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Vesperie quas feci pro magistro Federico
(
Pisa 1390-1391 ca.)

BAV, Barb. lat. 710, ff. 107va-108vb

originale latino

volgarizzamento (2009) di EP

Yris autem, idest sapientia viatorum, est qua ex parte congnoscimus et ex parte prophetamus. «Cum autem venerit quod perfectum est», tunc «revelata facie gloriam Domini speculantes, transformabimur a claritate in claritatem tamquam a Domini spiritu».

L'arcobaleno, ossia la sapienza dei pellegrini del mondo, è in parte conoscenza, in parte profezia. «Quando verrà ciò che è perfetto» (I Corinzi 3,10), allora «a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, noi tutti verremo trasformati di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore» (II Corinzi 3,18).

Yris etiam similatur sapientie increate. Audite Ambrosium, libro De fide ad Gratianum, cap. 4: Prophete dicunt: "Splendor est lucis eterne, speculum sine macula Dei maiestatis et ymago bonitatis illius". Vide quanta dicantur: Splendor eo quod claritas paterne lucis in Filio sit; speculum sine macula, quod Pater videatur in Filio; ymago bonitatis, quod non corpus in corpore sed virtus in Filio tota cernatur. Ymago docet non esse dissimilem; caracter expressum esse significat; splendor significat eternum.

L'arcobaleno inoltre è paragonato alla sapienza increata. Ascoltate Ambrogio, De fide ad Gratianum capitolo 4: Dicono i profeti: "E' uno splendore della luce perenne, specchio senza macchia della maestà di Dio e immagine della sua bontà" (Sapienza 7,26). Nota l'intensità del messaggio: Splendore, in quanto luminosità della luce paterna nel Figlio; specchio senza macchia, in quanto il Padre si svela nel Figlio; immagine della sua bontà, non quasi corpo in un altro corpo ma l'intera potenza (divina) contemplata nel Figlio: l'immagine denota che non è dissimile; il carattere denota che si è manifestato; lo splendore denota che è eterno.

Ymago  itaque non vultus est corporalis, non p??s composita, non ceris, sed sinplex de Deo expressa de Patre consors nature, egressa de fonte. Per hanc ymaginem Philippo Patrem Dominius demonstravit dicens: «Philippe, qui videt me, videt et Patrem. Quomodo tu dicis "Ostendi nobis Patrem"? Non credis quia ego in Patre et Pater in me est?». Videt ymaginem Patris, videt in Patre ymaginem, qui Patrem videt in Filio. Vides quam ymaginem dicat: ymago ista veritas est, ymago ista de??tus est, ymago ista sapientia est, ymago ista vera vita est.

Immagine reale dunque, non volto  fisico, non modellato da ??, non da cere, ma rigorosamente riflesso da Dio, partecipe della natura del Padre, sgorgata dalla sorgente. Con tale immagine il Signore mostrò il Padre a Filippo: «Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire "Mostraci il Padre"? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?» (Giovanni 14,9-10). Vedrà il volto del Padre, vedrà nel Padre il volto, colui che vede il Padre nel Figlio. Nota di quale immagine sta parlando: questa immagine è la verità, questa immagine è ??, questa immagine è la sapienza, questa immagine è la vita.

Ecce quadricolor yris lucis inaccessibilis, unicus tamen sinplex individuus, consubstantialis, coevus, immensus. Ergo ymago ista non muta quia Verbum est, non insensibilis, quia sapientia est, non inanis quia virtus est, non vacua quia omnipotens vita est, non mortua quia resurrectio est. Resurrectio omnium electorum a?? a miseriis, a morbis, a tenebris, idest «quasi archus refulgens inter nebulas glorie».

Ecco l'arcobaleno quadricolore: irrangiungibile, unico, incomplesso, individuale, consustanziale, contemporaneo, immenso. Tale immagine dunque non è muta, perché è Parola, perché è sapienza; non è  vana perché è potenza, non sterile perché è vita onnipotente, non defunta perché è resurrezione. Resurrezione di tutti gli eletti ??  dalle miserie, dalle infermità, dalle tenebre: «come arcobaleno splendente fra nubi di gloria» (Ecclesiastico, o Siràcide, 50,7),

Dicit ergo noster vesperiatus: Hoc signum federis. Yris scilicet sacratissima theologia erit signum federis; mediante quo yride, videlicet divina pagina, confederabor et coniungar collegio magistrorum.

Et hoc de primo principali.

Dice dunque il nostro vesperiato (Federico): Questo è il segno della federazione. L'arcobaleno, ovvero la sacratissima teologia, sarà il segno della federazione; e tramite questo arcobaleno io sarò confederato ovvero associato al collegio dei maestri.

Fine della prima distinzione principale.

Secundo dixi quod ponitur condonationis vera gratitudo, quia dicit quod do. Equidem noster vesperiatus veram volens ostendere gratitudinem quia sacram scripturam accepit in ingens donum, tamquam gratus dicit quod do: Propter enim donum quod a magistris et a Deo principaliter cepi, do; do siquidem me, quem quisque admodo in vita et mortum inspiciet transmutatum.

Seconda distinzione: autentica gratitudine per la donazione, laddove dice che io pongo o do. Il nostro vesperiato intende mostrare sincera gratitudine per aver ricevuto il gran dono della sacra scrittura, e pertanto asserisce che io do. A motivo del dono ricevuto dai maestri e in prima istanza da Dio, io faccio dono; ossia dono me stesso, che ora tutti mi vedono vivo, e morto mi vedranno trasformato.

Nam reperio in scriptura:

- novum scriptum preceptorum

- verum sensum archanorum

- sacrum signum electorum

- pulcrum pignus mitorum;

quia teste beato Agustino, libro 2° De civitate Dei, cap. xx(?), nichil in scripturis sanctis turpe, nichil vetuste conversacionis et prave, nichil flagitiosum et falsum |108rb| spectandum ymitandumque proponitur. Ubi veri Dei aut precepta insinuantur, aut miracula narrantur, aut archana reserantur, aut dona laudantur, aut beneficia postulantur.

Trovo infatti nella scrittura:

- nuovo testo dei precetti

- vero significato degli misteri

- sacro simbolo degli eletti

- piacevole pegno dei miti;

perché, a detta di sant'Agostino, Della città di Dio II,28(?), nelle sacre scritture non vi è nulla di turpe, nulla dei vecchi e sconci costumi; e nulla di scandaloso o menzognero |108rb| viene proposto allo sguardo o all'imitazione. Vi si propongono invece i precetti del vero Dio, vi si narrano i miracoli, vi si dischiudono i misteri, vi si esaltano i doni, vi si implorano le grazie.

Reperio namque quod ipsa pagina sacra:

- tollit priscam conversationem, donat novitatem

- pellit falsam intellectionem, monstrat veritatem

- vincit vanam superstitionem, dampnat falsitatem

- premit stultam tumefactionem, format caritatem,

Trovo che la pagina sacra:

-  rimuove il vecchio comportamento e ne dona uno nuovo

-  respinge l'errata interpretazione e mostra la verità

-  supera l'infruttuosa superstizione e condanna la falsità

-  comprime la sciocca gonfiaggine ed educa all'amore.

dicens «Scientia inflat, caritas edificat». Et ad Ephesios 4 dicit: in Christo edocti «deponite vos secundum pristinam conversationem veterem hominem, qui corrumpitur secundum desideria erroris. Renovamini autem spiritu mentis vestre et induite novum hominem, qui secundum Deum creatus est in iustitia et sanctitate veritatis. In spiritu enim consignati estis in die redemptionis».

Dice infatti: «La scienza gonfia, l'amore edifica» (I Corinzi 8,1). E agli Efesini 4,22-24.30: cresciuti come siete in Cristo, «deponete l'uomo vecchio con la condotta di prima, l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici; rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestite l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. Nello Spirito foste segnati per il giorno della redenzione».

Dicebat noster vesperiatus: Admodo novus homo efficiar. Nam in die redemptionis novum scriptum in lege, novum sensum in mente, novum signum in fronte, novum nomen in cruce, novum pignus in fide, consequti sumus. Hec omnia nemo scit nisi qui accipit scilicet scripturam sacram, dicente Agustino in fine Confessionum: Nulla cunctarum nationum gimnasia, nulle lictere, nulle doctrine, hiis sacris insignis consignantur.

Diceva il nostro vesperiato: Diventerò un uomo nuovo! Nel giorno della redenzione abbiamo conseguito una legge nuova, un intelletto nuovo, un segno nuovo nella fronte, un nome nuovo nella croce, un pegno nuovo nella fede. Tutte questo cose, nessuno le conosce se non chi si nutre della scrittura sacra. Agostino, Le Confessioni VII,21: Nessun ginnasio di qualsivoglia nazione, nessuna cultura letteraria, nessuna filosofia si riversa in queste nostre sacre scritture.

 Et subdit: «Aliud est de silvestri cachumine videre patriam pacis et iter ad eam non invenire et frustra conari per invia circum obsidentibus et insidiantibus fugitivis desertoribus cum principe suo leone et dracone, et aliud tenere viam illuc ducentem, cura celestis imperatoris munitam».

E soggiunge: «Ben altro è guardare la patria della pace da un'altura selvatica e non trovare il cammino che porta ad essa, fare inutili tentativi su e giù per dirupi, mentre tutto intorno tendono attacchi e insidie i fuggiaschi e i disertori con il loro capo, leone e drago; e altro è percorrere la via che là conduce, via ben difesa dalla sollecitudine del celeste imperatore» (Le Confessioni VII,21, brano finale).

Item idem Agustinus in libro Expositionis subdit: Denique et in bellis civilibus observari refertur ut scilicet certo nomine et occulto signo militia inter se sit munita et ab exteris secernatur, quoniam et armorum habitus par est et sonus vocis idem et mos unus et carapter [sic] imperatoris secretus et institutio una bellandi. Et ne aliqua doli subrectio fiat, simbola discreta, nomina secreta, et inditia certa unusquisque dux suis militibus tradit, que simbola[1] latine signa dicuntur; ut si forte occurrerit aliquis de quo dubitetur, interrogatus simbolum prodat si sit hostis an sotius. Hec autem nemo scit nisi qui decipit, nemo accipit nisi fidus miles et victoriosus bellator.

Il medesimo Agostino nel libro dell'Esposizione: Si racconta che nelle guerre civili l'esercito premunisce se stesso tramite accertamento della identità vera e tramite un contrassegno segreto, e ciò per salvaguardarsi dai nemici, dato che medesimi sono uso delle armi, segnali vocali, unico è l'intento, segreto il temperamento del comandante, unica la tattica di combattimento. Per non dar spazio al raggiro, ogni condottiero consegna ai propri soldati dei simboli, ovvero contrassegni tagliati in due: nomi segreti e indizi certi. Simboli, detti "segni" in latino. Cosicché, se si presenta un tizio sospetto, gli si chiede di esibire il simbolo o contrassegno identificativo per accertare se è nemico o alleato. Tali contrassegni nessuno li conosce se non chi volesse tradire; nessuno li prende in consegna se non il soldato fedele e combattente vittorioso.

Nonne sic imperator noster promictit in Apocalipsi Iohannis? «Vincenti, inquit, dabo manna» quo videlicet saginetur in preliis, «calculum candidum» quo illustretur in dubiis, «et in calculo nomen novum scriptum» quo secernatur ab adversariis, «quod nemo scit nisi qui accipit» ne fallatur ab inimicis ocultis.

Non promette forse nella medesima maniera il nostro imperatore in Apocalisse 2,17 di san Giovanni? «Al vincitore darò la manna» perché sia nutrito nelle battaglie, «una pietruzza bianca» perché sia ragguagliato nel dubbio, «e sulla pietruzza sta scritto un nome nuovo» perché sia ben distinguibile dai nemici, «nome che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve» perché non sia ingannato da nemici dissimulati.

Ergo rex noster nec inhermes nos dirigit. Accipite, inquit eius preco, armaturam fidei, gladium Spiritus, verbum Dei; nec vacuos spiritualibus alimentis, nec indoctos et incautos adversorum insidiis, ne nos nocturna specula hostis elidant.

Il nostro re, dunque, non ci guida affatto disarmati. Prendete - ci dice il suo araldo - le armi della fede, la spada dello Spirito, la parola di Dio. Né ci guida sprovvisti di cibo spirituale, né disinformati o sprovveduti circa le insidie degli avversari, affinché le spie notturne del nemico non ci abbattano.

Hec noster vesperiatus diligenter attendit, prudenter intellexit, sollicite requisivit, fidenter conservavit, ac priscam conversationem in novitatem mutavit. Ait enim nunc: Sum miles christiane fidei; accepi nomen secretum scilicet sacratissimam paginam, munitus sum armis fortissimis; bellabo viriliter contra hos qui hoc nomen nescierint; quod nomen do si fuero interrogatus.

Tutte queste cose, il nostro vesperiato le ha meditate con diligenza, le ha comprese con sapienza, le ha cercate con sollecitudine, le ha serbate con fedeltà; e ha mutato in nuovo il suo vecchio stile di vita. E ora proclama: Sono soldato della fede cristiana; ho adottato un nome segreto ossia la sacratissima pagina, sono munito di armi possenti; combatterò coraggiosamente contro chi ignora questo nome; svelerò il nome se sarò sottoposto al riconoscimento.

Recte ergo dicebat secunda |108va| pars thematis quod do.

Et hoc de secundo principali.

Correttamente dunque diceva la seconda |108va| parte del versetto tematico che io do o pongo.

Fine della seconda distinzione principale.

Dixi tertio...

 


[1] Simbolo = contrassegno di riconoscimento, nel suo significato primo. «Mezzo di riconoscimento o di controllo che si otteneva spezzando irregolarmente in due parti un oggetto, in modo che il possessore di una delle due parti potesse farsi conoscere facendole combaciare», così nei dizionari moderni.
Per la tradizione esegetica medievale:
Summa Britonis sive Guillelmi Britonis Expositiones vocabulorum biblie [1250-70], ed. L.W. Daly and B.A. Daly, Padova 1975, II, 721-22 "Simbolum".


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