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De misericordia

La compassione

originale latino

volgarizzamento (2010) di EP

  Capitulum XX

Capitolo 20

Estote.

Hic addendum est quod in miserendo proximis, sive quantum ad animam sive quantum ad corpus ipsorum, est quidam ordo attendendus.

Siate compassionevoli, Luca 6,36.

Dobbiamo aggiungere che in materia di compassione verso il prossimo, sia quanto all'anima che al corpo, va osservato un determinato ordine.

Primo enim debemus misereri amicorum deinde inimicorum, iuxta illud Prov. 6 «Discurre, festina, suscita amicum tuum» et 12 «Qui negligit dampnum propter amicum iustus est», et Eccli. 6 «Si possides amicum, in temptatione posside illum» et 14 «Ante mortem benefac amico tuo», et Iob 19 «Miseremini mei, miseremini mei, saltem vos amici mei», et in Ps. [54,13] «Si inimicus meus meledixisset michi» etc., et Luc. 11 «Amice, commoda michi tres panes» et 14 «Amice, ascende superius», et Io. 11 «Laçarus amicus noster dormit sed ego vado ut a sompno excitem eum», et Cant. 5 «Comedite, amici» etc.[1]

Dobbiamo in primo luogo aver compassione degli amici, e poi dei nemici, secondo Proverbi 6,3: «Và, gèttati ai suoi piedi, importuna il tuo amico»; e 12,26: «Uomo giusto è chi per amore dell'amico ne ignora l'offesa»; Ecclesiastico (Siràcide) 6,7: «Se intendi farti un amico, mettilo alla prova»; e 14,13 «Prima di morire fà del bene all'amico»; Giobbe 19,21: «Pietà, pietà di me, almeno voi miei amici!»; Salmo 55,13: «Se mi avesse insultato un nemico, l'avrei sopportato» eccetera. Luca 11,5 «Amico, prestami tre pani», e 14,10 «Amico, passa più avanti»; Giovanni 11,11 «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo»; Cantico dei Cantici 5,1: «Mangiate, amici, bevete» eccetera.

Secundo tamen debemus misereri inimicorum, iuxta illud Mt. 6 «Diligite inimicos vestros, benefacite his qui oderunt vos» etc.

In secondo luogo dobbiamo aver compassione dei nemici, secondo quanto in Matteo 5,44: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» eccetera.

Item primo debemus misereri coniunctis nobis carnaliter quam aliis, iuxta illud I Thim. 5 «Quis suorum et maxime domesticorum curam non habet, fidem negavit et est infideli deterior», et Prov. 11 «Qui crudelis est etiam propinquos abicit».

Dobbiamo poi aver compassione anzitutto dei nostri parenti fisici, come si dice in I Timoteo 5,8: «Se qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele»; Proverbi 11,17: «Il crudele tormenta anche i propri congiunti».

Inter coniunctos item primo debemus misereri coniunctioribus. Inter omnes autem coniunctior videtur uxor viro et e converso, uno modo loquendo, quia sunt unum facti secundum coniunctionem actualem, iuxta illud Mt. 19[,6] «Itaque non sunt duo sed una caro»; licet parentes sint coniunctiores secundum alium modum, scilicet secundum coniunctionem originalem, quia quicquid |204va| sumus secundum corpus, totum est a parentibus originatum. Esse autem originem pertinet ad rationem dignitatis et eminentie.

Tra i congiunti, precedenza ai più prossimi. Tra i più prossimi va collocata la moglie rispetto al marito e viceversa, quasi unico termine denominativo, visto che i due diventano un'unità nella loro fattuale convivenza, secondo le parole di Matteo 19,6: «Così che non sono più due, ma una carne sola»; sebbene i genitori ci siano più intensamente congiunti per altra ragione, ovvero per consanguineità di discendenza: la nostra realtà |204va| fisiologica infatti trae origine dai genitori. Ma stare alle origini appartiene alla nozione di onore e di preeminenza.

Et ideo quantum ad cohabitationem, magis debet subvenire uxori quam parentibus, iuxta illud Gen. 2 «Relinquet homo patrem et matrem et adheret uxori sue». Quantum vero ad reverentiam ne vituperose vivant et ut eis obediatur, debet magis subvenire parentibus; et ideo primum preceptum secunde tabule datum est a Deo de honore parentum, Exo. 20 «Honora patrem tuum et matrem tuam». Unde omnem defectum eorum magis debet cooperire sive sit defectus sensus sive ignobilitatis sive paupertatis sive alicuius vitii, et generaliter sive sit cuiuscumque rei.

Quanto dunque alla convivenza, l'uomo deve aver cura della moglie più dei genitori, come insegna Genesi 2,24: «Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie». Quanto invece al rispetto, l'uomo deve primariamente curare i genitori, perché non soffrano disonore e disubbidienza; per questo il primo precetto della seconda tavola dato da Dio riguarda l'onore dei genitori, Esodo 20,12: «Onora tuo padre e tua madre». E l'uomo deve pertanto prendersi cura di ogni loro fragilità: limiti fisici, basso ceto sociale, povertà, e altri disagi; in generale ogni genere di necessità.

Inter parentes autem quantum ad spectantia ad honorem, prius debemus subvenire patri quam matri, secundum Ieronimum, Super Eçechielem. Et hoc quia pater est nobilius principium nostri in originando quam mater, quia pater est principium per modum agentis, mater autem magis per modum patientis et materie. Maior enim honor debetur fabro vasis quam auro. Quantum vero ad ea que spectant ad a1ias indigentias, prius debemus subvenire matri quam patri quia ipsa plus diligit nos et plus laboravit in nobis, iuxta illud Ecc1i. 7[,27] «Gemitum matris tue ne obliviscaris».

Tra i genitori, per quanto spetta al rispetto, dobbiamo dar precedenza al padre anziché alla madre, a giudizio di san Girolamo, Super Eçechielem. Il padre infatti, nel processo riproduttivo, è per noi principio superiore a quello materno: il padre è principio in modalità di causa, la madre invece in modalità passiva, o materiale. Maggior merito, infatti, spetta al fabbro che foggia un vaso anziché all'oro che ne è materia. Quanto poi ad altri bisogni, dobbiamo dar precedenza alla madre anziché al padre; essa infatti ci offre più amore, e ha sostenuto per noi i travagli del parto; Ecclesiastico (Siràcide) 7,29: «Non dimenticare i dolori di tua madre».

Similiter et filiis prius quam parentibus subvenire debemus quantum ad curam provisionis in necessariis ad vitam, iuxta illud II Cor. 13 «Non debent filii tesauriçare parentibus sed parentes filiis».

Et hoc quia coniunctior est filius patri quam e converso. Unde ratione maioris coniunctionis plus diligit parens filium naturaliter quam e converso, secundum Philosophum in VIII Ethicorum ubi dicit quod «parentes diligunt filios tamquam aliquid sui existentes» - pater autem non est aliquid filii -; et quod pars est propinquior toti quam e converso; filius autem est pars patris, separata tamen; et ideo dilectio secundum quam pater diligit filium similior est dilectioni qua quis diligit se ipsum.

Parimenti dobbiamo soccorrere prima i figli che i genitori quanto all'approvvigionamento delle cose necessarie alla vita; II Corinzi 12,14: «Non  spetta ai figli mettere da parte per i genitori, ma ai genitori per i figli».

Questo, perché il figlio è più legato al padre che viceversa. E a motivo di tale maggiore legame, il genitore per natura ama di più il figlio che viceversa, come vuole Aristotele, Etica nicomachea VIII,12 (1161b 18-19), laddove dice che «i genitori amano i figli come parte di se stessi» - il padre infatti non è realtà altra dal figlio -; e che la parte è più prossima al tutto che viceversa. Il figlio pertanto è parte del padre, sebbene distinta, e di conseguenza l'amore col quale il padre ama il figlio è più simile all'amore col quale uno ama se stesso.

Secundo ratione maioris certitudinis de coniunctione; unde dicit quod parentes |204vb| magis sciunt aliquos esse suos filios quam e converso.

Tertio ratione maioris diuturnitatis; nam statim parens incipit diligere filium, filius autem tempore procedente incipit diligere parentem. Dilectio autem quanto est diuturnior tanto est fortior, iuxta illud Eccli. 9[,14] «Ne derelinquas amicum antiquum, novus enim non erit similis illi».

Quantum vero ad ea que sunt reverentie, filius tenetur magis subvenire patri quam e converso; et nichilominus ex beneficiis susceptis, in necessitate maxime est obligatus ad ipsi serviendum.

Secondariamente a motivo di maggior certezza del legame; infatti Aristotele aggiunge (Etica nicomachea VIII,12: 1161b 20-21) che i genitori |204vb| sanno meglio quali figli sono stati da loro generati, che non il contrario.

In terzo luogo per la maggior lunghezza dei tempi; il genitore infatti comincia subito ad amare il proprio figlio, mentre quest'ultimo comincia ad amare il genitore a tempi lunghi. E l'amore, quanto è più duraturo tanto è più forte; Ecclesiastico (Siràcide) 9,10: «Non abbandonare un vecchio amico, perché quello recente non è uguale a lui».

Quanto poi alle testimonianze di rispetto, il figlio deve maggiormente soccorrere il padre, che non viceversa; e a causa dei benefici ricevuti, è massimamente tenuto a soccorrerlo in situazione di necessità.

Circa crucem vero nota quod postquam ostendimus in Christo merito esse misericordiam propter ea que crucifixus dixit, nunc restat idem ostendere propter ea que ipse fecit. Et quidem primo fecit ut angeli humanitati subvenirent in signum quod ipse paratissimus est per crucem hominibus subvenire.

Quanto alla croce, abbiamo già mostrato quanta compassione ebbe il Cristo per le parole dette da crocifisso. Ora non resta che mostrare quanto egli fece. E in primo luogo, fece sì che gli angeli soccorressero l'uomo, quale segno che egli stesso era pronto ad aiutare gli esseri umani tramite la croce.

Capitulum XXI[2]

Capitolo 21

Estote.

Item prius debemus misereri benefactorum quam beneficiatorum ratione maioris obligationis, quia ingratitudo est maximum peccatum, iuxta illud II Thim. 3[,2] «Parentibus non obedientes, ingrati, scelesti». Unde et sancti dicunt quod propter ingratitudinem redeunt omnia alia peccata[3].

Siate compassionevoli.

Dobbiamo aver compassione dei benefattori prima che dei beneficiati, a motivo di un dovere maggiore; l'ingratitudine infatti è gravissimo peccato, a giudizio di II Timoteo 3,2: «Ribelli ai genitori, ingrati, senza religione». E anche i santi asseriscono che a causa dell'ingratitudine tutti gli altri peccati vengono imputati di nuovo.

Tamen e converso, debemus subvenire prius secundum aliam considerationem, scilicet primo ratione maioris naturalitatis, secundum Philosophum in IX Ethicorum. Beneficiatus enim est quasi quoddam opus benefactoris, unde consuevit dici de aliquo "Iste est factura illius". Naturale autem est cuilibet quod diligat opus suum, sicut videmus quod patres diligunt filios et poete poemata sua. Et hoc quia unumquodque maxime diligit suum esse et suum vivere, quod maxime manifestatur in suo agere.

Al contrario, da un altro punto di vista dobbiamo prima soccorrere (i beneficiati), e in primo luogo a motivo di maggior prossimità alla natura, come sostiene Aristotele, Etica nicomachea IX,7 (1167b 30 ss). Il beneficiato infatti è quasi frutto del benefattore, tanto che usava dire di qualcuno "Costui è opera sua". Va da sé che ognuno ama la propria opera, così come vediamo che i padri amano i figli e i poeti i loro poemi. Ciascuno infatti, al di sopra di tutto, ama il proprio essere e la propria vita, che massimamente si rivela nella propria attività.

Secundo ratione maioris virtutis. Virtuosius enim est diligere maius bonum; maius autem bonum est bonum honestum quam bonum utile. Sed benefactor inspicit in beneficiato bonum suum honestum; beneficiatus autem inspicit in benefactore bonum suum utile.

In secondo luogo, a motivo di maggior virtù. È più virtuoso infatti amare un bene superiore; ed è superiore il bene in sé anziché quello utile. Ora, il benefattore ha d'occhio il proprio bene vero esistente nel beneficiato, mentre il beneficiato è più attento al proprio bene utile.

Tertio ratione maioris nobi1itatis. Nobilior enim est benefactor quam beneficiatus, et ideo nobilius ipsum decet habere. Nobilius autem est amare quam amari, quia illud est agere, istud est pati.

Quarto ratione maioris difficultatis. Difficilius enim est beneficia impendere quam recipere. Ea vero in quibus |205ra| laboramus magis diligimus, que vero nobis de facili proveniunt quodammodo contempnimus.

In terzo luogo, a motivo di maggior eccellenza. È più eccellente il benefattore che il beneficiato, e pertanto va trattato più onorevolmente. È più eccellente amare che essere amati; amare infatti implica attività, essere amati invece passività.

In quarto luogo, a motivo di maggior difficoltà. Infatti è più impegnativo mettere a disposizione i beni anziché riceverli. |205ra| Noi preferiamo quel che maggiormente c'impegna, mentre quanto è scontato lo ignoriamo.

Capitulum XXII

Capitolo 22

Item inter predictos prius debemus subvenire melioribus, et hoc quia sunt Deo coniunctiores, iuxta illud Eccli. 12[,6] «Des iusto et ne susceperis peccatorem». Item magis debemus misereri cuiuslibet secundum statum suum. Unde magis debemus subvenire consanguineis in hiis que pertinent ad naturam, concivibus autem in hiis que pertinent ad civilem conversationem, in hiis vero que pertinent ad bella magis commilitonibus.

Fra tutti costoro, dobbiamo prima di tutto soccorrere le persone migliori, perché più prossime a Dio, come vuole Ecclesiastico (Siràcide) 12,7: «Dà al buono e non aiutare il peccatore». E dobbiamo aver compassione d'ogni singola persona a seconda del suo stato, o ruolo pubblico. Dobbiamo pertanto soccorrere i consanguinei in materia di vita naturale, i concittadini in materia di convivenza cittadina, i compagni d'armi in fatti di guerra.

Est autem in omnibus predictis advertendum quod debent intelligi in genere, sicut equs est pretiosior asino in genere loquendo. Tamen quantum ad speciales personas, potest accidere contrarium. Si enim aliquis inimicus est in articulo necessitatis et est in via redeundi ad amicitiam et est carnaliter coniunctus, et amicus est in modica indigentia vel est in via separandi et nichil attinet, magis subveniendum est inimico tali quam amico.

Aggiungiamo che tutti i casi elencati vanno intesi in termine di genere; il cavallo, per intenderci, vale più dell'asino entro il medesimo genere di animale. Quanto invece a singole persone, può accadere il contrario. Esempio: un nemico soffre di gravi necessità, sta ricuperando i rapporti amicali, è consanguineo; al contrario, un amico è leggermente indigente, sta per rompere i rapporti, nessuna parentela. In tal caso specifico, va piuttosto soccorso il nemico anziché l'amico.

Item si consanguineus fit malus et fit inimicus etc., et e converso fit extraneus, magis subveniendum est extraneo, iuxta illud Luc. 14 «Si quis venit ad me et non odit patrem et matrem et uxorem et filios et fratres et sorores, non potest meus esse discipu1us». Item propter quasdam particulares circumstantias, interdum magis subveniendum est parentibus quam uxori, et matri quam patri, et patri quam fi1io, et benefactori quam beneficiato, et malis quam bonis.

Parimenti, se il consanguineo diventa malvagio e nemico, e al contrario diventa estraneo, dobbiamo piuttosto soccorrere l'estraneo, secondo Luca 14,26: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, non può essere mio discepolo». Allo stesso modo, in particolari situazioni talvolta dobbiamo soccorrere più i genitori che la moglie, più la madre che il padre, più il padre che il figlio, più il benefattore che il beneficiato, più i disonesti che i virtuosi.

Circa crucem vero nota quod ipse fecit quod celestia et elementa et mixta sibi compaterentur in cruce in signum quod ipse paratus est omnibus compati[4].

Quanto alla croce, considera che il Cristo fece sì che cose celesti, elementi primi e realtà composite fossero a lui compassionevoli nella croce, e così egli mostrò la propria predisposizione ad universale compassione.

 

 


[1] Le Concordantiae bibliche, formalmente raccomandate a tutti i conventi della provincia Romana (cf. MOPH XX, 143, anno 1303).

Qui l'autore Remigio non ha fatto che scorrerle e utilizzare la voce "amicus" e suo contrario.

ordo caritatis & misericordie 

tradizione

Remigio

DioDio
noi stessicomune
noi stessi
prossimo prossimo
corpo corpo
 

[2] Capitolo 21 riassume, qua e là letteralmente, Tommaso d'Aquino, Summa theol. II-II, q. 26, a. 12: Utrum homo magis debeat diligere benefactorem quam beneficiatum.

Cf. ordo caritatis/misericordie.

[3] Per il principio, e lessico, di "peccata redire propter ingratitudinem" vedi PIETRO LOMBARDO, Sententiae in IV libris distinctae (1155-58): IV, 22, 1 § 10, ed. Grottaferrata 1971, II, 388.

[4] Cf. Tommaso d'Aquino, Summa theologiae II-II, 26, 7-8; II-II, 31, 3. E del medesimo Remigio De mixtione elementorum in mixto.


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