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  4. A margine dei priorati di Santa Maria Novella, ma ad essi in qualche modo connesse, cadono talune vicende letterarie di grande interesse e che dai priorati fiorentini potrebbero essere illustrate e precisate in più punti.

Nel 1966 Ruth J. Dean, studiosa del domenicano inglese Nicola Trevet (ancora in vita nel 1334), faceva conoscere la lettera con cui Nicola presentava al suo amico Paolo, che in Pisa l’aveva esortato a intraprendere l’opera, il commento alla Philosophiae consolatio di Boezio. Dopo la Consolatio, Nicola commenterà le tragedie di Seneca (1315 ca.) e gli Ab Urbe condita di Livio (1316-19) immettendosi con autorevolezza nel movimento culturale di nuove curiosità per testi classici che fermenterà nel ventennio 1320-1340 «gonfio di vicende retoriche tra le più forti che mai si siano svolte nella penisola italiana» (Billanovich, Dal Livio di Raterio 134).

R.J. Dean, The Dedication of Nicholas Trevet’s Commentary on Boethius, «Studies in Philology» 63 (1966) 593-603.
G. Billanovich, Dal Livio di Raterio (Laur. 63,19) al Livio del Petrarca (B. M., Harl. 2493), «Italia medioevale e umanistica» 2 (1959) 134; su Nicola Trevet pp. 154-58. Id., Tra Dante e Petrarca, ib. 8 (1965) 1-44, specie pp. 10-11.36-38.

SOPMÆ III, 187-196; IV, 213-215. Lord, Virgil's Eclogues. G. BRUNETTI. DHN 20 (2011) p. 246 n° 1519.

Nicola cita il proprio commento alla Philosophiae consolatio nel quodlibeto disputato in Oxford nel 1304 (F. Ehrle, Gesammelte Aufsätze zur englischen Scholastik, Roma 1970, 334-35 n. 6). L’incontro con l’amico Paolo ebbe luogo in Pisa, come attesta la lettera. Nicola era certamente in Oxford nel 1303, e molto probabilmente anche negli anni 1300-02. Cosicché l’incontro pisano con Paolo andrebbe collocato anteriormente al 1300, mentre la precedente residenza oxoniense di Nicola è testimoniata per l’anno 1297.

La lettera, conservata in un solo manoscritto, l’Ambrosiano A 58 inf., presenta brani alquanto oscuri. La difficoltà d’intendere appieno il testo è da addebitare in parte allo stesso autore, quando vien meno nel sostenere il piacere del complesso periodo ipotattico con la perspicuità dei raccordi sintattici, in parte alla tradizione manoscritta che, oltre a due lacune, tradisce lezioni corrotte, certamente molto sospette[1].

Anzitutto chi è Paolo? La Dean raccoglie convincenti indicazioni a favore d’un frate domenicano ma lascia sospeso il problema dell’identificazione. Il secolare Paolo da Perugia, propone Giuseppe Billanovich[2].

Solo il Kaeppeli, a quanto mi risulti, nella recensione delle opere di Nicola Trevet (SOPMÆ III, 191 n° 3143) suggerisce il nome di fr. Paolo dei Pilastri da Firenze OP. Il suggerimento merita d’esser raccolto e la proposta d’identificazione può produrre congruenze topiche e croniche di notevole peso. Lettera e prologo del commentario si completano: raccordano i vota quorundam fratrum che sollecitano il commentario con l'autore ex ordinis Predicatorum professione. Paolo di Gualduccio dei Pilastri, frate del convento fiorentino dal 1271, più volte sottopriore e priore, familiare del cardinale Niccolò da Prato dopo il trasferimento della curia papale ad Avignone, patriarca di Grado nel 1314, muore nello stesso anno quindici giorni dopo l’intronizzazione. Ora fr. Paolo dei Pilastri risulta priore di Santa Caterina di Pisa in settembre 1297[3], e verosimilmente lo è stato fino al capitolo provinciale (cui competeva l’absolutio dei priori) del 1298, convocato per il 14 settembre; non molto dopo il capitolo del 1298, Paolo viene eletto priore di SMN, e in tale carica rimane fino a settembre 1299. La visita di Nicola Trevet a Pisa trova eccellente congruenza tra cronologia del domenicano inglese stabilita dalla Dean e presenza di Paolo dei Pilastri in Pisa negli anni 1297 e 1298.

«Visita» del Trevet a Pisa, e poi a Firenze, non «composizione» del commento alla Philosophiae consolatio. La Dean infatti interpreta il brano centrale - quello di natura informativa - della lettera di Nicola nel senso che costui, lasciata Pisa per Firenze, abbia composto il commento boeziano nella stessa Firenze[4], presumibilmente nel convento domenicano di SMN[5].

In verità la lettera non offre né esplicite informazioni circa il luogo dove Nicola - nel corso delle otto settimane dalla domenica delle Palme a quella della Pentecoste - abbia composto il commento, né indizi per inferirne la composizione in suolo italiano. Indizi semmai sono a favore dell’ipotesi che composizione dell’opera e invio d’un esemplare all’amico Paolo abbiano avuto luogo altrove, lontano da Pisa e da Firenze. Rileggiamo il brano centrale della lettera.

Epistola fratris magistri Nicolai comentatoris ad Paulum
-
brano centrale -

ed. Dean, The Dedication 601-02

ed.  Billanovich, La tradizione 36-37

Recordor itaque hactenus cum personaliter a tua amicitia (MS. amititia) Pisis diuerti Florentiam in capite scalarum te exemplariter uerbis Ouidii me allocutum fuisse: Demof[o]on, uentis [et] uela et uerba dedisti, Vela queror reditu, Verba carere fide. Hexitans ut comento siue lucido scripto super Boetio de Consolatione Phylosophie meo studio atque labore fultis iuxta (MS. iusta) promissionem a me pollicitam utique fores non quidem mee sponsioni modicam exibere fidem. Sed quia nimia uoluntate tam excellenti opere etiam [blank for several ketters] dignissime occupatus me iuxta posse sed non firmiter pollicente ambigue dubitabas.

Recordor itaque hactenus cum personaliter a tua amicitia (amititia, ms.) Pisis diverti Florentiam, in capite scalarum te exemplariter verbis Ovidii me allocutum fuisse: «Demofon, ventis vela et verba dedisti, Vela queror reditu, verba carere fide»; hexitans, ut comento sive lucido scripto super Boetio de Consolatione phylosophie meo studio atque labore fultus iusta promissionem a me pollicitam utique fores, non quidem mee sponsioni modicam exibere fidem. Sed quia nimia voluntate tam excellenti opere etiam . . . . . dignissime occupatus, me iuxta posse sed non firmiter pollicente, ambigue dubitabas.

Verum [blank for several ketters] mea quam plurimum mensium temporis reditu caruerunt. Ductore autem deo extemplo (MS. -tim-) ad tuam expectantem residentiam applicabunt nequaquam te si delintea sequentia, que presto labili conuersione usque in hodierna tempora defecerunt. Verba autem mea a fecunda fide nullatenus virimerunt quemadmodum Demofontis profecto cessarunt. Demum autem imbutione temporis adueniente mea fides legalitate plena est, quoniam opus a te diu quesitum et procul dubio optitatum non sine maximo labore et frequenti solertia ad metam perduxi.

Verum <verba> mea quam plurimum mensium temporis reditu caruerunt. Ductore autem Deo extimplo ad tuam expectantem residentiam applicabunt; nequaquam te si de lintea sequentia que presto labili conversione usque in hodierna tempora defecerunt (sic). Verba autem mea a fecunda fide nullatenus diremerunt (dirimerunt, ms.), quemadmodum Demofontis profecto cessarunt. Demum autem, imbutione temporis adveniente, mea fides legalitate plena est, quoniam opus a te diu quesitum et proculdubio optitatum non sine maximo labore et frequenti solertia ad metam perduxi.

   

latino disastrato, presuntuoso volgarizzamento (2009) di EP

Mi ricordo ancor oggi, quando mi separai da te, amico mio, a Pisa in partenza per Firenze (1297-98 ca.). In cima alle scale mi salutasti in metafora con versi d'Ovidio: «Al vento hai spiegato vele e parole, Demofonte; delle vele lamento il mancato ritorno, delle parole la mancata fede». Tu dubitavi di poter far conto d'un mio commentario o chiara esposizione della Consolazione della filosofia di Boezio, benché io te l'avessi promesso. (...).  Le mie vele in verità per mesi e mesi non hanno fatto ritorno; ma ora con la guida di Dio, approderanno presto a casa tua! (...). Le mie parole non hanno dirottato dalla promessa fatta, come invece vennero meno quelle di Demofonte. Finalmente, a tempo finito, le mia promessa si riveste di legalità! Ecco, il lavoro che hai a lungo richiesto e sinceramente desiderato, l'ho portato a temine. Non senza grossa fatica e intensa alacrità.

   

«Al vento hai spiegato vele e parole, Demofonte; delle vele lamento il mancato ritorno, delle parole la mancata fede». La citazione ovidiana di Paolo (Heroides II, 25-26: «Demophoon, ventis et verba et vela dedisti: | Vela queror reditu, verba carere fide», nell'ed. G. Rosati, Milano 1989; distico diffuso dal manuale medievale Graecismus XV, 4-5, ed. J. Wrobel, Breslau 1887, 151) si è impressa nella mente di Nicola. Nell’inviare all’amico il commento finalmente portato a termine, Nicola riprende le parole d’Ovidio e assicura Paolo - il quale aveva dubitato dell’adempimento della promessa - che l’opera da tempo richiesta e desiderata è ora pronta. «Verba-reditu», «Verba-fide»: la coppia ovidiana si prolunga in istanza metaforica nella lettera di Nicola. Le mie parole non son venute meno alla promessa («Verba autem mea a fecunda fide...»: 602, 8-9). La mia nave, certo, da molti mesi non ha fatto ritorno; ma ora ecco che il mio dono approda verso di te. La coerenza della metafora, stabilita sul binomio ovidiano uerba-uela, suggerisce un non inverosimile restauro del primo membro della metafora coincidente con la seconda lacuna testuale:

«Verum<tamen uela> mea quam plurimum mensium temporis reditu caruerunt» (602,3-4),

corroborato dal susseguente verbo «applicabunt» (602, 6) cioè «approderanno»; oppure:

«Verum <quamuis uela> mea... reditu caruerunt, ductore autem Deo...» (602, 35)[6].

Non soltanto il testo non presenta tracce per concludere alla composizione dell’opera in Firenze, ma - benché oscuro in taluni brani - invita a ritenere che il commento alla Philosophiae consolatio sia stato composto lontano da Paolo, là donde ora vengono spedite lettera e copia del commento; attesta inoltre a più riprese che tra richiesta di Paolo e invio dell’opera è trascorso un imprecisato ma considerevole lasso di tempo: «quam plurimum mensium temporis» (602, 4), «opus a te diu quesitum» (602, 10-11), «pabulum... diu quesitum» (602, 37-38); tempo distinto e più ampio delle otto settimane di lavoro impiegate alla composizione del commento - di cui Nicola dà separata notizia[7] (602, 21-25) -, a sua volta distinto dall’ulteriore tempo occorso per trascrivere di proprio pugno due copie dell’opera appena portata a termine, la seconda destinata a Paolo[8] (602, 25-28). Anziché scusarsi del ritardo, Nicola avrebbe potuto vantare tempestività d’esecuzione se le espressioni «quam plurimum mensium temporis» e «diu quesitum» indicassero unicamente i tempi necessari alla composizione e copia dell’opera in Firenze subito dopo l’incontro pisano. Dopo il priorato pisano (1297-98), fr. Paolo dei Pilastri rientra a Firenze, dov’è priore di SMN da fine estate 1298 a settembre 1299; in Firenze risulta ancora presente nel 1300 e 1304[9]. Nicola Trevet, come sappiamo, cita il proprio commento alla Philosophiae consolatio nel quodlibeto del 1304; aveva promesso l’opera a fr. Paolo durante l’incontro pisano, gliela invia dopo che era trascorso un considerevole lasso di tempo. Non da Firenze, dove fr. Paolo risiede non appena terminato il priorato pisano e da dove sarebbe risultata incongrua la persistente metafora della navigazione per un dispaccio destinato a Pisa. Dall’Inghilterra, dobbiamo concludere, dopo il rientro in patria; qui la presenza di Nicola è attestata almeno a partire dal 1300.


[1] Edizione del testo in Dean, The Dedication 600-03, con riproduzione fotografica del documento; anche in G. Billanovich, La tradizione del testo di Livio..., I/1, Padova 1981, 35-38. Citerò il testo indicando pagina e rigo dell’edizione Dean.

[2] La tradizione del testo di Livio..., I/1, Padova 1981, 38-40.
Presa visione di questo mio contributo, il Billanovich accede alla nuova identificazione, con qualche riserva: G. Billanovich, Il testo di Livio. Da Roma a Padova, a Avignone, a Oxford, «Italia medioevale e umanistica» 32 (1989) 88-93, tutto l'art. pp. 53-99; esemplare inviatomi gentilmente dall'A., sett. 1991.

[3] Cr SMN  n° 213: «Frater Paulus filius olim Gualducii de Pilastris, sacerdos et bonus predicator. Fuit vite solide et religionis çelator, et amicis affabilis. Fuit supprior in conventu florentino in adolescentia sua, et magister novitiorum longo tempore. Fuit prior in conventu florentino et pluries ibidem supprior, et prior in conventu pisano et aretino, eugubino et pratensi; et aliquando fuit provincialis capituli diffinitor, et vicarius totius provincie per capitulum generale in Romana provincia. Fuit dudum in aula venerabilis patris domini Nicolai, ostiensis episcopi, in familiarem et capellanum. Tandem sublimatus [28.III.1314] ad cathedram patriarchatus gradensis ecclesie et inthroniçatus ibidem, vixit post hec diebus xv vel circa. Vixit in ordine annos xliiijor et menses aliquos». Necr. I, 268-70; HC I, 296. Cr Ps ed. p. 485 n. 151; il documento, del 16.IX.1298, è in stile pisano. Nessun altro Paolo, né del convento pisano né degli ACP, può concorrere con fr. Paolo dei Pilastri al titolo di destinatario della lettera di Nicola Trevet.

[4] «Now we find that he had a friend named Paul, who may indeed have been a brother Dominican, and the content of the letter shows that the commentary was written for him and under bis urging, and that it was done during a protracted stay in Italy» (Dean, The Dedication 594); «but it is not clear whether he is presenting the work in person or sending it to Paul, so we do not know in what city either man was at the time of the presentation, nor indeed precisely when this took place» (p. 596); Trevet «made a stay of several months in Pisa and Florence before 1304; he wrote his Boethius commentary in Florence, working from a borrowed text of the Consolation; he had been in Florence for a time before he wrote it and in Pisa before that» (p. 600).

[5] Ch.T. Davis, Dante’s Italy and other Essays, Philadelphia 1984, 267: «Not only did Trevet visit Tuscany and Florence, but he dedicated his commentary on Boethius to an old teacher and friend in Pisa. The commentary itself was written in Florence (and probably at S. Maria Novella) between Palm Sunday and Pentecost, before 1304 and possibly before 1300. Trevet borrowed a copy of the De consolatione from outside the convento. It is curious that around 1300 Florence was a center of interest in classical studies (though not in philology), even though she was unusually poor in classical texts, and that it was wandering Dominicans like Trevet as well as resident notaries like Brunetto who helped to make her learning less provincial»; e in nota 39: «As for the De consolatione, Trevet's statement that he had to borrow a copy outside the convent is confirmation of Dante's assertion of its rarity (in Conv. 2.12.2 Dante called it a book "not known by many")».
Trevet dice più esattamente che non aveva potuto portare a termine la promessa «nisi prius exemplar prestanti mea manu comentum unum exemplarer et scriberem. Sicque omni pretio cessante multisque precibus rogantibus quasi gratis, postquam sibi prefatum librum scripsi, petitum exemplar optinui» (602, 18-21). La Philosophiae consolatio, come altre opere di Boezio, è citatissima da un fr. Remigio dei Girolami; ne cita anche i fortunati commentati che ne accompagnavano il testo; una sola segnalazione, De modis rerum l, 9 (Bibl. Naz. di Firenze, Conv. soppr. C 4.940, ff. 24vb-25ra); l'«expositor super III De consolatione» è Guglielmo da Conches: cf. Ch. JOURDAIN, Des commentaires inédits de Guillaume de Conches et de Nicolas Triveth sur la Consolation de la philosophie de Boèce, in «Noticeset extraits des manuscrits de la Bibliothèque lmpériale» 21 (1862) 75.

[6] «tetigit Graias Amiclas - nomen civitatis in Grecia est, ubi applicuit Paris quando rapuit Helenam...; pinusque sacra, id est sacrata... Pinus enim, de qua fiebant naves Paridis quando transfretavit in Greciam»: NICOLA TREVET, Commento alle "Troades" di Seneca, a c. di M. Palma, Roma 1977, 10. Non è Nicola che torna di persona al suo amico Paolo; vi ritorna col suo affetto e fedeltà d'amicizia testimoniati nel dono dell'opera promessa: «per istum mei presens cyrographum memorialiter reueho ut, quandocumque leges supradicta, mei amicitiam contempleris. Isto namque modo, quamquam corporeis oculis sistam absens, mentalibus quidem tuo amicabili intuitu ubique exercitante amore prospiciar et uidebor, dignisque orationibus tuis per rectas spes precesque Altissimo intime recomendatus existam» (602, 30-36). La Cronica del convento fiorentino conferma felicemente l'indole amicale di fr. Paolo dei Pilastri: «amicis affabilis» (Cr SMN  n° 213).

[7] «Itaque iactatis a tergo omnibus aliis meis uicibus, incipiens a sancto die dominico Oliuarum usque ad Sacrum Pasca ac Floridum Pentecostes quasi per continuas dietas scribens, quibus insudans, noctis crepusculum vesperum et conticinium quoque addens, trecentarum consumaui scripturam cartarum» (602, 21-25).

[8] «Ex quibus [sciI. cartis], uix interpolato labore, uolumina - ut predixi ­ elicui quippe duo: unum uidelicet [ei] qui michi comodauit exemplar, aliud autem tue prorsus morigerate nec non gratuite iuuentuti» (602, 25-28).

[9] Firenze 7.II.1300 (v. sotto lista dei priori alla data); tra i frati capitolari di SMN del 20.XI.1304 «fr. Paulus Pilastri » (ASF, SMN 11.XI.1304, giunta del 20.XI.1304) e del 23.XI.1304 «fr. Pauli Pilastri» (ASF, NA 3141 (già B 2127), ff. 3v-4r).
Per altri periodi segnalo soltanto notizie non raccolte in Necr. I, 268-70. Il 30.IV.1282 è teste, «fr. Paulo de Pilastris», nell’atto capitolare del monastero domenicano San Iacopo a Ripoli che s’impegna a rilasciare dichiarazione di quietanza a Soldo di Pilastro e suo figlio Geri, tutori di Vanna del fu Gherardo di Pilastro futura monaca del monastero, quando questa avrà compiuto dodici anni di età (ASF, CRS, S. Iacopo a Ripoli 1 n° 40: regestato erroneamente 30.IV.1286). Priore del convento di Gubbio nel 1289 (AFP 1963, 247). ASF, Dipl. Cestello 18.II.1286; 3.IV.1291 (e in questo fondo diplomatico molte altre notizie sui Pilastri, patroni della chiesa S. Miniato tra le Torri). In Avignone 30.VI.1309, presente, col card. Niccolò da Prato, al testamento del card. Giovanni Boccamazza (Paravicini, I testamenti 353-82), e in Viterbo 28.XI.1312 (AFP 1963, 256). Famiglia ghibellina del sesto S. Pancrazio, i Pilastri ebbero molti membri confinati nel 1268 dai guelfi vincitori (ASF, Capitani di parte guelfa, numeri rossi 20, Libro del chiodo pp. 129, 130).


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