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(I.64. L'incipit evangelico-apostolico, segnato dalla lex nova, non è riferimento archeologico isolato e concluso nella sua locazione temporale, ma è principio scrutatore ed ordinatore dei tempi opportuni, e quindi dell'economia divina. Di questa è nucleo interpretativo, ma è anche seme che preme e suscita sempre nuovi eventi verso l'adimpletio della salvezza nella storia. La storia della Chiesa è possibilità aperta a occasioni che esprimano eventi ed atti tipici - e quindi autoritativi - della consumazione della lex Christi o ricapitolazione in Lui. Il pondus perfectionis evangelicae inclina la storia dei credenti verso un centro gravitazionale. Questo fissa l'indice della selezione dei fatti di Chiesa, imprime a taluni di essi una direzione vincolante perché portatori d'ulteriori frutti evangelici. Essi sono assunti pertanto a paradigmi critici della storiografia ecclesiastica. Possono anzi, essi soli, legittimare un'argomentazione teologica che miri a trasferire un'ipotesi storica in tesi normativa di fede. Il fatto di vita di Chiesa nell'evangelismo monastico fa argomento di fede di contro al fatto della donazione costantiniana o dell'insediamento fondiario della Chiesa carolingia.

La resumptio della perfezione della Chiesa primitiva è il di­scrimine evangelico della storia.

E' stata sopra introdotta - discretamente invero - la nozione tecnica di traditio. Quasi per raccogliere in una formula di teologia moderna le molteplici occasioni argomentative ospitate da un'attività critica di fede vigile alle fasi costitutive e agli eventi discriminanti della storia passata della Chiesa. Vi è stato fatto riferimento in rapporto ad un modo specifico di comporre l'argomentazione teologica, che chiameremmo «storico-evangelico» o «di esemplarità apostolica». Un discorso teologico che affida la legittimità della propria argumentatio non agli articula fidei come potenziali premesse d'una dimostrazione sillogistica, ma all'imperatività dei dicta et acta, institutio et vita, doctrina et exemplum del Signore, degli apostoli, della Chiesa primitiva.

Si può legittimamente presumere che la disposizione storico­genetica dell'argomentazione ex vita et doctrina Christi et apostolorum presenti novità non omologabili, senza residuo alcuno, con l'epistemologia aristotelica di cui s.T. fa, altrove, la stoffa della sacra dottrina come «scienza» (M. D. CHENU, La Théologie comme science au XIII siècle, Paris 1957; J. DE GHELLINCK, Pagina et Sacra Pagina. Histoire d'un mot et transformation de l'objet primitivement désigné, Mélanges A. Pelzer, Lovanio 1947, 25-59). Verrebbe allora spontaneo stringere i capi argomentativi del ricorso all'esemplarità evangelico­apostolica in una nozione autonoma, l'argumentum ex traditione così come la teologia della Controriforma ce l'ha tramandato, unità teologica distinta sia dalla ratio theologica sia dalle unità complementari Scriptura ed Ecclesia.

A parte la discutibile utilità d'ipostatizzare categorie di fede quali Scrittura, Tradizione, Chiesa - la cui concorrenza e ricomposizione sono ancora il punctum dolens d'ogni ecclesiologia ecumenica - è che la ricostruzione testuale dell'epistemologia teologica di T. non permette di concludere né alla nozione moderna di Tradizione né a qualcosa che possa replicare, come capo specifico ed autonomo del discorso teologico, l'argumentum ex traditione. Cosa del resto ben nota ai cultori della storia dei dogmi («On a noté déjà que la notion de tradition ne figure pas chez saint Thomas»: Y. CONGAR, Saint'Eglise, Paris 1963, 296). Come è altresì patrimonio dei medievalisti il fatto che il medioevo religioso non ha teorizzato e fatto uso dell'argomento di tradizione nel senso moderno della teologia cattolica.

J. DE GHELLINCK, Patristique et argument de tradition au bas moyen âge, in Aus der Geisteswelt des Mittelalters, Festgabe M. Grabmann, Miinster 1935, I, 403-426. Y. CONGAR, La tradizione e le tradizioni, I, ed. Paoline 1961: Il Medioevo (in Occid.), pp. 165-92 (Il medioevo «non ha mai conosciuto l'argomento di tradizione nel senso moderno del termine): p. 170). G.H. TAVARD, Ecriture ou Eglise?, Paris 1963, 27-40.

In s.T. traditi o (o traditiones) sta per usanza, consuetudine di natura cultuale o liturgica tramandata dall'antichità (Summa tbeol. III, 25,3 ad 4; 83,4, ad 2; In III Sent. d. 9, q. 1, a. 2, sol. 2, ad 3); per lo più nel senso del contenuto trasmesso, quasi traditum, o del semplice fatto della trasmissione (De divo nomino c. 1, lect. 2; ed. Manetti 1950, nn. 44.45). Tipico in tal senso lo stilema agglutinante «ex traditione sacrae Scripturae» («Sed contrarium habetur ex traditione sacrae Scripturae»: II-II, 140,2, sed c.) dove la stessa sintassi nega la possibilità a traditio d'ergersi in distinta fonte conoscitiva rispetto alla Scrittura. D'altronde la nozione onnicomprensiva di Scriptura che accoglieva nel suo interno, oltre ai necessaria ad salutem (In IV Sent. d. 23, q. 1, a. 1, sol. 3, ad 1; Quodl. 7, a. 14; I-II, 108,2; 106,4, ad 2), atti esegetici della Chiesa quali legittime occasioni del dispiegarsi della parola di Dio nella storia (v. in Preliminare §4 il rapporto unificante e conglobante tra Scrittura, sensi della Scrittura, organizzazione del sapere di fede nella unitas ecclesiastica del medioevo) rendeva irrilevanti nozioni epistemologicamente alternative o complementari (Scrittura, Tradizione, Chiesa, Magistero...) quando queste erano còlte in unità consustanziale e costitutiva del farsi totale della storia della salvezza.

Y. CONGAR, Traditio und Sacra doctrina bei Thomas von Aquin, in Kirche und Ueberlieferung, Festgabe Geiselmann, Freiburg 1960, 170-210. P. DE VOOGHT, Le rapport Ecriture-Tradition d'après saint Thomas d'A. et les théologiens du XIII siècle, Istina 1961-62, 499-510. A. LANDGRAF, Les preuves scripturaire et patristiques dans l'argumentation théologique, RSPT 20 (1931) 287-92.

Persino disposizioni salvifiche del tempo della Chiesa sono espresse coestensivamente alla Scrittura, all'opera dello Spirito, al crescere della comunità dei credenti nella storia. Si legga, per curiosità, I-II, 108,2 sostituendo mentalmente Scrittura (o Tradizione) là dove il testo tomistico ha lex nova. L'alterazione delle distanze semantiche risulterà in sgradevoli dissonanze tra gli armonici a cui è assuefatta la metodologia teologica moderna. Ma a parte l'imperdonabile violenza letteraria, chi non si abbandonerebbe allo stupore di rimirare lex nova illudere ostinatamente l'attesa del teologo post-medievale per Scriptura?

Non per questo è meno ricco il pensiero di Tommaso circa luoghi e tempi dove si disegna, in riprese multiformi e concorrenti, la planimetria del sapere cristiano secondo biffe dislocate nel passato normativa della fede. Così le nozioni, e l'uso che se ne fa nei testi tomistici, di:

1 - doctrina et exemplum apostolorum, o regula apostolorum, norma apostolica... (referenze infra);

2 - dicta sanctorum, sancti doctores, expositores sacrae Scripturae... (Quodl. 12, a. 26; De div. nom. c. 2, lect. 1; ed. Marietti n. 125; 1,1,8, ad 2);

3 - consuetudo Ecclesiae (Quodl. 2, a. 7; 9, a. 16; II-II, 10,12; In I Coro 11, lect. 3 c.£.; III, Tratt. De Sacramentis passim);

4 - doctrina, auctoritas Ecclesiae, in cui convergono elementi subalterni quali concilia, synodi, summus pontifex... (I-II, 5,3; II-II, 10,12; 11,2, ad 3; 1,10; I, 36,2, ad 2; 39,2; In lV Sent., d. 17, q. 3, a. 1, sol. 5);

5 - decretales, canones, ecclesiasticae constitutiones (In Matth. 16,6: EP 10,145 B; II-II, 95,8, sed c.; 185,8; III, 80,6; 89,3; Suppl. 39,2, ob. 1).

Queste ricorrono con coerenza in occasione di specifici discorsi di fede. La gerarchia epistemologica è stabilita sulla valenza base del discorso di fede, l'auctoritas, variamente partecipata da ciascuno dei suddetti luoghi d'argomentazione storico-evangelica. E' questo il momento più intimo d'una fede che si costituisce in storiografia critica di se stessa: si fa consapevole del pluriforme e distribuito valore probativo dell'uno e dell'altro luogo teologico in rapporto all'assenso di fede, così come della differenziata spinta persuasiva di modelli storici a rinnovate fedeltà di vita cristiana. Il peso della auctoritas pone ordine interno e stabilisce subordinazione tra i molteplici momenti assertivi che la fede scopre nella sua memoria storica.

Ci si permetta d'avvicinare il punto in questione con una domanda presa in prestito da una ricostruzione della metodologia teologica di s.T. improntata a due blocchi autonomi e compiuti in sé, Scrittura e Tradizione. L'argomento tratto dalla regula apostolorum - che può essere ora doctrina ora exemplum ora entrambi - sarebbe da catalogare sotto la categoria di Scrittura o sotto quella di Tradizione? La chiarezza formale della domanda urta contro la distribuzione pluriforme delle fonti argomentative non riducibili alle due super-nozioni. Non è saggio neppur tentare una risposta, almeno che non si voglia far violenza ai testi tomistici con l'intento di salvare per diritto e per verso la nettezza disgiuntiva delle due nozioni dell'apologetica moderna. E' che la domanda stessa è allogena all'epistemologia tomistica.

La funzione ecclesiologica degli apostoli è talvolta equiparata o, diciamo, letterariamente composta nel binomio «Cristo - apostoli» come momento costitutivo e originale della fede cristiana. Così in I, 1, 8, ad 2. Altrove con l'abbinamento «doctrina Christi et apostolorum» risulta anche l'equiparazione letteraria «apostolica doctrina et ceterae Scripturae» (II-II, 1,10, ad 1), e l'altrettale, comunissima, di «apostoli et prophetae» (I, 1,8, ad 2; II-II, 1,7; 2,8; De div. nomin. c. 1, lect. 1; Marietti nn. 6,8; De Verit. q. 14, a. 10, ad 11; q. 12, a. 14, ad 5). Il momento «apostolico» è addirittura il momento «costitutivo» della fede cristiana: non solo perché la storia della rivelazione punta, come alla sua pienezza, alla «revelatio facta Apostolis de fide unitatis et trinitatis», ma anche perché su tale rivelazione «fundatur tota fides Ecclesiae» (II-II, 174, 6; cfr. I-II, 106,4, ad 2). La collocazione forte degli apostoli sul versante della Scrittura è contenuta nell'idea che essi sono i «duodecim fundamenta» della Chiesa (In I Cor. 12, lect. 3), «bases Ecclesiae» (In IV Sent. d. 7, q. 1, a. 1, sol. 1, ad 1). A loro spetta il «primus gradus» nella gerarchia ministeriale della Chiesa (ibid.). Questo perché gli apostoli sono stati favoriti di più abbondante effusione dello Spirito (In Rom. 8, lect. 5; I-II, 106,4) e di eccelsa conoscenza dei «mysteria fidei» (II-II, 1,7, ad 4). Essi anzi intrattennero una familiarità unica («familiari instinctu, propinquiores ») con lo Spirito e con Cristo (III , 25,3, ad 4; II-II, 1,7, ad 4). C'è in conclusione una traditio Apostolorum (III, 83,4, ad 2) che, rispetto alla Chiesa, si pone e come causa generatrice e come energia interna che la sostiene incessantemente nel tempo (regula, norma Apostolorum). Gli apostoli infatti continuano ad essere norma interna e permanentemente causativa dell'essere storico della Chiesa sia attraverso il messaggio scritto sia con quanto trasmesso oralmente (III, 25,3, ad 4; 83,4, ad 2; 64,2, ad 1; Suppl. 29,3, ad 1; De div. nomin. c. 1, lect. 2). Alcuni sacramenti «istituiti» da Cristo furono «promulgati» dagli apostoli (Suppl. 29,3) in un atto costitutivo della fede e della Chiesa cristiana. L'opera degli apostoli è, per così dire, costitutiva per partecipazione a quella del Cristo. A questa è, in ogni modo, subordinata. Loro stessi infatti sono «istituiti» (I-II, 108,2; Contra doctr. 16,46). Sotto tale aspetto gli apostoli altrove fanno binomio con i «successori» nel versante post-apostolico della storia della Chiesa (nella categoria della «Tradizione»? - secondo lo schema di cui sopra). «Apostoli et eorum successores» (III, 64,2, ad 3; Suppl. 29,3). Essi non hanno il potere di mutare o disfare la fase originale della Chiesa del Cristo e non hanno neppure il potere d'istitutire nuovi sacramenti; sono infatti «vicarii Dei quantum ad regimen Ecclesiae» (III, 64,2, ad 3; Suppl. 29,.3, sed c. 2; In IV Sent. d. 7, q. 1, a. 1, sol. 1, ad 1). L'opera dei «ministri Ecclesiae» è ontologicamente posteriore alla fondazione della Chiesa così come 1'«opus naturae» è ontologicamente posteriore all'«opus creationis» (In IV Sent. d. 17, q. 3, a. 1, sol. 5).

 

P. G. Geenen ha trattato con perspicacia il ricorso, negli scritti tomistici, delle nozioni di cui sopra (L'usage des «aucloritates » dans la doctrine du baptême chez s. Thomas d'A., Ephem. Theol. Lavan. 15 (1938) 279-329; Saint Thomas et les Pères, DTC 15 (1946) 738-61; The Place of Tradition in the Theology of St. Thomas, The Thomist 15 (1952) 110-135). Ma in un tentativo di sintesi egli cede - a nostro avviso - ad un'infelice proiezione retrospettica della nozione moderna di Tradizione. Sotto la pressione dall'autonomia semantica di «Tradizione» come nell'uso odierno, le nozioni epistemologicamente dissimili che vanno dalla regula apostolorum alla consuetudo Ecclesiae ai dicta Sanctorum sono, per così dire, decapitate a pari altezza e strette in fastello unico quasiché significassero un indiviso noema tomistico equivalente alla «Tradizione» della teologia post-tridentina. Ne segue ovviamente una perequazione dell'auctoritas dei loci. Questi, in ultima analisi, diventano alterne e indifferenti variazioni di luogo teologico gnoseo­logicamente uno, la Tradizione.

«Le statut de la théologie est donc un statut déducitif. Cette auctoritas est contenue dans les textes des Écritures canoniques et des Pères. Cependant ces deux catégories n'on pas la méme valeur... Ils (les textes patristiques) sont à la fois les interprètes de l'Écriture et les organes qui continuent la Tradition. Cette dernière se distingue des Écriture, saint Thomas l'appelle la doctrina apostolorum (II-II, 1, 10, ad 1). L'enseignement de la Tradition se retrouve dans l'enseignement de l'Église: conciles, liturgie, papes considerés en leur qualité de chefs. ... L'activité des Pères consiste donc à interpreter les Écritures et à conserver la Tradition, la quelle se confond pratiquement avec l'enseignement de l'Église dirigée par le Saint­Esprit» (GEENEN in DTC 15,756).

Il trascorrere argomentativo tra gl'interstizi dei dissimili elementi in questione è come soffocato da un repentino coagulo interno. Al cospetto della Tradizione si erge, per evocazione di contiguità, la controparte Scrittura. E l'epistemologia teologica a fase bipolare, Scrittura e Tradizione, come blocchi compatti in sé e giustapposti ad extra, riaffiora indebitamente sull'autorità dei testi tomistici.

Siamo dell'avviso che l'identificazione «Tradizione - luoghi d'argomentazione storico-evangelica» debba esser respinta, non solo perché rischia d'annullare la progressività di occasioni molteplici della riflessione critica della fede, ma soprattutto perché, in fatto di dottrina tomistica, non è giustificata dai testi letterari. Lasciare alle varie fonti argomentative la loro autonomia, la loro zona di fede, il loro grado di auctoritas, non equivale soltanto a preservare la ricchezza di pluriformi interventi critici della fede, ma a prevenire soprattutto che un discorso teologico tessuto secondo la trama di archetipi storici della fede sia surrettiziamente tradotto nel verticalismo della demonstratio. Si vuoI dire che se lo statuto di teologia all'insegna della nozione aristotelica di scienza segna un momento glorioso della rinascita teologica del XIII secolo, esso non è l'unico modello di teologia argomentativa che s.T. abbia proposto o comunque praticato. Le molteplici postazioni argomentative - per lo più costituite da eventi e da modelli comportamentali - che concorrono a scoprire l'auctoritas di fede distribuita nella linea storico-apostolica rispecchiano processi mentali qualitativamente diversi dalle sequenze dettate dagli articula fidei come principia. Ci si rifaccia ai testi tomistici classici della teologa come scienza sullo sfondo della dottrina aristotelica dell'episteme: In Boet. De Trinit. q. 2, a. 2; Summa theol. I, q. 1, aa. 2.4.8; In I Sent. prol., a. 3, q.la 2 e sol. 2.

La subalternazione della scienza teologica alla scientia Dei et beatorum è di natura noetico-deduttiva. La dipendenza ontologica, l'inclusione logica, l'omogeneità del processo argomentativo sono i nodi che stringono la nozione tomistica di sacra doctrina come scientia.

«Et hoc modo sacra doctrina est scientia, quia procedit ex principiis notis lumine superioris scientiae, quae scilicet est scientia Dei et beatorum» (I, 1,2). «... et sicut scientia subalternata a superiori supponit aliqua, et per illa tanquam cognitionem aliorum secundum modum nostrum, scilicet discurrendo de principiis ad conclusiones. Unde primo ipsa quae fide tenemus sunt nobis quasi prima principia in hac scientia, et alia sunt quasi conclusiones» (In Boet. De Trin. q. 2, a. 2). «... et sicut scientia subalternata a superiori supponit aliqua, et per illa tanquam per principia procedit, sic theologia articulos fidei qui infallibiliter sunt probati in scientia Dei supponit, et eis credit, et per istum procedit ad probandum ulterius illa quae ex articulis sequuntur» (In I Sent. prol. a. 3, sol. 2). L'argumentum fidei si svolge «in quantum ipsa fides est manifestativa alterius, sive in quantum unus articulus manifestat alium, sicut resurrectio Christi rcsurrectionem futuram; sive inquantum ex ipsis articulis quaedam alia in theologia syllogizantur» (In III Sent. d. 23, q. 2, a. 1, ad 4).

Da siffatta subalternazione segue un tipo base di argumentum fidei su cui si modellano omogenee forme di rationes (I,1,8; III, 55,5; In Boet. De Trin. q. 2, a. 3; In III Sent. d. 23, q. 2, a. 1, ad 4; De div. nomin. c. 1, lect. 1; Marietti nn. 9,11.). E' noto come il grande testo I, q. l, a. 8, ad 2 fissi con lucido rigore lo statuto argomentativo della sacra dottrina. Ma qui, accanto alla scala valori dell'auctoritas (a seconda che si argomenti ex necessitate o soltanto probabiliter), si pone mente anche alla conterraneità, per così dire, tra fede e argomentazione teologica, una sorta di cannaturalità tra oggetto della sacra dottrina e fonte argomentativa. La sacra dottrina infatti fa uso talvolta di auctoritates la cui forza probante è quasi ex extraneis argumentis, talaltra di fonti argomentative che rispetto alla natura della teologia si qualificano come ex propriis. Così per le Scritture canoniche e i Doctores Ecclesiae. Sebbene ambedue ex propriis, le prime argomentano con conclusione categorica (ex cogente necessitate), i secondi con conclusione probabile (probabiliter). E si conclude:

Innititur enim fides nostra revelationi Apostolis et Prophetis factae, qui canonicos libros scripserunt: non autem revelationi, si qua fuit aliis doctoribus facta (I, 1, 8, ad 2).

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