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1965

<Roma> 20/II/1965

|55...| Se il motivo dell'Incarnazione è la Redenzione (III, 1, 3), e il Sacerdozio è essenzialmente offerta di vittima a Dio per la remissione dei peccati (III, q. 22) ne segue che X. si definisce essenzialmente come Redentore e come Sacerdote.

(A questo non può arrivare la posizione di Scoto quanto al motivo dell'Incarnazione).

<Roma> 21/II/'65

|56| X. è Sacerdote perché realizza la salvezza attraverso l'Incarnazione ordinata alla liberazione dal peccato degli uomini.

<Roma> 22/II/'65

Il senso della "deificazione cristiana", come si usa nel linguaggio mistico, perché non suoni confusione e allusione panteistica, va interpretata come "non per conversionem, sed per unionem ad Verbum" (III, 2, 2, 3m).

<Roma> 27/II/65

La Redenzione per la passione di X. è un'altra espressione della natura di Dio che opera non per oscuro volontarismo ma secondo l'esigenza |57| del bene appreso dalla sua intelligenza. Invece di redimere l'uomo per un atto di volontà, l'ha fatto in modo di soddisfare la giustizia e di mostrare l'amore con la missione nel mondo del suo Figlio.

Dio volle liberare gli uomini "non sola potestate, sed etiam justitia" (III, 46, 7, 6m; ib. 3, 3m).

<Roma> 6-III-'65

Per la libertà religiosa penso si potrebbe sfruttare il principio dell'intangibilità del diritto naturale che S. Tomm. difende con estrema forza e chiarezza nella questione del battesimo dei figli degli Ebrei. Anche il motivo di liberare dall'inferno, non può spingere a ledere il diritto del padre quanto al suo figlio minorenne: II-II, 10, 12.

<Roma> 10 - Aprile - '65

|58| Da un conversazione col P. Simoni.

La fede è lo stato dell'uomo in cui l'assenso non s'identifica con l'evidenza. Nella conoscenza naturale l'evidenza produce l'assenso; nella fede l'assenso si giustifica in se stesso (in forza del dono divino della fede) e ad esso segue l'evidenza (parziale) e quindi la "cogitatio". La vita di fede è tendere alla ricomposizione dei due termini (stato dei beati); la non coincidenza dei due termini fonda, qui in terra, la possibilità di una teologia.

Alberto (Bruno) Simoni,
domenicano,
n. Patrica (FR) 1937,
professione religiosa Pistoia 1955,
ordinazione sacerdotale 1963.

<Roma> 26 - maggio - '65

|59| Conversazione col P. Simoni.

Tutti i tipi di filosofia occidentali considerano il primo rapporto dell'uomo con le cose come rapporto di conoscenza e di qui costruiscono un sistema basato sulle "cose" conosciute.

Perché non pensare a un primo, iniziale, integrale modo di porsi di fronte alle cose più comprensivo e più includente che non sia specificamente conoscitivo (la cosa non è solo obiectum conoscibile e né è completamente conoscibile) ma rapporto di conoscenza del soggetto nella sua interezza (compresa quindi anche la conoscenza) con l'obiectum ("rapporto di verità").

Il mondo greco si pone di fronte alle cose come conoscibili; l'orientale come oggetto per sperimentare la loro "verità di vita" nella sua integralità.

Ricordanza. Roma 15.VI.1965, esame di lettorato scritto e orale. Lettorato: titolo accademico interno all'ordine domenicano, poco dopo abolito in seguito all'adeguamento curriculum delle università pontificie.

Dissertazione di lettorato: E. PANELLA, La legge della libertà. La libertà cristiana nei commentari di S. Tommaso a S. Paolo. Dissert. ad Lector., Pont. Univ. S.ti Thomae, Roma 1965. Dattiloscritto. Moderatore fu Jérôme Hamer OP [† dic. 1996], allora residente in Santa Sabina.

<Roma> 18 ott. '65

|60| Il P. Andreotti mi comunica che debbo restare in Italia ancora per due anni. Studio dell'Islamologia e della lingua Araba.

Mai come in questi giorni ho provato il valore della obbedienza come capacità risolutiva delle contraddizioni, delle incertezze, della aleatorietà degli uomini che ci governano e degli eventi che determinano inconsapevolmente le decisioni dei superiori.

Paolo Andreotti OP (1921-1995), in Pakistan 1948-1995; provinciale romano 1969-72, vescovo giug. 1972 torna in Pakistan.

IPEA = Institut Pontifical d'Etudes Arabes, aperto nel 1964 in Roma (allora in V.le 30 Aprile) dai Padri Bianchi, provenienti dal Maghreb. Tutto in francese. Scienze islamiche centrate pressoché esclusivamente sull'islām arabo. Feci due anni scolastici, '65-66, '66-67. Rilasciava certificato di diploma. Più tardi equiparato agli Istituti Pontifici otterrà la facoltà di concedere titoli accademici fino al dottorato.

<Roma> 20 / ott. / '65

|61| Da un conversazione col P. Simoni.

La fede entra nella Teol(ogia) non come elemento accessorio, quasi indesiderato, ma come principio che rende ragione stessa dell'esistenza di un discorso teologico.

La fede antecede anzi l'oggetto teologico, lo costituisce e lo pone; è la fede che rende "teologi", capaci cioè di scoprire e di assumere le cose create come termini di conoscenza analogica delle verità rivelate; la fede antecede e scopre nelle cose create la loro capacità di generare una conoscenza teologica in analogia col dato rivelato.

La teologia cosidetta "oggettiva" si porta con eccessiva preoccupazione all'oggetto dell'indagine teologica |62| traendo da esso i criteri d'indagine stessa e di verifica.

Una teologia più radicale risale all'origine "quo" del pensare teologico e desume la sua specificazione teologica e i suoi criteri di verifica dall'atto stesso della fede che si portte ad oggetto di fede.

Una possibile diversificazione e classificazione di teologie andrebbe ricercata non dall'oggetto ma dalla modalità dell'atto di fede, come esercizio teologico, origine prima d'ogni diversificazione, primo modo di mettersi a contatto con le cose, modalità dell'atto di fede che in qualche modo sceglie il soggetto, lo modifica, lo coglie nell'aspetto soggettivo  -  questo perché non lo coglie integralmente.

|63| Quindi studio dell'attività del soggetto nella funzione della "verità" del rapporto soggetto-oggetto.

La teologia prima ancora che la conoscenza di un oggetto rivelato, è la partecipazione del modo di conoscere di Dio in noi, in forza della partecipazione della fede: funzione conoscente, principio quo che precede, giustifica, qualifica, e - in qualche modo - costruisce il suo "formale quod".

La teologia è la conoscenza di Dio partecipata all'uomo; principi e criteri di conoscenza - tipo di rapporto di verità - per cui l'uomo può tutto conoscere e giudicare "sub specie divinitatis"; tutto diventa così teologico, cioè realtà di fede: questo |64| perché nella teologia la considerazione del principio quo di conoscenza antecede e si pone prima di ogni contenuto di conoscenza di fede.

La teologia "oggettivistica" deve fare lo sforzo di dimenticare - per un momento - il suo contenuto in quanto oggetto e risalire al principio di conoscenza teologica che rende il contenuto oggetto di fede.

[aggiunto a biron rossa:] Un'attitudine di fede che antecede l'oggetto di fede e che lo fa riconoscere e assumere come oggetto di fede.

<Roma> 29 / X / '65

Stadi di una attività apostolico-missionaria:

1) Pre-evangelizzazione:

studio del popolo, religione, sociologia, condizioni economic<h>e, tradizioni culturali in confronto ad una possibile apertura - o esigenza - al x.mo.

2) Kerygma:

presentazione al non-cristiano del fatto X.o e x.mo col problema di una scelta di fondo.

3) Catechesi:

istruzione elementare del X.mo [= X.o?] a chi intende abbracciare il x.mo.

4) Omelia:

istruzione al x.no adulto che vive nel X.mo.

(cfr. ARNULF CAMPS, Une étude sur la pré-évangélisation, Concilium 8, 1965).

<Roma> 27-XII-'65

|66| La immanenza e la trascendenza non sono tra loro come presenza e non-presenza, ma sono due modi diversi di presenza; perché la trascendenza non dice lontananza (non tradurre in immagini-concetti spaziali e geometrici ciò che è realtà ontologica e sprirituale).

Il nostro modo di parlare (e di concepire) dell'incarnazione, la discesa di X., la "venuta" di Gesù, il "mandare" del P(adre) può essere completamente riformato e adattato non ad immagini fisiciste e spaziali(?), ma ad un linguaggio condotto su dimensioni spirituali.

Perché non sostituire il convetto di "profondità" a quello di "altezza" per parlare della trascendenza e della onnipotenza di Dio?

<Roma> 28-XII-'65

|67| "Redimere tempus" significa trasformare il "khrónos" in "kairòs", lo scorrere delle ore segnate dall'orologio, in attesa dell'"ora della grazia", del "tempo opportuno", dell "pienezza dei tempi", del tempo della salvezza.


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