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Per lo studio..., Pistoia 1979

II

Il «Contra falsos ecclesie professores» (= CF), pp. 43-78

II.1 L’“ecclesia” tra sapienza e artefatto | b
II.2 Struttura compositiva del Contra falsos

II.3

Collocazione tematica del Contra falsos
II.4 Tentativo di datare il Contra falsos | conclusione
 

■ Contra falsos posteriore a Divisio scientie; anteriore certamente al De bono comuni (fine 1301), molto verosimilmente anche al Liber sextus (3.III.1298) di Bonifacio VIII  |  Tamburini

II.1 L’“ecclesia” tra sapienza e artefatto

Il merito d’aver per primo richiamato l’attenzione sul Contra falsos (= CF) va a Martin Grabmann. Le segnalazioni cadevano prevalentemente sulla sezione del trattato dedicata alla disputa del potere papale. Ma sarebbe ingiusto ignorare la costruzione e lo spirito del trattato nel suo insieme. L’Appendice I mira a dare un quadro quanto più ampio possibile dell’ispirazione, della costruzione e dei temi del grosso trattato che è il CF. E a nessuno sfugge l’originalità dell’ispirazione generale sia in rapporto all’evoluzione del pensiero ecclesiologico che al proposito di dar cittadinanza teologica a tutto il mondo della società tardo-medievale. La sapienza di fede, le scienze (arti liberali e naturali), l’agire etico, l’attività produttiva dell’uomo (il facere delle arti meccaniche): tutto è raccolto nella ecclesia, con gesto universale e congruo nel medesimo tempo; nella ecclesia, come nella casa comune e consueta dell’uomo medievale.

Certo, è ancora una volta l’impulso all’universale, tipico del cittadino della respublica christiana. Un atto dunque tutto medievale. Ma non di poco valore storico e non senza originalità, se lo si definisce sia a confronto con un’ecclesiologia ormai monopolizzata dal potere gerarchico centrale (cf. Y. CONGAR, L’Eglise de st. Augustin à l’époque moderne, Paris 1970, cc. 6-8) che con la svolta culturale della schola. Questa, nell’ultimo quarto del ’200, aveva certo ratificato il valore e la legittimità dei libri naturales e della logica nova d’Aristotele entro il sapere religioso del tempo; ma decretava nel contempo il disequilibrio epistemologico tra le arti del trivio a beneficio della dialettica così come la frattura tra philosophia theorica e agire dell’uomo (scientia practica o activa). Le discipline del trivio ottengono, tra le arti sermocinales, nuove funzioni nel riorganizzarsi didattico delle università del XIII secolo, e riaffermano in parte la loro presenza perlomeno in funzione ancillare alla filosofia speculativa e alla teologia; le arti del quadrivio conquistano una loro autonomia epistemologica di scientia naturalis, sia pure inserviente alla matematica, e lo scambio con gli altri rami del sapere ufficialmente organizzato è pur sempre notevole. Le artes mechanicae invece, che pure avevano assicurato la loro presenza in una summa di didattica medievale quale il Didascalicon d’Ugo da San Vittore, scompaiono perfino nelle numerose trattazioni dell’ortus o divisio scientiarum.

Fonti principali: DOMENICO GUNDISSALINO, De divisione philosophie, ed. L. Baur, Münster 1903; ROBERT KILWARDBY, De ortu scientiarum, ed. A.G. Judy, Toronto 1976.

Studio sistematico (e conferma l’assenza - o appena la menzione - delle arti meccaniche) di J. Weisheipl, Classification of the sciences in Medieval Thought, «Mediaeval Studies» 27 (1965) 54-90. Interessante il confronto con uno dei primi maestri domenicani: cf. G. CREMASCOLI, Regina omnium scientiarum. Per la lettura d’una questio di Rolando da Cremona, « «Divus Thomas» (Pl.) 50 (1976) 28-66. L’ordine delle scienze come nel Contra falsos non mi sembra dipenda dall’enciclopedista VINCENZO DA BEAUVAIS [† 1264], Speculum historiale I, 53-55 (ed. Douai 1624, pp. 20-22); Speculum doctrinale, introd. e divisione dei libri secondo le discipline; Speculum naturale, Prologo c. 6 (ib. col. 6).

E laddove compaiono - si prenda il più organico programma del riordinamento della philosophia sull’ondata dell’aristotelismo, il De ortu scientiarum (1250 ca.) di Roberto da Kilwardby O.P. († 1279) - è piuttosto per decretarne l’irrilevanza nel nuovo statuto epistemologico (ROBERT KILWARDBY, De ortu scientiarum, ed. A.G. Judy, Toronto 1976). Superato e sconvolto l’antico programma didattico del trivio e quadrivio, il sapere filosofico abbraccia, secondo il Kilwardby, una pars speculativa articolata in fisica, matematica (suddivisa nelle antiche arti del quadrivio) e metafisica; la sermocinalis, che riordina le antiche arti del trivio; la practica, che copre le due sfere dell’etica e della meccanica (KILWARDBY, De ortu scientiarum cc. 1-5.66). Ma quest’ultima ha ormai poco da dire, destinata com’è «ad necessitates humanas corporales tollendas» (ib. c. 37, § 361), quando « corporalis operatio plus decet plebeios et ignobiles, otium autem meditationis et studii plus [decet] nobiles...» (c. 38, § 362). Recensito brevemente quanto delle arti meccaniche era stato detto da Isidoro da Siviglia e Ugo da San Vittore, il Kilwardby fa da spia a un profondo rivolgimento culturale là dove annota che se è vero che in Isidoro si trovano raccolte molte notizie utili alle scienze e alla teologia, ora però la teologia si costruisce sul sapere delle arti liberali: «in qua [theologia] nunc oportet uti artibus liberalibus» (c. 39, § 371). Stando così le cose l’eliminazione delle arti meccaniche dal nuovo assetto del sapere scientifico e religioso è consumata senza molto rammarico:

De istarum [mechanicarum] artium subtili divisione per immediata et definitionibus earum propriis materiisque ac finibus non reputo ad praesens esse sollicitandum, tum ne inutiliter evagemur ad ea quae moderni philosophi parum considerant, tum quia materiae earum et fines magis manu operatoribus innotescere habent quam philosophis solam veritatem speculantibus... (c. 40, § 378).

E per evitare distinzioni che insinuino esclusioni, sarà opportuno annotare che la divisione scolastico-scientifica delle scienze è tutt’altro che assente in Remigio. Ma la trattazione specifica dell’importante soggetto dovrebbe concentrarsi nell’edizione del trattato De divisione scientie, in cod. C, ff. lr-7r. Ad esso, dopotutto, lo stesso Remigio rinvia chi preferisse un «ordinem artificialem magis scientiarum» (Contra falsos 1, 30-31: ed. in Append. I-a). Ciò contribuirebbe, tra l’altro, a individuare occasioni e a definire contesti che persuadono Remigio a ricorrere ad uno schema prescolastico che gli risulti più congruo all’ispirazione retoricoomiletica. Mentre in atti squisitamente scolastici, quale una inceptio, ci si ritrova a lavorare entro un assetto epistemologico dai tratti di piena maturazione scolastica:

Sermo prologalis, VIII: Irrita faciens signa divinorum... Ysa. 44. (…) Philosophia autem tota dividi potest in sapientiam et scientiam... Sapientia est de divinis et scientia de humanis. De divinis autem est pars philosophie que dicitur methaphysica vcl philosophia prima. Humana autem dici possunt vel quia ab homine prolata, et sic est scientia sermocinalis; vel acta, et sic est moralis; vel facta, et sic est mechanica; vel quia ad homines ordinata sine hoc quod sint prolata vel acta vel facta ab homine, ut mobiles creature; et hec vel considerantur ut sunt extra animam, et sic est scientia naturalis, vel considerantur sine motu et materia sine quibus extra animam non sunt, et sic est mathematica (cod. G, f. 286va).

Nel sermone S. Lucia, III: Columpne auree (cod. D, f. 14r; marg. d.), l’evocazione biblica «et in capite eius corone stellarum duodecim» invita a ordinare così le dodici discipline umane, quelle cioè che per essere «sub pedibus eius» ministrano alla sapienza:

a)  ad cognoscendum: artes liberales (1-7)
scientia naturalis (8)
methaphysica (9)
b) ad agendum: moralis philosophia (10)
c) ad faciendum: medicina (11)
mechanica (12)

Ma nel sermone prologale VI Flumen Dei repletum est aquis, dove le scienze sono raccolte «nella casa della sacra scrittura o teologia come le ancelle nella casa della padrona», la mechanica non compare:

Unde et gramatica ancillatur ei in constructionibus et figurativis et aliis. Unde est illud: «sermonem quem audistis non est meus»  [l’incongruità grammaticale di Io. 14,24 è ricordata anche in Contra falsos 2, 11-14: in Append. I-a].

Dyalectica vero in argumentationibus, sicut patet in Paulo maxime qui propositione et assumptione utitur; et in disputationibus que in scolis a theologie doctoribus exercentur.

Rethorica in ornatus locutionibus, sicut patet in libris canonicis et maxime in sanctis nostris.

Geometria vero ubicumque sacra scriptura loquitur de mensu<r>is.

Arismetrica vero ubicumque de numeris.

Musica ubi de sonis et musicis instrumentis.

Astrologia ubi de motibus corporum celestium.

Naturalis scientia ubi de naturis creaturarum.

Methaphysica ubi de angelis et substantiis separatis.

Moralis vero scientia ubi de moribus, sicut maxime in libris Salomonis et in Ecclesiastico et Sapientia.

Sic ergo flumen sacre scripture repletum est; quelibet enim scientia seipsa contenta est, sed illa omnes continet ad suum servitium advocatas (cod. G, ff. 277vb-278ra).

Un Contra falsos in miniatura, se non mancasse la notitia delle arti meccaniche. Né queste figurano nel sermone prologale IX Radix sapientie (cod. G, f. 290va-b), dove la splendida metafora “scienza-città” punisce ingiustamente le artes factivae, quando gli artigiani di Calimala, di Foro Vecchio e Por Santa Maria foggiavano la Firenze che Remigio aveva sotto gli occhi:

1. gramatica potest dicisemita vel viculus vel kiasso tum quia stricta est... tum quia ducit ad viam, idest ad logicam
2. logica potest dicivia
3. mathematica

 

strata
4. scientia naturalis  aula palatii
5. moralis claustrum monasterii
6. methaphysica   plathea
7. theologia  campus

Il Contra falsos allora incuriosisce perfino chi scorresse soltanto la lista dei capitoli.

Ma non si rivendicherà per fra Remigio dei Girolami primati che potrebbero forzare categorie storico-dottrinali anziché illustrare novità emergenti da formazioni lente e laboriose: il Contra falsos “primo trattato ecclesiologico non monopolizzato nei ministeri gerarchici”.

Si ricordi il caso del De regimine christiano di Giacomo da Viterbo ESA: H.-X. ARQUILLIÈRE, Le plus ancien traité de l’Eglise: Jacques de Viterbe «De regimine christiano» (1301-1302), Paris 1926. Cf. Y. CONGAR, Jalons pour une théologie du laicat, Paris 1961, 66, e tutto il § «Constitution du traité de l’Eglise en réaction» (pp. 64 ss).

Non si può, comunque, non riconoscere l’ampiezza di respiro che Remigio mette a servizio dell’universalitas della ecclesia, principalmente la sapientia o notitia scientiarum che l’uomo medievale veniva raccogliendo nelle somme, nelle cattedrali, nelle universitates civium; la sapienza contenuta nella parola di Dio, come nello speculum mundi e perfino nella fabrica mundi. Benché il corso delle cose - bisogna riconoscerlo - premeva verso altre soluzioni: il dinamismo delle società civili fruttificherà in unità politiche che spezzano l’universalità europea della respublica christiana (le lotte di quegli anni tra papato e regno di Francia ne sono il campanello d’allarme); la specificazione del sapere e delle scienze - così come il primo avvio della ricerca sperimentale e delle tecniche applicate - renderanno sempre più improbabile un modello universale e gerarchicamente ordinato del sapere umano, per quanto compromesso possa uscirne lo scambio vitale tra scienze, virtù etico-politiche e habilitas delle arti meccaniche. Del resto l’antinomia tra sapere, agire e lavoro aveva ben più profonde radici, mentre il facere delle arti meccaniche già da tempo faceva la propria storia al di là del prodotto letterario.

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