precedente successiva

BNF, Conv. soppr. C 8.1173, ff. 185r-218r

Contra legem sarracenorum

Confutazione della legge islamica

originale latino

volgarizzamento (2010) di EP

<Quia non concordat in sententia cum aliquo alio,
capitulum quintum
>

Capitolo 5
In materia di dottrina il corano non concorda con nessun altro libro sacro

Riccoldo da Monte di Croce: BNF, CS, C 8.1173, f. 185r|192r| Quinto sciendum est quod quicquid sit de stilo et modo, sed manifeste patet quod non est lex Dei ipsum alchoranum quia non concordat in sententia cum lege Dei, nec etiam cum philosophis qui de uirtutibus et ultimo fine hominis tractauerunt.

|192r| In quinto luogo bisogna dire che, comunque stiano le cose in materia di stile e di linguaggio, è evidente che il corano non è legge di Dio: quanto a contenuto o dottrina il corano infatti non concorda con la legge di Dio, e nemmeno con i filosofi che hanno dibattuto su virtù e fine ultimo dell'uomo.

(7) Posuerunt enim philosophi quod ipsa felicitas hominis esset in parte intellectiva, et quod intellectus - qui est supprema potentia in homine - applicaretur ad summum intelligibile, et quod felicitas esset premium uirtutis, et quod uirtus erat circa arduum; et alia huiusmodi que uera sunt, licet ipsi non intelligerent perfecte[1].

Sostengono infatti i filosofi che la felicità dell'uomo risiede nella parte intellettiva; che l'intelletto - suprema facoltà dell'essere umano - si attiva in rapporto al sommo intelligibile; che la felicità è premio della virtù; che la virtù ha per oggetto quanto è arduo. E altre cose affini - sostengono -, vere in sé, sebbene essi non ne avessero conseguito perfetta conoscenza.

(12) Christus autem hec eadem in suo euangelio ostendit dicens quod «arta uia est que ducit ad uitam et quod pauci sunt qui uadant per eam, et lata est uia que ducit ad mortem» etc. Et in hoc consonat sententia Aristotilis, qui dicit quod difficile est operari secundum uirtutem sicut attingere centrum in circulo, quod pauci faciunt.
(16) Christus etiam posuit hominis felicitatem in uisione Dei, dicens: «Hec est uita eterna ut cognoscant te solum uerum Deum». Hec eadem sunt notissima in ueteri testamento; nam «Abrahe facte sunt promissiones», cui specialiter promisit Deus quod daret ei seipsum, absque eo quod promisit ei terram promissionis et benedictionem seminis. Moyses etiam, cui Deus tot magnalia contulerat et qui Deum in subiecta creatura uidebat, considerans digne quod hoc non sibi sufficiebat, instantissime petiit uidere faciem Dei et gloriam Dei etc.

Le medesime cose asserisce Cristo nel suo vangelo: «Stretta è la via che porta alla vita, e pochi sono quelli che la trovano, mentre spaziosa è la via che conduce alla morte» (Matteo 7,14.13) eccetera. Concorda la posizione di Aristotele, il quale sostiene che agire secondo virtù è difficile così come colpire il centro del cerchio (Etica nicomachea II,6: 1106b 31-33), cosa che pochi sanno fare.
Cristo inoltre ripone la felicità dell'uomo nella contemplazione di Dio, laddove dice: «Questa è la vita eterna, conoscere che tu sei il solo vero Dio» (Giovanni 17,3). Cose notissime nell'antico testamento. E infatti «ad Abramo furon fatte promesse» (Galati 3,16); a lui in persona Dio promise di dargli se stesso, senza ignorare la promessa della terra patria e la benedizione della discendenza (Genesi 15). Il medesimo Mosè, che beneficiava di tante meraviglie e vedeva Dio nel creato, meritatamente ritenne tutto ciò insufficiente, e chiese con insistenza di vedere il volto e la gloria di Dio (Esoso 33,18-23), eccetera.

(25) Machometus autem de uirtutibus quasi nichil tractauít, sed de bellis et de rapina uiam latam sibi conuenientem accepit et suis sequacibus, «filiis perditionis» et mortis. Unde de necessitate salutis non est eis nisi quod saracenus dicit: «Non est Deus nisi Deus et Machometus est nuncius Dei»[2].

Delle virtù, al contrario, Muhammad non dice pressoché nulla; ma parla di guerre e di rapine, e si apre così una strada larga, congrua a lui e ai suoi seguaci, "figli della perdizione" (cf. Giovanni 17,12; II Tessalonicesi 2,3) e della morte. Di conseguenza, unica cosa necessaria per la salvezza è che il musulmano proclami la shahâda: «Non c'è altro Dio se non Dio, e Muhammad è il suo messaggero».

(29) De fine autem ultimo cum nullo concordat nisi cum quibusdam antiquis brutalibus qui non discernebant inter sensum et intellectum, et ideo felicitatem ponit in quibusdam sensibilibus, scilicet in comestibilibus et luxuria et ortis irriguis et uestibus preciosis, de quibus infra uidebimus in VIII° [VI° cod.] capitulo[3].

Sul fine ultimo non concorda con nessuno, salvo con taluni antichi edonisti che non ponevano alcuna distinzione tra percezione sensitiva e facoltà intellettiva; e pertanto identifica la felicità in taluni oggetti dei sensi, quali cibo, lussuria, giardini irrigui, vesti preziose, come diremo nel capitolo ottavo.

(33) Nec potest dici quod ista ponat |192v| per similitudinem, sicut etiam in euangelio fit mentio de mensa et cibo et huiusmodi in uita eterna[4]. Ostenditur enim ex euangelio quod illa per similitudinem ponuntur quia ibi de uera felicitate aliquid aperte dicitur[5]. Sed in alchorano nichil omnino aperte dicit de uera beatitudine, sicut homo qui eam non apprehendit; sed ad litteram talem beatitudinem sibí depinxit qualem homo lubricus et carnalissimus appetebat.

Né si può sostenere che Muhammad parli di tale materia |192v| in metafora, così come il vangelo menziona "mensa", "cibo" e cose simili nella vita eterna. Nel vangelo infatti tali parole son dette per similitudine, laddove in senso proprio ed esplicito si parla di felicità vera. Nel corano invece, in senso proprio non vien detto nulla circa la felicità vera, al modo di chi non ne ha mai avuto esperienza. Ne parla, sì, in termini letterali, ma come se la rappresenta un uomo carnale e intemperante.

(39) Et licet ueram felicitatem non apprehenderit nec promiserit hominibus, tamen de ultimo fine saracenorum, cogente Spiritu sancto, aliqua uera et notabilia dixit. Ait enim ipse Machometus saracenis: «Vos diuidemini post me in septuaginta et tres diuisiones, quarum una salua erit, residuum autem totum igni deputabitur»[6]. Hec sententia est apud eos ita autentica quod eam non respuit neque sapiens neque stultus[7].

E sebbene egli né avesse sperimentato né promesso la vera felicità agli uomini, per volontà dello Spirito santo ha detto alcune cose vere e notevoli circa il fine ultimo dei musulmani. Ai musulmani infatti lo stesso Muhammad predisse: «Dopo di me vi dividerete in settantatré fazioni; una si salverà, tutto il resto sarà destinato al fuoco!». Affermazione da loro ritenuta tanto autentica che nessuno l'ha mai respinta, né il dòtto né l'analfabeta.

(45) Alia uero sententia de hoc habetur in alchorano in capitulo Mariem, quod interpretatur "Maria", quod omnes saraceni ibunt ad infernum[8]. Hanc sententiam credo esse uerissimam, licet ab ore mendacissimi fuerit prolata. Et in hoc concordauit propheta mendax cum ueritate prima, que dixit quod «lata est via que ducit ad interitum et multi sunt qui uadunt per eam». Et manifeste constat ex predictis quod lex saracenorum est lata, et multi sunt saraceni qui uadunt per eam et quod ipsi uadunt ad infernum[9]. Non iam ex ore ueritatis tantummodo sed etiam ex ore prophete ipsorum patet.

Sul medesimo tema il corano, capitolo Marîam ovvero "Maria", afferma che tutti i musulmani andranno all'inferno. Verissima affermazione! - sebbene sortita da bocca menzognera. E in ciò il profeta menzognero concorda con la Verità prima, la quale ha detto: «Spaziosa è la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa» (Matteo 7,13). Da quanto detto risulta evidente che la legge dei musulmani è spaziosa, molti sono i musulmani che entrano per essa, ed essi vanno all'inferno. Certezze proferite non soltanto dalla bocca della Verità ma anche dalla bocca del loro profeta.

(55) Preterea alchoranum non concordat legi Dei in preceptis et prohibitionibus. Lex enim Dei prohibet homicidium, rapinam, concupiscentiam, que omnia alchoranus aut precipit aut permictit[10].

Il corano non concorda con la legge di Dio in materia di comandamenti e di divieti. La legge di Dio, ad esempio, vieta omicidio, rapina, lascivia (cf. Deuter. 5,6-22; Esodo 20,1-17); cose che il corano o prescrive o autorizza.

(58) Preterea non concordat ei in iudiciis. Lex enim Moysi et euangelium dicit quod nemo condempnetur ad testimonium unius «sed in ore duorum uel trium» etc. Contraria vero horum habentur in capitulo Elnur, quod interpretatur "lux", ubi solum prohibetur quod non compellant eas perdere castitatem; sed si sunt in concordia, secure concumbant, etc. que ibi[11]. Idem patet in capitulo Elmuminim, ubi permittit concubitum tam cum uxoribus quam cum illis quas in bello ceperunt[12].

Non concorda inoltre col sistema del diritto. La legge di Mosè ed il vangelo dispongono che nessuno sia condannato sulla testimonianza di una sola persona, ma su quella di due o tre (Deuter. 19,15; Matteo 18,15-16) eccetera. Tutto il contrario si legge nel capitolo al-nûr, che significa "luce": vi si proibisce soltanto di costringere le donne a perdere la verginità; ma se esse acconsentono, possono legalmente giacere con loro (Cor. 24,33) eccetera. Medesima cosa risulta nel capitolo al-mûminûm; qui permette coito sia con mogli che con schiave di guerra.

(65) Constat igitur hanc legem alchorani non esse legem Dei, nec etiam esse a Deo nisi permissive, sicut et alia mala. Discordat enim a lege et intentione |193r| Dei, que est de salute omnium.

Evidente dunque che la legge coranica non è legge divina; né proviene di Dio se non perché tollerata, al pari di altre perversità. È dissonante anche da quel progetto |193r| di Dio che vuole la salvezza di tutti gli uomini (cf. Ezechiele 18,23,32; I Timoteo 2,4).

   

[1] Cf. ARISTOTE, Ethique I, 7-10 (1097a - 1101a); II, 3 (1105 a 9). S. THOMAS, Contra Gentiles III, cc. 26.34.

[2] Sur la shahâda comme nécessité de salut, cf. GARDET, L'Islam, Religion..., Paris 1967, pp. 33-35, 37; Y. MouBARAC, L'Islam, Paris, 1962, pp. 52-53.

[3] Cf. Encycl. de l'Islam, 2a ed., «Djanna»; L. GARDET, Les fins dernières selon la théologie musulmane, «Revue Thomiste» 1957, 246-300.

[4] Cf. Matth. 8,11; 22,2-14; 26,29; Luc. 22,29-30; Apoc. 19,9.

[5] Cf. Matth. 22,30; Marc. 12,25; Luc. 20,35-36; Rom. 14,17; S. EPHREM, Hymnes sur le Paradis, SC 137, Paris 1968, pp. 103-104. Les descriptions de saint Ephrem auraient influencé la tradition musulmane concernant le Paradis. E. BECK, Les houris du Coran et Ephrem le syrien, «Mélanges de l'Inst. dom. d'Etudes Orient. 6 (1959-61) 405-08.

Mio appunto autografo aggiunto a questa nota: BECK mostra che la fonte EPHREM sulle hurî, a suo tempo invocata da Tor Andreae, è basata su un errore di traduzione: cf. R. Caspar, Cours de théol. musulmane I, 17.

[6] C'est un hadith. Cf. Itinerarium, XXXVI, p. 141, 9-10 = Liber peregrinationis, Berlin, Staatsbibliothek lat. 4°.466, f. 23va.

[7] Contrarietas alpholica II, Paris BN lat. 3394, f. 239v, 6-10: «Insuper dixit eis eorum dominus Machometus: Vos diuidemini post me in septuaginta tres divisiones, quarum pars una liberabitur et residuum igni deputabitur; hec autem narratio sive historia nota est apud eos, quam non respuit neque sapiens neque stultus»; f. 239v, 14-16: «qui dixit: Audivi Machometum dicentem: Dividetur populus mens post me in septuaginta tres divisiones, quarum una divisici salva crit, residuum igni deputabitur».

[8] Cor. 19,71; Itinerarium XXXVI, p. 141 = Liber peregrinationis, Berlin, Staatsbibliothek lat. 4°.466, f. 23va. C'est une question disputée: tout le monde entrera en enfer, mais les justes en ressortiront immédiatement. J. HENNINGER, Sur la contribution des missionnaires à la connaissance de l'Islam, surtout pendant le Moyen-Âge, «Nouvelle Revue de science missionnaire» 9 (1953) 178 note 67.

[9] Au temps de Riccoldo, le principe «Hors de l'Eglise pas de salut», était compris dans sa stricte littéralité. Cf. Y. CONGAR, Sainte Eglise. Etudes et approches ecclésiologiques, Paris 1963, pp. 417-432.

[10] La dottrine du Coran est plus complexe (cf. L. GARDET, Dieu et la destinée de l'homme, p. 79-107).

[11] Le Coran interdir aux maîtres de forcer les esclaves à se prostituer.

[12] Cf. Cor. 23,5-6; 70,30,4,25; 33,52; A. BOUHDIBA, La sexualité en Islam, Paris 1975, pp. 129 sq. (le status des concubines), p. 156 (les épouses par mut'a); CLS 1, 75-77.


precedente successiva