genio di Tommaso e pressoché l'unica frequentata dal tomismo posteriore. Ma ci sembra limitativo e mortificante per la produzione letteraria dell' Aquinate rattenere il contributo tomistico, in fatto d'evoluzione della teologia, sotto l'insegna esclusiva della sacra doctrina come scienza, quale in Summa theol. I, q. 1. Parimenti non crediamo che il nucleo tomistico della teologia della storia possa essere estratto - come si è tentato di fare - dal movimento a ruota di exitus e reditus nell'architettura ellittica della Summa. La vastità delle distanze tra gli estremi rotanti (Creazione, Uomo, Peccato, Cristo, Redenzione, Cose ultime...) è, per gli umili frammenti che fanno il tempo e le cose dell'uomo, quasi una lusinga al naufragio. Risolve, in ogni caso, l'iniziale curiosità del divenire in prestabilita ontologia della storia di fattura neo-platonica.

Sono state illustrate, nei capitoli precedenti, le occasioni dell'attività teologica di Tommaso che testimoniano la consapevolezza e l'esercizio d'un discorso critico costruito sul giudizio dell'esemplarità apostolica sui fatti, persone, istituzioni, condotta della Chiesa nel corso della sua peregrinazione terrena. La subalternazione delle scienze sviluppata su alcuni testi degli Analitici Secondi (c. 2,72a 14-20; c. 13,78b 35-40) di Aristotele aveva nutrito in s.T. (In Post. Anal. l. 1, c. 2, lect. 5, n. 2; ib. c. 13, lect. 25) il gusto del rigore logico insediato tra gli articula fidei e le conclusiones:

In quantum ex ipsis articulis quaedam alia in theologia syllogizantur (In III Sent. d. 23, q. 2, a. 1, ad 4). Ex his autem principiis ita probatur aliquid apud fideles sicut etiam ex principiis naturaliter notis probatur aliquid apud omnes (II-II, 1, 5, ad 2).

I conflitti di Chiesa che premono per una rievangelizzazione dei modi storici d'esser cristiani ispira Tommaso ad argomentare - con altra passione mentale e altre postazioni discorsive - dall'auctoritas archetipale di personaggi (apostoli, ad es., monaci d'Egitto, i Pauperes Christi discepoli di Francesco e Domenico...), di fasi eminenti della storia dei credenti (la Chiesa di Gerusalemme), di atti esegetici dei discepoli di Cristo (la natura della povertà cristiana nell'esegesi mendicante) in funzione d'un giudizio critico della vita della Chiesa a favore della resumptio della disciplina evangelica.

Sono qui, a nostro avviso, oltre alle peculiarità d'un discorso teologico specificamente altro, le vere occasioni tomistiche per rivendicare una teologia della storia, sia pure in nuce. O, più esattamente, una storiografia critica della vita del credente e della Chiesa.

Emilio Panella o. p.


Il presente saggio costituisce Parte Prima di un lavoro più ampio. Per render ragione di richiami interni e di sviluppi espositivi, diamo qui l'indice di Parte Seconda:

1. Letteralismo scritturale e dissoluzione dell'evangelismo. La disputa sulla povertà.

2. La «littera» tra eresia ed evangelismo nei secoli XII e XIII.

3. Prologo «in Job». Una scelta ermeneutica a favore della Parola.

4. Le insidie del letteralismo.

5. Gioachinismo a Parigi. Il caso dell'«Evangelium aeternum» (1254).

6. Due ermeneutiche a confronto, ovvero le occasioni d'una teologia della storia.


Agosto 2007. Lettera da fr. Augustine Rodrigues OP:

Holy Rosary Parish, Catholic Churche Warispura, FAISALABAD (Pakistan)

«... I still teach at the Lahore Major Seminary. One subject is "Metaphysics" and the other is "Philosophy of Science".

I have small request: Some years ago you gave me La “Lex nova” tra storia ed ermeneutica. Le occasioni dell’esegesi di s. Tommaso d’Aquino. Estratto da "Memorie domenicane" n. 6 (1975) della Nuova Serie.

Can I now have the Second Part which includes the following index: 2. Letteralismo scritturale (...).

Thanking you,

Yours fraternally,

Augustine Rodrigues O.P.»

 


 

Andrea di Buonaiuto da Firenze, capitolo SMN_est, s. Tomm. d'Aquino (1365-67): Veritatem meditabitur guttur meum (Prov. 8,7)

finis

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