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Interpelliamo ora il testo del De bono comuni. «Instabunt tempora periculosa...»: è II Tim. 3, 1 da cui prende le mosse il trattato. Il medesimo testo biblico aveva agitato, e ancora agitava, la fantasia e la passione di tutti i movimenti apocalittici e gioachimiti (cf. M. REEVES, The influente of propbecy in the later middle ages. A study in Joachimism, Oxford 1969; AA.VV., Ricerche sull'influenza della profezia nel basso medioevo, «Bull. Ist. Stor. Ital. per il M.E.» 82 (1970) 1-157). Nessuna inquietudine di tal genere turba un intellettuale ben inserito nelle istituzioni religiose e civili quale il frate fiorentino. L’ansia è rivolta a tempi e uomini presenti, «maxime in ytalicis nostris». Costoro, sedotti da un disordinato amore al bene privato, sprezzano il bene comune al punto che lotte intestine dilaniano castelli città province. La polis umana deve ritrovare il fulcro etico e politico del suo costituirsi e del suo dinamismo interno: il bene comune della società è superiore al bene particolare e della singola persona. Il trattato mira a stabilire questa tesi col più ricco apporto del contributo aristotelico, dell’esemplarità della romanità classica, della spiritualità cristiana. Ma il trattato è ancorato a una specifica situazione politica che ne costituisce il contesto, anzi l’occasione storica. In tre capitoli Remigio lamenta a chiari termini la situazione di Firenze e dei suoi cittadini: c. 9,74-80; 13,18-39; 14,28-41. Nel primo in calce alla prova «ex ratione» tratta dall’essere che sostiene la preminenza ontologica del tutto, per concludere che distrutto il tutto anche la parte va in rovina; cosicché «qui erat civis florentinus, per destructionem Florentie iam non sit florentinus dicendus sed potius flerentinus». Nel secondo ad applicazione per contrario alla «corporalis delectabilitas» (la bellezza!), tratta dalle prove che muovono gli uomini all’amore. Nel terzo ad applicazione per contrario alla «temporalis utilitas», tratta dalle medesime prove. In quest’ultimi capitoli (cc. 13 e 14) ci vien data la dimensione della devastazione di Firenze. Case e beni cittadini, piazze e palazzi, botteghe d’artigiani e società commerciali, vincoli di parentela e d’amicizia, uffici pubblici e amministrazione della giustizia, poderi e abitazioni nel contado, depositi bancari e investimenti esteri: niente si sottrae alla dissoluzione che investe Firenze. Bisognerà fare aggio all’impeto del sentimento e all’insistente uso di qualche artificio retorico che seduceva l’orecchio medievale (D. Norberg, Manuale di latino medievale, Firenze 1974, 88 su antitesi dalla medesima radice: rosa derosatur, mundus demundatur, masculos demasculare... I due ultimi testi di Remigio (in cc. 13 e 14) sono costruiti su questo modello retorico). Ma il De bono comuni ha indubbiamente davanti a sé una situazione fiorentina eccezionalmente grave. Tra il tumulto di calendimaggio 1300 e i gravi disordini che accompagnano l’incendio del 10 giugno 1304, soltanto i giorni che seguono l’entrata in Firenze di Carlo di Valois (1 novembre 1301) e che seguono specialmente l’irruzione in città di Corso dei Donati e di molti sbanditi neri (5 novembre) rendono ragione della vastità delle violenze saccheggi e manomissioni d’ogni genere che sconvolgono città e contado:

Pieri, Cronica 69: «e così sanza segnoria tenne [Corso dei Donati] la terra dì sei sanza fare alcuna ragione a neuno se non al suo piacere ciascuno che fosse potente, e furonne in quel tempo molti rubati in città e più in contado, e anche ne furon morti, e fece male chiunque volle, se elli ebbe il podere». Compagni II, 13-23; II, 19: «Gli uomini che temeano i loro adversari, si nascondeano per le case de’ loro amici: l’uno nimico offendea l’altro: la case si cominciavano ad ardere: le ruberie si faceano; e fuggivansi gli arnesi alle case degli impotenti: i Neri potenti domandavano danari a’ Bianchi: maritavansi fanciulle a forza: uccideansi uomini... E questo malfare durò giorni sei, ché così era ordinato. Il contado ardea da ogni parte». Villani IX, 49, 93-103: «Per la qual cosa i tiranni e malefattori e isbanditi ch’erano nella cittade, presa baldanza, e essendo la città sciolta e sanza signoria, cominciarono a rubare i fondachi e botteghe, e le case a chi era di parte bianca, o chi avea poco podere, con molti micidii facendosi, e fedite faccendo ne le persone di più buoni uomini di parte bianca. E durò questa pestilenza in città per v dì continui con grande ruina della terra. E poi segui in contado, andando le gualdane rubando e ardendo le case per più di viii dì, onde in gran numero di belle e ricche possessioni furono guaste e arse». Il consiglio dei cento, 7.XI.1301, così motiva l’insediamento dei priori neri (cf. Consigli I, 35): «ad evitandum et prohibendum ne incendia vasta robarie offensiones vulnera et homicidia fiant in civitate comitatu et districtu Florentie, sed cessent omnino, et quilibet et maxime populares in suo iure et iustitia conserventur» (in I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica I/II, Firenze 1880, Doc. in appendice, p. LIa).

Davidsohn IV, 248-55. ASF, Notar. antecos. 2962, f. 90r-v: il 10.XII.1301 il pievano di S. Maria dell’Antella (Bagno a Ripoli) accende un mutuo di 70 fior. d’oro «pro refectione domorum dicte plebis que tempore novitatum et rumorum, qui nuper in civitate Florentie acciderunt, combuste fuerunt».

I guasti del 10.VI.1304, e di febbraio del medesimo anno, sono principalmente fuoco e incendio, e questi attirano l’attenzione dei cronisti: Pieri, Cronica 79-80; Compagni III,8; Villani IX, 71. Davidsohn IV, 365-68,386-88. Fuoco e incendio sono assenti nella lista di Remigio.

Dopo giugno 1304 i mali della città sono ben lungi dal cessare; ma saranno prevalentemente confinati a tumulti di quartiere, risse e faide consortili tra gli esponenti del ceto dominante, spesso tra la cerchia degli stessi capi neri; mai raggiungeranno le dimensioni della devastazione della città supposta dal De bono comuni e propria dei fatti seguiti al 5 novembre 1301. Il quadro cittadino di quei giorni ben risponde al ritratto che se ne fa in De bono comuni e ben interpreta il tono desolato delle parole di Remigio. Sedati i giorni del terrore, i guelfi neri, col tacito consenso del paciaro Carlo di Valois, prendono in pugno la città e s’insediano nel potere cittadino. Da gennaio 1302 iniziano le numerosissime condanne degli avversari politici e le estorsioni pecuniarie del Valois.

Sebbene facciano difetto elementi che la confermino senza residui di dubbio, tale proposta di datazione risulta la più soddisfacente, e ben si accorda con i dati certi di cui disponiamo. La canonizzazione di Luigi IX in agosto 1297 stabilisce un solido termine post quem al trattato; e altrettanto solido va ritenuto il termine 1300 per il fatto che tra 1297 e 1300 Remigio insegnava le Sentenze a Parigi. Atti notarili attestano la presenza di Remigio in Firenze almeno da agosto 1301. Meno perentoria è la priorità del De bono comuni rispetto al De bono pacis; ma a nostro giudizio il raffronto testuale dei due trattati offre evidenze di notevole peso per ritenere che il De bono comuni abbia servito la composizione del De bono pacis e sia pertanto ad esso anteriore. La descrizione dello stato di Firenze fatta nel De bono comuni trova congruo riscontro soltanto nella devastazione che seguì il rientro degli sbanditi neri e di Corso dei Donati il 5 novembre 1301. Il De bono comuni va pertanto collocato a ridosso di quest’ultima data.

La medesima crisi bianco-nera del guelfismo fiorentino registra altri due interventi di fr. Remigio: il trattato Speculum (databile 1302-1304 ca.) e il sermone in ricevimento di Carlo di Valois.

Lo Speculum (cod. C, ff. 135vb-154va) è uno scritto d’ispirazione allegorica; ma a differenza del Contra falsos ha una tessitura rifinita; i referendi attivano una semantica dell’allegoria in un sistema di significati discreto ma inequivoco delle allusioni. Il testo biblico assunto a tema d’avvio dissimula a stento i soggetti politici che si confrontano in Firenze: Non potes capillum unum album facere aut nigrum. Il discorso - lo si dice espressamente - tocca le condizioni di «questa provincia», anzi di «questa città» e dei suoi cittadini. Lista dei capitoli è data a fine trattato, f. 154rb-va. Sviluppato il soggetto della radicale fragilità dell’uomo (c. 1) e dell’allegorismo fisiognomico delle membra del corpo (cc. 2-8), il trattato si dilunga (cc. 9-13) sui significati in bene e in male dei colori bianco e nero sotto il terzo membro della partizione principale, «disiunctio in voluntate». Ma l'ultimo capitolo tiene a riprendere gli estremi del discorso e riformularlo in assetto di rigore scolastico, di contro al ritmo rapido e l'intonazione più "retorica" della sezione precedente. Inizio di c. 13: «Ultimo consideranda sunt sex. Unum  est quod ea que quasi raptim et sine magna deliberatione ruditer et diminute dicta sunt, cultius et cum adductione auctoritatum et earum expositione operosius pertractentur. Secundum...» (cod. C, f. 152vb).

Speculum (1302-1304 ca.)

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

Incipit Speculum fratris Remigii Florentini ordinis Predicatorum.

Non potes capillum unum album facere aut nigrum. Mt. 5[,36].

Trattato Lo specchio di fra Remigio da Firenze, dell'ordine dei Predicatori.

Non hai il potere di fare bianco o nero un solo capello. Matteo 5, 36.

Verba sacre scripture sunt quedam specula spiritualia in quibus bomines possunt aspicere faciem corporis et faciem mentis sue, sordes suas ad detegendum, pulcritudinem et ornatum suum ad conservandum et augmentandum. In verbo igitur proposito Salvatoris nostri tamquam in quodam speculo spirituali tria salubriter inspicere possumus circa conditionem humanam et specialiter hominum istius provincie et maxime istius civitatis. Et primum est defectio in potestate quia Non potes facere, secundum est assimilatio in proprietate quia capillum unum, tertio est disiunctio in voluntate quia album aut nigrum (cod. C, f. 135vb).

Le parole della sacra scrittura sono come specchi spirituali nei quali gli uomini possono guardare il proprio volto fisico e mentale, le proprie brutture per rimuoverle, la propria bellezza per preservarla e incrementarla. Nelle parole del nostro Salvatore sopra proposte possiamo fruttuosamente guardare, come in uno specchio spirituale, tre realtà delle nostra condizione umana, e in specie degli uomini di questa regione e soprattutto di questa città (di Firenze): primo, defezione di autorità, Non hai il potere di fare; secondo, assimilazione nei beni, un solo capello; terzo, disgiunzione nella volontà, bianco o nero (cod. C, f. 135vb).

Et Augustinus dicit in libro I Retractationum «Omnis pena iusta est et a Deo est». Quis ergo quantumcumque inmunis a pena gloriari superbe poterit? Contra superbiam aliquorum fortium corpore et sanorum, quia sicut dicitur Iob 13 «Homo natus de muliere brevi vivens tempore repletur multis miseriis». Que autem dicta sunt, specialiter accidere circa cives huius civitatis patet (ff. 136vb-137ra).

Sant'Agostino, Le retrattazioni I, 9 § 5 (PL 32, 598); «Ogni pena è giusta e proviene da Dio». Chi potrà dunque, benché immune da pena, superbiamente gloriarsi? Contro l'arroganza di taluni potenti e forti: Giobbe 14, 1 «L'uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di molti dolori». Quanto detto sopra, tocca con evidenza e in modo speciale i cittadini di questa città (ff. 136vb-137ra).

La sacra scrittura è uno specchio. L’uomo, quale che sia il suo colore, vi si rimiri. Prenderà coscienza della deturpazione del proprio volto, di quello fisico e di quello spirituale, e lo restituirà allo splendore dei suoi colori. Non vi si coglie partigianeria di sorta. Tra bianco e nero sono distribuite eque porzioni di bene e di male, di grazia e di peccato, di prevaricazione e di conversione. L’avvio del terzo membro principale del trattato non trattiene la complicità metaforica del linguaggio. La metafora esplode.

Speculum

volgarizzamento (2008) di EP

Postquam de duobus primis prosecuti sumus, sequitur videre de tertio principali. Ubi nota quod bene quantum ad manifestationem propositi ponitur ibi  coniunctio disiunctiva quia numquam tanta disiunctio seu contrarietas voluntatum fuit inter ghibellinos et guelfos vel inter plebem et ingenuos quanta nunc existere videtur inter albos et nigros. De quo profecto cordaliter lacrimandum est, quia «Omne regnum in se ipsum divisum desolabitur et domus supra domum cadet» etc., ut dicitur Luc. 11[,17]; et Osee 10[,2] «Divisum est cor eorum, nunc interibunt».

Svolte le prime due partizioni principali, passiamo alla terza (ossia disgiunzione nella volontà). Notiamo, quanto al nostro intento, che in bianco o nero del versetto tematico ben si esprime una congiunzione disgiuntiva; mai infatti c'è stata tanta divisione o contrarietà di volontà tra ghibellini e guelfi o tra popolo e magnati quanto ce n'è ora tra bianchi e neri. Fatto che fa piangere, perché «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull'altra», si dice in Luca 11,17; e Osea 10,2 «Discorde è il loro cuore, e presto periranno!».

Est quoque instanter et ferventer orandum ut ista perniciosa disiunctio ad salubrem coniunctionem reducatur, ut quilibet scilicet sit albus et niger secundum quod habitus fratrum nostrorum pretendit: albus in quantum dumtaxat in eo in quo albi apparent bene agere, et niger in eo in quo nigri apparent bene agere. Neutri enim eorum sunt ex toto mali, quia non est reperire malum integrum; non enim substineret se ipsum, secundum Philosophum in IV Ethicorum. Tamen utrique eorum in tantum mali sunt quod quicumque et de quocumque statu tibi primo occurrit, peior est.

Preghiamo con insistenza e con fervore perché siffatta funesta divisione sia ricomposta; e che ognuno sia insieme bianco e nero, così come mostra l'abito dei nostri frati: bianco rispetto solo alla buona condotta dei bianchi, e nero rispetto alla buona condotta dei neri. Nè gli uni né gli altri sono del tutto cattivi, visto che il male integrale non si dà, perché impotente a sostentare il proprio essere, a detta di Aristotele, Etica nicomachea IV,11 (1126a 12). Malvagi tuttavia sia gli uni che gli altri. Anzi, chiunque ti compare davanti per primo, dell'uno o dell'altro partito, è il peggiore!

Est enim in quolibet eorum triplex disiunctio voluntatum. Una quidem cuiuslibet in semet ipso, dum aliquid vult voluntas |146rb| rationis, que quidem excecata peccato sequitur voluntatem carnis. Secunda est disiunctio a Deo in quantum quilibet eorum vult ea que Deus vult ea non velle. Tertia est disiunctio a proximo in quantum aliud vult quilibet quam velit proximus suus.
Et ideo primo videndum est qualiter utrumque eorum, scilicet album et nigrum, accipitur in malo, et secundo quomodo utrumque eorum accipitur in bono, quia primum extirpanda sunt vitia et demum inserende virtutes, ut dicit Boetius (
f. 146ra-b).

In ciasuno di loro c'è una triplice dissociazione volitiva. Una interiore alla singola persona: la volontà retta dalla ragione decide un comportamento, ma poi accecata dal peccato si abbandona al male dell'istinto. Seconda dissociazione, quella da Dio: ciasuno di loro vuole cose contrarie al volere di Dio. Terza dissociazione, quella dal prossimo: ognuno vuole il contrario di quel che vuole il suo prossimo.
Dobbiamo dunque prima vedere in che modo ciascuno di essi, ossia il bianco e il nero, sono intesi in senso negativo, poi in che modo sono intesi in senso positivo. Prima infatti va estirpato il vizio, poi innestata la virtù, sostiene Boezio († 524), La consolazione della filosofia  III, 4 prosa (f. 146ra-b).

La progressione è inequivocabile. Vi sono state a suo tempo lotte tra ghibellini e guelfi, poi tra popolani e magnati, ora tra bianchi e neri. Queste, agli occhi di Remigio, appaiono più gravi delle precedenti (la pensa così anche Dino Compagni). L’affronto è in corso: «quanta nunc existere videtur inter albos et nigros». Le discordie bianco-nere insorte in Pistoia contagiano Firenze a partire dalla primavera 1300 (Davidsohn IV, 183; G. Pampaloni, Bianchi e Neri, ED I, 620-23). Nessun dato evidente nello Speculum d’un termine ante quem; a meno che la sequenza cronologica delle coppie dei contendenti arrestata ai bianchi-neri e l’esclusiva insistenza del trattato su quest’ultimi non valgano un qualche indizio di tempi politici anteriori al 1304, quando - bandita ormai la dirigenza bianca - le violenze intracittadine saranno replicate prevalentemente dalle due fazioni nere sortite dalla scissione del 1304. Il trattato comunque suppone lo scoppio in Firenze delle rivalità tra bianchi e neri, suppone che queste siano sufficientemente estese e persistenti al punto da spingere il frate fiorentino a scrivere il trattato. Nessun rimando tra lo Speculum e i trattati De bono comuni e De bono pacis, né esplicito né tematico o testuale, dato il genere allegorico del primo e politico dei secondi. Talune brecce alla scrittura metaforica rilasciano spunti importanti per cogliere l’equidistanza politica di Remigio nel conflitto in corso, ma non contribuiscono a fissare estremi cronologici più esatti dello Speculum.

[Album secundum malum] «Et certum est albos offendisse in omnibus predictis, in luxuria - ut de ceteris transeamus - illicita matrimonia contrahendo, in avaritia vero indebite pecunias extorquendo, in superbia vero nimis ius verum et ecclesiam contempnendo» (Speculum: cod. C, f. 146va).

[Nigrum secundum malum] «Dicitur Tren. 4[,8] "Denigrata est super carbones facies eorum" scilicet propter maiorem turpitudinem fragilitatem et infectionem, "et non sunt cogniti" idest approbati "in plateis" idest in officiis publicis; vel idest non videntur in locis publicis scilicet propter eorum infamiam et vitii verecundiam» (f. 150ra) (Bisogna intendere che i neri non siano ancora arrivati al potere?).

«Quantum autem ad superbiam vel vanam gloriam nigrum invenitur in fumo, iuxta illud Bar. 6[,20] "Nigre facies eorum a fumo"..., quia scilicet superbi sursum ascendunt, amari et onerosi sunt, et cito transeunt...; unde vulgariter dicimus de aliquo nimis se ipsum vel conditionem suam excedentem "Or ecco puçço" idest "Or ecce putor"» (f. 150rb).

A proposito dell'avidità di danaro: «Omnia predicta facit amor pecunie quia facit furari, et ablata recondere, et fraudes commictere et in mercationibus et in aliis, et rixari cum proximis immo etiam cum fratribus, et propter maximum estum non dimictit pecunias augere et semper cogitat de crastino superflue» (f. 150va-b).

Ma «simpliciter loquendo» il bianco pare eccellere sul nero: «Quartum est quod album prefertur nigro simpliciter, nigrum autem prefertur albo secundum quid, tum quia albedo est mensura omnium colorum - ut dictum est - tum quia in loco ubi est omne bonum omnes sunt albi simpliciter..., et in loco ubi est omne malum, idest in inferno, omnes sunt nigri simpliciter» (f. 152vb).

Il trattato Speculum ad ogni modo copre le medesime preoccupazioni che inducono l’autore a intervenire col De bono comuni e De bono pacis: la situazione politica delle lotte fiorentine tra guelfi bianchi e guelfi neri nei primissimi anni del Trecento.

L’allegorismo dello Speculum non è né ingenuo né diversivo. Là dove il registro allegorico trova l’incastro felice tra sintagmi della scrittura e campo allusivo della metafora, l’esito presume perfino incipienti valori letterari. Bianco e nero non sempre sussistono nella loro cromìa assoluta. Vero è che la riconciliazione degli opposti colori renderebbe ragione alla coesistenza dei diversi: le pecore di Giacobbe erano striate di bianco e nero; e bianco e nero è l’abito dei frati Predicatori.

originale latino di Speculum

volgarizzamento (2008) di EP

Quantum autem ad secundum habemus exemplum in ovibus et capris et hyrcis et arietibus Laban et Iacob, Gen. 31, quia animalia Laban, qui persecutus est hominem iustum scilicet Iacob, erant unius coloris tantum scilicet vel alba tantum vel nigra tantum. Sed animalia Iacob erant varia et simul alba et nigra. Et etiam in habitu fratrum Predicatorum quorum ordo excellentissimus est, sicut apparet ex multis. Et ideo dicitur Prov. 31[,21] «Omnes domestici eius vestiti sunt duplicibus»(f. 154ra).

Quanto al secondo punto, ne abbiamo un esempio nelle pecore, capre, capri, montoni di Làbano e Giacobbe, Genesi 31. Gli animali di Làbano, che perseguitò l'uomo giusto Giacobbe, erano d'un solo colore, o solo bianchi o solo neri. Gli animali invece di Giacobbe erano striati, e dunque bianchi e neri insieme. E così anche l'abito dei frati Predicatori, ordine eccellentissimo, come risulta da molte cose. Si dice pertanto in Proverbi 31,21 «Tutti i suoi famigliari indossano doppia veste».

Ma più di frequente si dà il caso di caduta di tonalità: il bianco «nigrescit», il nero «albescit». Difesa d’interessi e misure preventive alle rappresaglie consigliano il trasformismo politico. Era accaduto al tempo dei guelfi e ghibellini. Ora Remigio denuncia l’opportunismo tra i due fronti bianco e nero.

Speculum

volgarizzamento (2008) di EP

Quantum autem ad mentem albedo et nigredo sunt simul quando aliquis simul propositum habet albescendi et nigrescendi pro diversitate temporum et personarum, puta quia tempore adversitatis albescit et tempore adversitatis nigrescit, vel e converso, et cum albis est albus et cum nigris est niger; quod est pessimum. Unde Eccli. 2[,14] «Ve duplici corde qui ingreditur terram duabus viis»; Glosa «in eternum peribit».

In rapporto all'attitudine mentale, bianchezza e negrezza stanno insieme quando uno si propone di imbiancare o di annerire con opportunismo di tempi e persone. Esempio, a un tempo di avversità imbianca e a un tempo di avversità annerisce, o al contrario; con i bianchi si fa bianco, con i neri si fa nero. Vergognoso! Ecclesiastico (Siràcide) 2,12: «Guai al cuore ambiguo che cammina su due strade!»; Glossa «per sempre perirà».

Unde Salustius in Invectiva contra Tullium dicit «Modo harum modo illarum partium, fidus nemini, senator levissimus», et post: «Aliud stans aliud sedens sentis de re publica». Unde Tren. 2 «Peccatum peccavit Ierusalem, propterea instabilis facta est». Ierusalem interpretatur visio pacis et significat illum qui mente duplici videt ut cum albis et etiam cum nigris pacem pretendat pro tempore; quod est pessimum. Quod significatur in ingeminatione vocabuli per nomen et verbum peccandi, ex quo instabilitas sequitur, quia - ut dicitur Iac. [1,8] - «vir duplex animo inconstans est in omnibus viis suis» (cod. C, f. 153vb).

Per cui (Pseudo-?)Sallustio (86-35 a.C.) nell'Invettiva contro Marco Tullio Cicerone dice: «Ora con gli uni ora con gli altri, a nessuno fedele, senatore altalenante»; e poi: «In politica tu pensi una cosa in piedi, un'altra da seduto». Lamentazioni 1,8 «Gerusalemme ha doppiamente peccato, per questo è diventata instabile». Gerusalemme significa "visione di pace", e significa l'uomo dallo sguardo doppio, che un giorno tratta la pace con i bianchi e un altro giorno con i neri. Pessima cosa! Che si manifesta quando si sdoppia in sostantivo e in  verbo di trasgressione (peccatum peccavit!). Ne segue instabilità, perché - come dice la lettera di Giacomo 1,8 - «l'uomo dall'animo doppio è instabile in tutti i sui percorsi» (cod. C, f. 153vb).

«Molte lingue si cambiorono in pochi giorni», dice il Compagni (II,21), anch’egli in metafora.

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