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II.3 Collocazione tematica del Contra falsos cc. 5-37

Per avere una riprova della collocazione tematica del CF entro la gamma che va dalle posizioni d'Uguccione da Pisa († 1210) a quelle consacrate nella glossa ordinaria al Decreto e alle Decretali Extra, alle formulazioni teocratiche d'Innocenzo IV e Bonifacio VIII, alla letteratura papale e regalista degli anni 1301-1303, accostiamo più da presso due testi tipici dal valore di pubblico test nella letteratura canonico-teologica.

La Glossa ordinaria a Decreto D. 10, c. 8 (Quoniam idem) alla voce «Discrevit» documenta ancora molto bene la compresenza, entro la letteratura decretista, delle due tendenze, quella riallacciata a Uguccione da Pisa a favore della distinzione dei poteri nella loro origine come nelle loro competenze, e quella della subordinazione ierocratica che finirà per prevalere nella letteratura decretalistica.

Glossa in Decr. D. 10, c. 8, «Discrevit»: 21 B - 22 A. La glossa ordinaria (1217 ca.) è attribuita a Giovanni il Teutonico († 1245-46), rivista da Bartolomeo da Brescia († 1258): cf. S. KUTTNER, Repertorium der Kanonistik, Città del Vaticano 1936 (rist. 1972), 93-122. Nelle trascrizioni dalla «editio Romana» sciolgo le abbreviazioni e riduco a forma moderna le citazioni delle collezioni canoniche.

La glossa «Discrevit» si articola in tre punti: presentazione della tesi della distinzione, argomenti della tesi contraria, soluzione. Senza tutto trascrivere, si darà in sinossi la struttura assertiva e argomentativa (auctoritates) della glossa e, a destra, il rimando ai luoghi paralleli del CF; questi sono introdotti da « = » quando accettati, da « ↔ » quando “interpretati” o respinti.

Glossa «Discrevit»
a Decreto D. 10, c. 8 (Quoniam idem)

Contra falsos

cc. 5-18

 cc. 19-36

A - tesi - potestates sunt distinctae; - imperium non habetur a papa; - papa non habet utrumque gladium

   
Auctoritates:
1. exercitus facit imperatorem: Decr. D. 93, c. 29 (Legimus)
  = 20, 24-25
2. imperium a solo Deo habetur: Decr. C. 23, q. 4, c. 45 (Quaesitum)   = 21, 8-11
3. Alexander [papa] prohibet appellationibus in temporalibus:
    Decretali II, 28, 7 (Si duobus);
    IV, 17, 17 (Causam);
    IV, 17, 5 (Lator)
 
= 21, 46-51
= 21, 52-56
= 21, 64-66
4. ecclesiae solvant tributurn imperatori: Decr. C. 11, q. 1, c. 27 (Magnum)   = 20, 32-36

B - Sed contra:

   
1. caelestis et terreni imperii iura sunt ei [papae] concessa: Decr. D. 22, c. 9 (Omnes) = 11, 32-34 ↔  31, 2-6
2. imperator iurat papae: Decr. D. 63, c. 33 (Tibi domino) = 14, 14-18 ↔  34, 3-6
3. papa deponit imperatorem: Decr. C. 15, q. 6, c. 3 (Alius) = 12, 3-10 ↔  32, 1-11
4. papa transtulit imperium: Decretali I, 6, 24 (Venerabilem) = 12, 13-18 ↔  32, 16-19

C - Solutio: Ego credo potestates esse distinctas, licet papa quandoque utramque potestatem sibi assumat:

  = 23, 2-13.19-20;
cf. 26, 3-40
1. cum legitimat: Decretali  IV, 17, 13 (Per venerabilem)   = 37, 93-108
2. quando a saeculari iudice appellatur ad papam: Decretali II, 2, 10 (Licet)   = 37, 47 ss
3. vacante imperio, supplet [papa] : Decretali  II, 2, 10   = 37, 47-51

La medesima struttura tripartita ha l'additio alla glossa all'Unam sanctam (1302).

Glossa in Extravagantes communes I, 8, 1; ed. Romae 1584, pp. 142-48; Additio pp. 149-50; il nostro passo, a p. 149 A-B. L'Additio è «domini Petri Bertrandi» († 1348-49), secondo l'edizione romana delle Decretali.

Glossa all'«Unam sanctam» (Additio)
Quaestio: utrum potestas spiritualis
debeat dominari temporali

Contra falsos

cc.
5-18

 cc. 19-36

A - Videtur quod non:

   

1. quia iurisdictiones sunt distinctae:
Auth., Quomodo oporteat, coll. I
De consecr. D. 3, c. 22 (Celebritatem)

  = 23, 2-7.19-20; 26, 33-40
= 22, 2-4
= 21, 16-17
Non ergo papa debet se intromictere de potestate temporali:
Decr. D. 8, c. 1 (Quo iure)
Decretali IV, 17, 5 (Lator);
IV, 17, 7 (Causam)
  Apparet quod papa non debet se de temporalibus intromictere principaliter et directe: 21, 70-72
= 20, 40-42
= 21, 64-66
= 21, 52-56
alias poneret [papa] falcem suam in messem alienam: Decretali I, 6, 34 (Venerabilem)
quod non est faciendum: Decr. C. 6, q. 3, c. 1 (Scriptum)
 

cf. 23, 14-18

2. secundum Huguccionem imperator a solo Deo habet potestatem in temporalibus, papa in spiritualibus, et sic iurisdictiones sunt distinctae:

  = 23, 2-4
gladium [imperator recipit] ab altari: Decr. D. 93, c. 24 (Legimus)
ante fuit imperium quam apostolatus
potestas spiritualis indiget tem
porali: Decr. C. 23, q. 5, c. 26 (Administratores)
  = 27, 19-20

= 23, 4-5
cf. c. 27

B - Solutio: potestas spiritualis debet dominari omni creaturae humanae, per rationes quas Host(iensis) inducit in Summa...

   
Item quia Iesus Christus filius Dei [ha autorità su tutti i principati di questo mondo].   Il Cristo possiede la regalità temporale (27, 51-114)

Eadem ratione et vicarius eius potest.

  ma non l'ha trasmessa al proprio vicario (27, 115-118)
Nam non videretur Dominus discretus fuisse [... ] nisi unicum post se talem vicarium reliquisset qui haec omnia posset...   e non per imprevidenza (27, 51-55.118119) ma perché questi «magis spiritualibus posset intendere, ad quod ecclesia principaliter ordinatur...» (27, 117-118)

C - Risposta agli «argumenta in contrarium»...

   

Come si sarà notato, c. 19 è chiave di volta. Dal c. 19 in poi, si selezionano le auctoritates, si fa esegesi dei testi, s'introduce - soprattutto - il personale originale contributo della distinzione «principaliter et directe» (GRABMANN, Studien 32: «Ich habe bisher bei keinem Theologen des 13. Jahr. die Anwendung des Terminus indirecte und directe auf das Verhältnis der geistlichen und weltlichen Gewalt vorgefunden»). Lo si userà come formale del discorso argomentativo e strumento logico di soluzione delle obiezioni.

E la posizione “media” nel dibattito sul sacerdotium et regnum potrebbe esser confermata ampliando il confronto - oltre la letteratura canonistica - ai trattati politico-teologici che fruttificarono nell'ultimo scorcio del XIII secolo e nel primo ventennio del XIV - da Tolomeo da Lucca agli opuscoli anonimi delle due fasi di conflitto tra papato bonifaciano e regno di Francia, a Enrico da Cremona, Egidio Romano, Giacomo da Viterbo, Giovanni da Parigi, Dante Alighieri, Pietro de la Palu, Galvano Fiamma, Giovanni da Napoli. Ma sarebbe già opera di commento più che di edizione.

Enrico da Cremona "decretorum doctor" vicario del vescovo fiorentino: ott. 1300 accoglie ricorso della società degli Spini contro i monaci camaldolesi (ASF, NA 11484, f. 27v); 7.V.1302 (ASF, Mercatanti 7.V.1302).

Va comunque detto - restando entro gli estremi massimi di collocazione del CF, tra la Determinatio compendiosa (1280 ca.) di Tolomeo da Lucca e il De potestate regia et papali (1301-1302) di Giovanni da Parigi, ambedue confratelli e contemporanei di Remigio - che Remigio non mostra di possedere né l'ampiezza d'informazione storica che il primo mette a servizio delle tesi più ierocratiche, né l'acutezza teologica che il secondo mette a servizio dell'autonomia del temporale (De potestate regia et papali, ed. Leclercq, Parigi 1942, cc. 14 ss: pp. 217 ss; si noti la qualità teologica della sezione “risposta alle obiezioni”). Un esempio: Remigio poteva evitare in CF 12, 3-5.15-18 i grossi errori storici (di persone e di cronologia) che gli trasmette la glossa «Transtulit», se solo si fosse rivolto al Liber pontificalis e Cronica di Martino Polono (che altrove dà prova di utilizzare), o a Vincenzo da Beauvais (Speculum historiale, ed. Douai 1624, p. 953). Tolomeo da Lucca (Determinalio compendiosa de iurisdictione imperii, ed. M. Krammer, MGH, Fontes iuris germ. Lipsia 1909, c. 13: p. 31) li evita; Giovanni da Parigi (De potestate regia et papali c. 14: p. 219) ha correttamente Hildericum per re deposto, e non Ludovicum come in CF (Cf. W. ULLMANN, Il papato nel medioevo, Bari 1975, 76-85). A favore di Remigio sta solo l'attenuante che la trattazione sul potere papale non è opera autonoma ma inserita nel contesto redazionale del CF. Trattazioni ex professo sul potere papale offriranno agli agostiniani Egidio Romano nel De ecclesiastica potestate (1301) e Giacomo da Viterbo nel De regimine christiano (1301-02) l'occasione di dar prova di robustezza intellettuale e argomentativa che fa difetto al CF.

Gli estremi dottrinali, comunque, della teoria remigiana sul potere ecclesiastico si potrebbero così sintetizzare:

- l'auctoritas della chiesa è grande;

- l'auctoritas del papa eccelle ogni altro potere;

- l'ordinazione gerarchica del cosmo e la natura specifica delle singole sostanze fondano un atto e un agire proprio di ciascun essere;

- il Cristo, sacerdote e re, ha ricevuto sia la regalità spirituale che quella temporale;

- il suo vicario invece, il papa, ottiene per trasmissione apostolica solo la prima; la vicarìa non comporta necessariamente la delega di tutto il potere del delegante;

- ma l'unità del corpus della civitas medievalis comporta un caput uno e supremo, il papa, che intervenga nei casi che sollecitano l'istanza ultima del potere;

- questo intervento può terminare anche al temporale ma non in forza d'una intrinseca ordinazione o competenza diretta («non principaliter et directe»);

- la legislazione ordinaria e l'esercizio della giurisprudenza determinano i casi specifici in cui la potestas ecclesie supplisce il giudice secolare o si estende al temporale «<in>directe et in casu».

Ma non tutto è così lineare.

Le perplessità annotate da alcuni studiosi (cf. C. DAVIS, An early Florentine political theorist..., «Proceedings of the American Philosophical Society» 104 (1960) 675-76) circa la coerenza della teoria remigiana, hanno in parte le loro ragioni. E non tanto perché la casistica della extensio in temporalibus (c. 37) sotto la rubrica «nonnisi ratione delicti vel defectus iudicis principalis» (c. 19, 9-10) apre la porta ad un'indefinibile e inarrestabile surroga del temporale da parte dello spirituale, che pure si voleva contenere; non tanto per la dubbia tenuta teorico-pratica della distinzione «principaliter et directe» quando ci si muove entro una politologia bipolare (anima-corpo, spirituale-temporale, papa-imperatore); ma per l'incapacità di trarre tutte le conseguenze dalla lezione della consistenza ontologica della natura e dalla specificità del loro agire, che pure potevano fondare uno ius proprio. I cc. 26 e 27 stabiliscono ad un tempo meriti e limiti di fra Remigio. Si comprende come entro il dato dell'unità e universalismo gerarchicamente composto, il temporale (= materiale!) sia subalterno allo spirituale, così come il corpo all'anima. Ma una volta affermato che il papa, in quanto vicario, non riceve tutto il potere di Cristo, non riceve in particolare la regalità temporale (cf. 20, 6-13; 27, 115 ss), resta difficile afferrare la tenuta logica con quanto asserito altrove: «... potestas regalis dependet a sacerdotali et causatur ab ea, et quod potest amoveri ab ea ratione delict» (c. 28, 13-15).

«Et causatur ab ea» - si noti. E proprio nello stesso capitolo in cui ci si propone di contestare legittimità d'inferenza teologica da “premesse simboliche” (c. 28 che risponde a cc. 7-8). E più sotto, c. 37, 18-19: «ius vero positivum civile a iure naturali procedit». Qui anzi si abbozza una sintesi dottrinale dello ius (da cui la iurisdictio = potestas iuris), che termina alla partizione:

ius

divinum  
naturale  
positivum canonicum
civile

Mentre, le relazioni di dipendenza genetico-normativa, stabilite nel medesimo testo, darebbero:

 

ius divinum
â

 

 

ius naturale
â

 

positivum canonicum

positivum civile

CF 37, 15-19. Non inutile confrontare questa divisione di ius con quella di lex che Remigio dà altrove. A parte la legittima distinzione delle nozioni ius e lex, i processi di derivazione, le subalternanze di normatività, le sfere di competenza sono difficilmente concordabili nelle due divisioni: «Lex autem est duplex, scilicet innata et positiva...; positiva autem est duplex, scilicet vetus et nova. Humana autem est duplex, scilicet imperialis ct municipalis» (De iustitia 128). La rivendicazione della lex municipalis distinta dalla imperialis è certamente un elemento prezioso e caratteristico di Remigio “teorico politico del Comune”; ma come sono entrambe subordinate alla lex divina? Ne «dipendono» in qualche modo? La concatenazione delle tesi ierocratiche di Tolomeo da Lucca sembra più rigorosa: «Si ergo tota iurisdictio concessa est vicario Christi, apparet quod imperiale dominium dependet a papa» (Determinatio compendiosa e. 6, p. 17).

Affermato che lo ius positivum civile procede dallo ius naturale e negato che tutto il potere regale di Cristo sia trasmesso al vicario-papa, non si vede dove Remigio fondi la supplenza papale in temporalibus. Bisogna supporre o che il dato dell'esercizio del potere in temporalibus (trasmesso dal fatto storico e dalla legislazione canonica) faccia violenza al fragile momento teorico, o che questo ospiti un residuo di vera e propria contaminatio teologica tra dottrina aristotelico-tomistica dello ius naturale e concezione dionisiana del cosmo cristiano.

E se facciamo astrazione dalle possibili tappe d'evoluzione del pensiero di Remigio - ancora tutte da ricostruire - come riconciliare questi due passi?

Contra falsos

Sermone in morte di Clemente V (20.IV.1314)

[Tesi:] ecclesia non babet auctoritatem super temporalia principaliter et directe (c. 19); probatur per auctoritates santorum (c. 20):

Quantum vero ad sanctos, dicit Bernardus: «In criminibus non in possessionibus potestas vestra...». «In hiis [gemmis, auro, equo albo, milite...] successisti non Petro sed Constantino». Ex quibus quidem verbis duo videntur haberi: unum est quod auctoritas commissa Petro non accipiatur de temporalibus; secundum est quod papa accepit temporalia ab imperatore Constantino (20, 2-13);

[e in occasione della donatio] facta est vox de celo: «Hodie infusum est venenum ecclesie Dei» (26, 22-23).

Omnia enim officia cuiuscumque dignitatis et iurisdictionalis potestatis, que a principio mundi usque nunc per diversas personas sunt babita, omnia simul in persona summi pontificis inveniuntur collata, secundum illud Bernardi: «Quis es? Sacerdos magnus (…) tu primatu Abel, gubernatu Noe (…) iudicatu Sarnuel». Et poterat addere: tu imperio Octavianus! (cod. G, f. 380va-b).

Il sermone continua con tesi e selezione di auctoritates che, a guardar bene, rinviano tutte alla sezione del CF anteriore al c. 19. Le annoterò tra parentesi quadre nel testo del sermone.

Ipse enim papa est rex super omnes reges, iuxta illud Apoc. 19: «Rex regum et dominus dominantium». Et est imperator, iuxta illud Ysa. 9: «Cuius imperium super humerum cius», super omnem imperatorem. «Quantum enim sol excedit lunam, tantum dignitas papalis excedit imperialem», ut dicit Innocentius III, Extra, ubi supra [CF 11,23-24]. Unde papa imperatorem confirmat et coronat [15,3-12] et oblique incedentem excomunicat [12,11.20]. Unde Nicolaus papa dist. 22, c. Omnes: «Romanam ecclesiam...» [11,32-34] (cod. G, f. 380vb).

E nel sermone Clemens est dominus Deus noster (II Paralip. 30) in ricevimento di Clemente V:

De ipso [papa] namque verum est quod scribitur Apoc. 19: «Rex regum et dominus dominantium». Ab ipso namque et ipsius auctoritate dependet omnis auctoritas omnium regum et omnium principum terrenorum [cf. CF 18,4-5]. Unde Gregorius, et habetur dist. 96, c. Quis dubitet... [10,70-73]. Et beatus Cirillus: «Ipsi capiti nostro apostolico trono Romanorum pontifice...» [10,49 ss]. Et Bernardus lib. II «Quis est? etc.»... [10,57 ss] (cod. G, f. 347rb).

E pur restando entro i dati del CF, il più benevolo esercizio di simpatia ermeneutica dell'editore non riesce a dissipare un grave dubbio testuale. Così almeno a mio giudizio. Si tratta dell'importante capitolo 37. Il titolo porta incontestabilmente «indirecte et in casu», ripetuto in c. 37, 5. Il che sembra ben accordarsi con tesi III esposta in cc. 19-36. Il grosso del discorso sarebbe: il papa non ha autorità nel temporale «principaliter et directe» (cc. 19-36), ma si danno casi in cui egli è chiamato a intervenire; qui la sua autorità si esercita nel temporale «indirecte et in casu» (c. 37). Ma poi nell'analisi dei modi e dei casi di siffatta estensione nel temporale, l'argomentazione si svolge su un supporto dialettico concludente sempre a «directe». Nel caso di supplenza della causa subordinata: «subtracto secundo, primum directe se extendit et immediate ad illud ad quod, existente secundo, non extendebat se nisi indirecte quodammodo et mediate» (c. 37,26-28); e nei sette casi elencati (c. 37,47-83) l'estensione dell'autorità papale nel temporale segue la medesima legge («Et per istum modum...»: 37,43), cosicché «iurisdictio pape directe se extendit ad temporalia» (37,44). Nel caso dell'analogia stabilita sul rapporto «spirituale-carnale» (37, 84-92): anche il carnale partecipa in qualche modo dello spirituale, e sotto questo rispetto anch'esso «pertinebit directe ad pape iurisdictionem» (37,86-87).

Il c. 37 non è stato redazionalmente e dottrinalmente riequilibrato col blocco cc. 19-36 mirante a contenere l'estensione del potere papale nel temporale? È mancata una chiara definizione delle due nozioni extensio directa ed extensio indirecta? Oppure il titolo di c. 37 porta una svista e va corretto: «Quomodo iurisdictio ecclesie directe et in casu ad temporalia se extendit»?

Non aveva dato prova di maggior acutezza e coerenza il confratello e contemporaneo Giovanni da Parigi († 1306)? Certo, nella gerarchia degli ordines che traducono l'immagine del mondo celeste e terreno del medievale, nessuno oserebbe negare l'excellentia dello spirituale sul materiale. Ma la consistenza ontologica della natura, la subordinazione della causalità, che potevano fondare sia uno ius naturale che una autonomia etica delle virtutes politicae (interessanti spunti anche in CF 27, 38-49;18, 20-25; ma poi, c. 36, si dice che anche l'auctoritas degli infedeli dipende dal papa!), avevano insegnato ai discepoli di Tommaso d'Aquino che la composizione gerarchica degli esseri non era necessariamente di marca dionisiana o neoplatonica. Giovanni da Paiigi aveva abbozzato perfino le possibilità teoriche d'uscire da una politologia bipolare entro cui ci si dibatteva senza molto frutto:

Quod arguitur vigesimo quod corporalia reguntur per spititualia et ab ipsis dependent ut a causa, respondeo: argumentum ut sic factum multipliciter deficit. Primo quia supponit quod potestas regalis sit corporalis et non spiritualis, et quod habeat curam corporum et non animatum [animarum?], quod falsum est (…) cum ordinetur ad bonum commune civium non quodcumque, sed quod est vivere secundum virtutem, ut dicit Philosophus... (De potestale regia et papali c. 17: p. 225).

E poco prima, nel versante più specificamente ecclesiologico, aveva introdotto una intuizione che poteva fondare in radice la legittimità cristiana dell'autonomia del temporale:

Si ecclesia accipiatur non solum pro congregatione clericorum sed generaliter vocetur ecclesia communitas fidelium, sic ecclesie presunt et ecclesiasticus iudex in spiritualibus et secularis in temporalibus (De potestale regia et papali c. 16: p. 223).

Sono stati spesso menzionati Giovanni da Parigi e Tolomeo da Lucca, perché le loro biografie s'intrecciano con quella di Remigio e dei primi discepoli di Tommaso d'Aquino. Nel 1303 Giovanni firma, con i domenicani di St.-Jacques, l'appello al concilio contro Bonifacio VIII (AFP 1952, 405). Tolomeo era priore di SMN nel 1301-02; nel capitolo generale di Colonia 1301 fu, con Remigio, elettore del maestro generale; dove poi «alter corum diffinivit». E c'è da rammaricarsi della perdita di un'opera d'un terzo comune confratello della provincia Romana, fr. Angelo il Nero da Viterbo, di cui esisteva un commento all'Unam sanctam dall'incipit: «Sciendum, sicut egregius doctor fr. Thomas, secundum cuius dicta intendimus hanc decretalem disponere» (SOPMÆ I, 76).

 Anche Remigio sembra soffrire la fragilità delle categorie «spirituale-carnale» per interpretare e comporre nell'unità dell'universo cristiano la natura e subordinazione dei due ordini di potere. Tanto che le “categorie” degradano in metafore, strumento retorico della «comparatio» (cf. c. 37,7-8,23-24.84). L'ordine temporale – competenza dell'imperatore - è sì carnale, ma «respective acceptum etiam in se spiritum habet» ed è anch'esso in qualche modo spirituale (c. 37,84-85). E a questo punto ci si sarebbe attesi - per coerenza di riconfermare la distinzione dei poteri precedentemente asserita - di veder chiamate in causa le virtutes politicae. Queste infatti presiedono e dirigono, secondo la legge della specificità delle potenze e dei loro atti, l'attività umana terminante al bene politico; cosa che non compete alle virtutes tbeologicae (c. 27,38-49). Ma l'argomentazione piega in altra direzione: se il temporale-carnale partecipa in qualche modo dello spirituale, allora esso ricade sotto la giurisdizione diretta del papa (c. 37,86-91).

Del resto, la vastità d'orizzonte della ecclesia del CF è animata da un'ispirazione comprensiva con funzione “integrante” e “assimilante” delle realtà temporali, più che dalla sorpresa di aver scrutato le diversità specifiche degli atti conoscitivi dell'uomo (notitia scientiarum) e averne intuito la portata operativa nella polis terrena.

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