12. Albero delle proporzioni nel Codice Madrid II
di Leonardo (c. 78r) e nella Summa di Pacioli

 

Albero delle proporzioni nel codice Madrid II di Leonardo (c. 78r) e nella Summa del Pacioli
Albero delle proporzioni nel codice Madrid II di Leonardo (c. 78r) Albero delle proporzioni nella Summa del Pacioli

I tre riferimenti appena citati sono soltanto alcune delle tracce lasciate dall’insegnamento del frate della formazione di Leonardo. Altri indizi, costituiti dai numerosi disegni con i quali Leonardo trascrive nel suo linguaggio molte delle proposizioni dei primi sei libri degli Elementi, testimoniano secondo Marinoni le “lezioni” tenute da Pacioli su Euclide a beneficio dell’artista.              

A queste lezioni è connessa probabilmente la traduzione in volgare di Euclide, alla quale frate Luca accenna nel De viribus quantitatis, quando afferma di aver “posta già la extrema mano con la egregia, per noi similmente, traductione de latino in vulgare de verbo ad verbum del maximo Monarcha dele Mathematici discipline megarense Euclide”.

La traduzione volgare dell’opera del “monarcha dele mathematici discipline” era stata incentivata molto verosimilmente dalla collaborazione con il “principe oggi fra i mortali” della pittura, Leonardo da Vinci. Il pittore, che ai ff.104v-138v del Madrid II ricopiò in elegante scrittura la traduzione volgare delle prime pagine degli Elementi, possedeva, peraltro, come si evince da un elenco di opere citate nel codice di Madrid 8936, i primi tre libri e non è escluso che l’Euclide volgare di Leonardo fosse opera del suo maestro di matematica, che lo aveva introdotto allo studio degli Elementi.

Tra le proposizioni euclidee trascritte da Leonardo nel linguaggio grafico ne compaiono alcune riguardanti il libro 10° degli Elementi, sintetizzato da Pacioli nell’ottava distinzione della Summa, e rintracciabile in alcuni disegni contenuti nel ms. M. Le lezioni pubbliche di frate Luca a Milano, come si evince dalla Divina proportione, riguardavano l’opera di Euclide della quale fino al 1498 erano stati affrontati i primi dieci libri. La trattazione degli irrazionali contenuta nel decimo libro degli Elementi, costituiva senza dubbio un argomento ostico per la maggior parte degli studenti che accorrevano alle lezioni milanesi del frate. Ciò nonostante diverse proposizioni di questo libro compaiono sotto forma grafica nei taccuini di Leonardo e in particolare nel codice M dell’Institut de France.

 

Può sorprendere - rileva Marinoni - la presenza di quest’ultimo libro contemporanea a quella del primo, sapendo che il decimo è dei libri degli Elementi il meno letto e il più difficile. Esso può avere, come applicazione pratica, un’utilità per la costruzione dei poliedri. Non dimentichiamo allora le circostanze che coincidono coll’inizio di questo fervore vinciano per Euclide. Pacioli è arrivato a Milano, ha stretto amicizia con Leonardo, lo ha incaricato di disegnare i poliedri per il suo “De divina proportione”. Leonardo deve pur leggere il trattato, assimilare la teoria delle proporzioni (cfr. il ms. Forster II) e non può sviluppare costruzioni geometriche tanto complesse, come quelle del dodecaedro o dell’icosaedro planus, vacuus, abscissus, elevatus, senza approfondire le sue scarse nozioni di geometria.

Manoscritto M dell’Institut de France (Parigi), f. 80v

Leonardo trascrive a modo suo la terzina (“terçetto fatto per li corpi regolari e loro dirivati”) che chiude il Compendium de divina proportione di Pacioli:

Institut de France (Parigi), ms M, f. 80v

El dolce frutto vago e·ssì diletto

costrinse già i filosafi cercare

causa di noi per pasciere lo intellecto.

Segue uno schizzo dei 5 poliedri regolari con l’indicazione del nomi

 

L’icosaedro e il dodecaedro, infatti, presuppongono la conoscenza dei “binomi e residui” e pertanto Leonardo necessitava di un’infarinatura della classificazione delle grandezze irrazionali contenuta nel 10° libro degli Elementi. Dal testo della Divina proportione poteva trarre soltanto le informazioni contenute negli ultimi libri, compresi i due spuri, dell’opera di Euclide; per i primi 10 erano necessarie le “lezioni” di “maestro Luca”. “L’ineffabile senistra mano” di Leonardo “a tutte le discipline mathematici acomodatissima” traduceva il linguaggio degli Elementi in disegni e portava così a compimento nel migliore dei modi il progetto pacioliano di visualizzazione concreta dei corpi astratti della geometria.

Nello studio del rapporto tra arte e scienza nel Rinascimento le illustrazioni dell’opera di frate Luca costituiscono senza dubbio il punto di partenza di una stretta collaborazione fra scienziati e pittori che si manifesterà nel corso del Cinquecento nella realizzazione di numerose opere a stampa, a cominciare dal De humani corporis fabrica (1543) del Vesalio, corredate da tavole di pregevole fattura artistica. Esse tuttavia pongono più di un problema sul reale uso di procedimenti matematici esatti nel disegno delle tavole.

Gli studi di Marinoni provano che l’interesse di Leonardo per la matematica non si limitò all’illustrazione dell’opera di Pacioli ma continuò anche in modo autonomo, spingendosi oltre l’insegnamento del maestro nello studio delle lunule e della quadratura del cerchio. Come nel 1501 riferiva Pietro da Novellara ad una Isabella d’Este ansiosa di avere i servizi del pittore, Leonardo dava “opra forte ad la geometria” tanto da risultare “impiacentissimo al pennello”.

L’acculturazione matematica dell’ omo sanza lettere dopo l’incontro con frate Luca è quindi innegabile; ma si può affermare che le tavole siano la trascrizione in prospettiva di elementi geometrici che il pittore andava gradualmente assimilando con l’aiuto di Pacioli? Oppure le tavole della Divina proportione sono il risultato dell’arte più che della scienza? In altri termini, occorrerebbe appurare se i disegni di Leonardo siano maturati in seguito allo studio della geometria euclidea trasposta in una prospettiva matematicamente corretta o se invece siano semplicemente il prodotto di una prospettiva empirica, realizzata con strumenti come il “velo” albertiano, probabilmente sulla base di modelli tridimensionali in legno costruiti prima da Pacioli.

L’idea di costruire esemplari solidi dei poliedri ad uso didattico compare già in Campano. Il commentatore di Euclide, infatti, riflettendo sull’opportunità o meno di disegnare a margine del testo figure tridimensionali dei solidi, rilevava:

 

Non est autem huius rei ideoneum figuram in plano depingere; ideoque restat ut quod dicitur mente concipias ipsumque si placet actu et opere compleas (Euclides, Opus elementorum Euclidis…in id quoque Campani perspicacissimi Commentationes finiunt…, Erhardus Ratdolt Augustensis impressit, Venetiis 1482, XV.4.).

 

Il disegno di geometria, infatti, per Campano ha lo scopo di illustrare la dimostrazione e pertanto nel caso dei solidi non è necessario disegnare tutte le linee che compongono la figura “ne multitudo linearum confunderet intellectum”. Le tre dimensioni di un solido possono essere immaginate dalla mente o, al limite costruite materialmente, ma al fine della dimostrazione geometrica esse non sono indispensabili. Il riscontro visivo di oggetti tridimensionali concreti, resta, tuttavia, un utile ausilio didattico. Proprio per fini didattici, infatti, Pacioli si ingegna di realizzare modelli lignei dei poliedri.

Oltre alle numerose citazioni che attestano l’effettiva fabbricazione dei corpi regolari e “dependenti”, nella Divna proportione frate Luca indica anche il procedimento costruttivo impiegato. Parlando di come “in la sphera se collochino tutti li 5 corpi regulari”, Pacioli la considera come se “fosse una pietra de bombarda” sulla quale segnare i punti per ricavare i poliedri regolari. La procedura di fabbricazione è descritta nel capitolo LVII del Compendium de divina proportione. Si parte da una sfera di pietra o di legno e si eseguono le operazioni di sfaccettatura della sua superficie in questo modo:

 

Prima del tetracedron; se sopra la sua superficie, cioè la sua spoglia over veste, se segnino over imaginano 4 ponti equidistanti per ogni verso l’uno dal’altro, e quelli per 6 linee recte se congionghino, le quali de necessità passaranno dentro dala sphera, sirà formato aponto el corpo predetto in essa. E chi tirasse el taglio per imaginatione con una superficie piana per ogni verso secondo dicte linee recte protracte, remarebe nudo aponto dicto tetracedron. Commo aciò per questo gli altri meglio se aprendino, se la dicta sphera fosse una pietra de bombarda e sopra lei fossero dicti 4 ponti con equidistantia segnati, se uno lapicida over scarpelino, con suoi ferri la stempiasse, over sfaciasse, lasciando li ditti 4 ponti aponto de tutta dicta petra harebe facto el tetracedron.

 

Il procedimento che serve allo “scarpelino” per modellare gli altri 4 poliedri regolari viene dettagliatamente descritto da Pacioli sulla falsariga di quello usato per il tetraedro. È il procedimento probabilmente adoperato dallo stesso Luca dal Borgo e si basa essenzialmente sulla determinazione dei punti dai quali effettuare i tagli.

 

Numerosi indizi contenuti nel Compendium dimostrano che l’opera dedicata al Moro era corredata, oltre che dalle tavole illustrative, anche da esemplari lignei dei poliedri regolari e archimedei che Pacioli aveva costruito. La conferma di forme materiali “colorate e adornate” si ha in un passo del Tractato di architectura  contenuto nell’edizione veneziana del 1509.

 

E le forme de ditti corpi materiali, bellissime, con tutta ligiadria, quivi in Milano de mie proprie mani disposi, colorite e adorne e forono numero 60 fra regulari e lor dependenti. El simile altretanti ne disposi per lo mio patrone Galeazzo Sanseverino in quel luogo. E poi altretante in Firenze a la exempla del nostro signore Confalonieri perpetuo Petro Soderino, quali al presente in suo palazo se ritrovano.

 

È presumibile quindi che i disegni di Leonardo riproducessero oggetti reali che il pittore aveva di fronte. A questo punto è lecito ipotizzare che il pittore, più che una rigorosa costruzione dei corpi in pianta, alzato e sezione,  abbia usato uno strumento prospettico empirico, come il piano trasparente descritto in una nota del ms. B. dell’Institut de France e disegnato nel Codice Atlantico. La nota del ms. B.N. 2038, 24r (The Literary Works of Leonardo da Vinci, a cura di H.P. Richter, 2 voll. New York e Londra 1970, par.523), è intitolata Del modo del ritrarre un sito corretto. Leonardo consiglia di porre un vetro tra l’occhio e l’oggetto, in modo che “ti poni lontano col ochio al detto vetro 2/3 di braccio e ferma la testa con uno strumento in modo non possi muovere punto la testa; di poi serra o ti copri un ochio”. Si traccia, quindi, l’oggetto sul vetro con un pennello e infine si riporta il disegno su carta, “e – conclude Leonardo – dipingila se ti piace, usando bene poi la prospettiva aerea”. Per corpi complessi come una sfera armillare o un poliedro regolare questo metodo era sicuramente più veloce di quello  “scientifico”.

 

Nello studio della prospettiva di un corpo complesso - rileva Martin Kemp – ,come una sfera armillare o uno dei solidi semi-regolari di Archimede, e nel tentativo di disegnarli con precisione, l’uso di un vetro prospettico avrebbe indubbiamente risparmiato una buona dose del  lavoro richiesto dalla geometria proiettiva. Un tale grado di precisione era necessario quando Leonardo si trovò ad illustrare il De divina proportione di Luca Pacioli. Un attento studio tecnico delle illustrazioni del più raffinato dei due manoscritti e dei relativi disegni, suggerisce che Leonardo non fece ricorso al completo armamentario delle proiezioni geometriche, ma che usò una tecnica con la quale stabiliva i punti chiave di ogni forma complessa da trasferire direttamente sulla pagina del manoscritto (M. Kemp, La scienza dell’arte, tr. it., Firenze, Giunti 1995, p. 191).

 

Se si analizzano le tavole della Divina proportione, contenute nel codice dell’Ambrosiana, ci si rende conto in primo luogo che non tutte le tavole sono in prospettiva. Il tetraedro “abscisus” e il cubo, ad esempio, sembrano seguire le indicazioni geometriche del testo di Pacioli e appaiono del tutto analoghi a quelli disegnati dallo stesso frate. Gli effetti tridimensionali sono ottenuti da Leonardo soprattutto con il colore e il chiaroscuro. La prospettiva usata negli altri casi evidenzia inoltre un continuo cambiamento del punto di vista da una tavola all’altra. È presumibile quindi che il lavoro di Leonardo, finalizzato a rendere visibili le “forme materiali” dei poliedri, consistesse più in un accomodamento a occhio della migliore prospettiva adatta allo scopo illustrativo che ad una meticolosa costruzione di pianta, alzato e profilo, usata poi per la  corretta prospettiva dei solidi. Nota a questo proposito J.V. Field:

 

Leonardo’s drawings have every appearance of being made after acutal physical models: first because there are changes in the drawings, resulting from changes in the viewpoint, visibile in some of the manuscript versions. Such changes could not have been made straith into the finished drawing, as they seem to have been, if a perspective construction was used, for a new viewpoint would have necessitated a complete new construction (no slight undertaking) . A second reason for supposing Leonardo worked from actual physical models, probably using some kind of sighting device, is provided by the actual viewpoints selected in the “final” versions, the ones that were printed (J.V.Field, Rediscovering the Archimedean Polyedra, “Arch. Exact. Sci.” 50 (3-4), 1997, p. 262).

 

Quale che sia il procedimento usato da Leonardo per disegnarle occorre tuttavia ricordare che lo scopo delle tavole della Divina proportione non è quello di fornire figure adatte ad illustrare dimostrazioni geometriche ma quello di rendere visibili forme materiali di oggetti matematici astratti. A questo proposito risulta emblematica la stessa suddivisione dello stile grafico dell’opera di frate Luca in due parti nettamente distinte. Nella prima, dove i disegni servono a condurre in porto le dimostrazioni di Euclide, le figure seguono lo stile arabo-latino presente anche nell’edizione di Radtolt del 1482; nella seconda, dove inizia il rimando alle tavole con i numeri romani ai margini dei fogli, non compare alcuna dimostrazione matematica ma la semplice descrizione dei poliedri. In quest’ultimo caso il testo è al servizio della figura e non viceversa.

Le tavole che corredano la Divina proportione, pertanto, sono il frutto della pratica prospettica a servizio della scienza matematica, che Leonardo è tenuto a studiare per poter conoscere come si costruiscono geometricamente quei solidi che deve disegnare per conto di Pacioli. Il risultato complessivo è un ibrido tra matematica e arte, frutto dell’incontro tra la cultura dei dotti e quella dei tecnici.

Frate Luca, che intuì subito il ruolo rivoluzionario della stampa per gli sviluppi delle scienze, affidò all’incisore che lavorava per Paganino de’ Paganini la realizzazione delle tavole per l’edizione della Divina proportione del 1509. È proprio sulla base di quel testo, e non certo tramite le copie manoscritte del compendio del 1498, che il genere dei poliedri conobbe una diffusione rilevante nel XVI secolo. Rispetto alle tavole del manoscritto ambrosiano, nell’edizione a stampa, molte caratteristiche di concretezza dei solidi vengono perse. Scompaiono i colori e pertanto la resa tridimensionale dei poliedri è affidata soltanto al chiaro-scuro, realizzato peraltro con tratteggi piuttosto grossolani. Mancano inoltre i lacci con i quali, nel manoscritto, sembra che i solidi regolari, come oggetti materiali, siano appesi. Le tavole dell’edizione del 1509, ciò nonostante, sono ricalcate su quelle leonardesche, come dimostra peraltro l’immagine del cubo, che nel libro a stampa risulta speculare rispetto a quella del manoscritto. Il testo a stampa, sebbene entro i limiti grafici consentiti dalle incisioni, presentava ad artisti e matematici la novità di disegni che traducevano in immagini le verità geometriche dimostrate nel testo.

 Le tavole, tuttavia, non assolvono alla funzione tipica del disegno di geometria: cioè quella di costruire le figure necessarie per svolgere i passaggi deduttivi di una dimostrazione. Quelle disegnate da Leonardo costituiscono soltanto il corredo grafico delle descrizioni dei solidi contenute nella seconda parte del Compendium de divina proportione. Di questi oggetti l’opera di Pacioli non fornisce una dimostrazione matematica ma semplicemente una illustrazione, destinata ad un pubblico di artisti più che di matematici veri e propri. Per questi ultimi le tavole leonardesche rappresentano al massimo un ausilio didattico che consente di visualizzare tridimensionalmente i corpi solidi descritti e dimostrati nella prima parte della Divina proportione. Il rapporto tra testo e figura si configura pertanto in modo specularmente rovesciato nelle due sezioni dell’opera. Nella prima parte il disegno di geometria è funzionale all’intelligibilità del testo, e quindi risulta subordinato alle dimostrazioni scritte; nella seconda il testo serve invece soltanto ad illustrare il disegno, e sarebbe completamente inutile senza le tavole.

 

In questo nuovo prodotto editoriale che rappresenta un ibrido tra la cultura dei dotti e quella dei tecnici confluiscono le idee portanti del pensiero di Pacioli: la concezione matematica del mondo e della scienza e la relazione tra arti e matematica, alla luce della teoria delle proporzioni. Nell’incontro con Leonardo entrambe queste idee vennero coltivate con profitto e costituirono il presupposto fondamentale per la nascita della scienza moderna.

precedente successiva