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2. Quali che siano le motivazioni, va subito detto che l’interesse degli studiosi per le opere esegetiche di Tommaso d’Aquino non è di oggi. La pubblicazione del Chartularium dell’università di Parigi sullo scorcio dell”800 dette il via alla ricostruzione dell’iter accademico delle università medievali. Presero parimenti risalto i testi da cui muoveva sia l’atto professorale del bachalarius e del magister, sia l’auctorítas come strato metodologico su cui si costruiva con rigore e autorevolezza l’edificio del sapere teologico.

H. Denifle (CUP) attirò l’attenzione sulla centralità del testo biblico nell’insegnamento medievale della sacra doctrina, così come questo era condotto nella facoltà di teologia dell’università di Parigi. P. Mandonnet riprese il soggetto qualche decennio più tardi sia per arricchire - qua e là per precisare - i contributi del Denifle che per intraprendere in modo sistematico il problema critico degli scritti esegetici di san Tommaso. E fu un inizio pieno di promesse. Altri nomi vennero ad aggiungersi a quello dei pionieri, e attraverso i contributi di F. Pelster, P. Synave, C. Spicq, si giunse, con un fondamentale saggio di P. Glorieux (Essai sur les commentaires scripturaires de St. Thomas et leur chronologie, RTAM 17 (1950) 237-266), ad un soddisfacente assodamento della questione critico-letteraria del corpus esegetico dell’Aquínate.

Nel frattempo il risveglio degli studi medievalistici illustrava testi rimasti sconosciuti, sollecitazioni sociali e spirituali del tempo, modi d’indagine e di composizione del sapere teologico in coincidenza con la nuova gerarchia delle discipline del trivium: tutto ciò insomma che qualificava il genius proprio dell’uomo medievale nella rinascita culturale della seconda metà del XII e inizio del XIII secolo. Sarà appunto il contesto storico e la temperie spirituale in cui si foggerà il pensiero di Tommaso d’Aquino.

In tale fervore storiografico sul periodo d’oro del medioevo, si collocano le ricerche specifiche sull’esegesi medievale. Fondamentali i lavori di B. Smalley (The Study of the Bible in the Middle Ages, Oxford 1952; tr. it. Bologna 1972) , C. Spicq (Esquisse d’une histoire de l’exégèse au moyen âge, Paris 1944), e più recentemente, con altro respiro e più definita angolatura, la monumentale opera di H. De Lubac (Exégèse médiévale. Les quatre sens de l’Écriture, Paris 1959-64).

Ma, a detta dello Spicq (DTC 15,738), l’opera esegetica di Tommaso non è stata ancora oggetto d’uno studio d’insieme, mentre esistono eccellenti lavori in tal senso, ad esempio, su Alberto Magno.

Eccone alcune segnalazioni: H. POPE, St. Tbomas as an Interpreter of Holy Scripture, Oxford 1924. A. VITTI, De S. Tboma Sacrae Scripturae interprete, Verbum Dom. 4 (1924) 153-159. I.-M. VOSTÉ, S. Thomas Aquinas Epistularum interpres, Angelicum 19 (1942) 257-76; Exegesis Novi Testamenti et S. Thomae Summa theologica, Angelicum 24 (1947) 3-19. J. VAN DU PLOEG, The place of Holy Scripture in the Theology of St. Thomasm, The Thomist 10 (1947) 398-422.

P. G. MEERSSEMAN, Introductio in Opera Omnia B. Alberti Magni O.P., Bruges 1931: Opera exegetica, pp. 82-98. J. M. VOSTÉ, in Angelicum 9 (1932) 239-98; 328-35; Divus Thomas 9 (1932) 469-506; 10 (1933) 3-17; 18-24; 101-120. A. VACCARI in Verbum Domini 12 (1932) 337-344; Biblica 13 (1932) 257-72; 369-84; in Scritti d'erudizione e di filosofia, vol. II, 1958, 323-346.

Un abbozzo di sintesi lo propone lo stesso Spicq. Un abbozzo, evidentemente. E l’autore è consapevole che sarebbe prematuro, a tutt’oggi, osare di più. Difatti il lavoro preparatorio, di sondaggio o di monografia che sia, ha subìto una sorte poco felice. Il Gardeil aveva suggerito una buona pista. Successivamente un problema specifico di teoria ermeneutica dibattuto nei primi decenni del secolo aveva monopolizzato la ricerca tomasiana in tal senso. L’unicità o molteplicità del sensus litteralis nel pensiero di s.T. coagulò intorno a sé quasi tutti gli sforzi di trarre in luce il versante esegetico dell’opera dell’Aquinate. Furono scritti, senza dubbio, saggi pregevoli dai domenicani Blanche, Synave, Zarb, Vosté, Ceuppens.

A. BLANCHE, Le sens littéral des Écritures d'après saint Tbomas d'Aquin. Contribution à l'histoire de l'exégèse catholique au moyen age, RT 14 (1906) 192-212. P. SYNAVE, La doctrine de saint Thomas sur le sens littéral des Écritures, Rev. Bibl. 35 (1926) 40-65. S. M. ZARB, Utrum S. Thomas unitatem an vero pluralitatem sensus litteralis in sacra Scriptura docuerit, Div. Thomas P1. 33 (1930) 337-359. Unité ou multiplicité des sens littéraux dans la Bible, RT 37 (1932) 251-300. F. CEUPPENS, Quid S. Thomas de multiplici sensu litterali in S. Scriptura senserit?, Div. Thomas P1. 33 (1930) 164-175. C. SPICQ, Esquisse..., pp. 276-79. G. M. PERRELLA, Il pensiero di S. Agostino e S. Tommaso circa il numero del senso letterale nella S. Scrittura, Biblica 26 (1945) 277-302. ID., La Sacra Bibbia. Intr. gener., Marietti 1958, pp. 261-274.
Per le fonti agostiniane di S. Tommaso de re cfr. S. M. ZARB in RT 37 (1932) 251-300 che rimanda ad un suo saggio in «Tomistich Tijdschrift» 1 (1930) 615-642.

Siffatto dibattito non poteva non trainare con sé l’altro - intimamente connesso - del rapporto tra sensus litteralis e spiritualis sia nell’atto esegetico di Tommaso che nel tentativo di rinnovare l’assetto ermeneutico dell’esegesi classica. Contemporaneomente Benoit e Synave conducevano validi studi sulla nozione tomasiana d’ispirazione e di profezia.

C. SPICQ, Pourquoi le moyen âge n'a-t-il pas davantage pratiqué l'exégèse littérale?, RSPT 30 (1941-42) 169-179. M.-D. MAILHIOT, La pensée de saint Thomas sur le sens spirituel,  RT 59 (1959) 613-663. M.-D. CHENU, Théologie symbolique et exégèse scolastique au XII et XIII siècles, Mélanges De Ghellinck, Gembloux 1951, II, 509-526.

P. BENOIT - P. SYNAVE, La Prophétie (St. Thomas d'A., Somme théo1.), Paris 1947. P. BENOIT, Révélation et Inspiration selon la Bible, chez Saint Thomas et dans les discussions modernes, Rev. Bibl. 70 (1963) 321-370.

Ma a che punto si era nella comprensione del nucleo dell’opera esegetica di s.T., che pure copre pressoché tutta la sua attività di scuola come magister? Come e quando lo sforzo d’intelligenza della parola di Dio, all’incrocio con fatti nuovi del sapere cristiano entro il fascio rotante del trivium, si raccoglie in modo inedito e geniale in Tommaso d’Aquino? La frammentarietà degli studi suaccennati può fornire una carta di scusa per il bersaglio mancato. Può finanche mettere al riparo da critiche ovvie. Ma il punto è altrove.

Il rinnovato interesse per l’esegesi tomasiana conduceva un’operazione che inconsapevolmente estrapolava, nel campo degli scritti esegetici, procedimenti con cui l’atto finale del pensiero dell’Aquinate insediava l’ordo disciplinae nel suo edificio mentale. Cosicché quelli che originariamente erano atti ermeneuticí vennero obiettivati in quaestiones e come tali passarono nella suddetta produzione letteraria. Questa raccoglieva specimina d’esegesi scritturale sottraendoli alla loro occasione storica, e li sommava in una sequenza dove l’unica sutura era l’epilogo assertivo dei noemi biblico‑teologici. Il metodo secondava l’intento. Ma il risucchio verso la trattazione sistematica - a cui il tomista epigono sembra incorreggibilmente attratto - era inevitabile. Nel nostro caso poi siffatta operazione era ancor più insidiosa perché indebita. L’attività esegetica rispecchia altri processi di pensiero e soprattutto altre occasioni di vita di fede come luoghi propri dei suo dispiegarsi. Processi ed occasioni che devono pur essere restituiti ad una lettura integrale che miri a recensire, d’un’ermeneutica, sia le illustrazioni della parola di Dio che gli strumenti conoscitivi che ad esse concorrono. San Tommaso non sfuggì a questa logica. Che è la logica della comunità dei credenti, portatrice ed interprete - nelle provocazioni della storia - della parola di Dio.

Si capisce allora come la recente storiografia tomistica abbia fruttificato in dilatazioni encomiastiche di s.T. esegeta proprio là dove l’Aquinate era più testimone del passato che precursore del futuro, più assertore d’uno schema che prevaricatore di esso. Si capisce ancora come la sezione di Exégèse médiévale del De Lubac dedicata a s.T. sia avara di contributi positivi. Non perché l’autore sia prevenuto o impreparato. Ma perché, in un terreno esposto a facili efflorescenze apologetiche, ha stimato di dover proporre un discorso quasi di controversia, lesto a rintuzzare punte d’una letteratura ansiosa oltre misura d’epiloghi celebrativi della “novità” esegetica di Tommaso. E p. Congar non aveva ammonito i cultori di s.T. di non farne - in esegesi come altrove - «un phénomène solitaíre ou un commencement absolu, une sorte de Melchisédech de la théologie sans père ni mère...»? (Le sens de l'«Economie» salutaire dans la «Théologie» de S. Thomas d'Aquin, Festgabe J. Lortz, Baden-Baden 1958, II, 94).

3. Bisogna concludere che si è ad un punto morto con l’esegesi tomasiana?

Non lo crediamo. Gli studi condotti in proposito sinora, benché offrano il fianco a riserve negli anticipati pronunciamenti di sintesi, restano pur sempre un contributo valido alla ricostituzione dell’opera scritturistica dell’Aquinate. Due recenti volumi dell’Opera omnia (ed. leonina) cadono a proposito nel nostro discorso. Essi provvedono gli studiosi di nuove opere criticamente restituite, ma offrono altresì utili spunti esterni di riflessione non irrilevanti al nostro proposito. Nella prefazione dell’Expos. super Job ad litteram (prima opera scritturística apparsa nella leonina, t. XXVI Romae 1965),  A. Dondaine attira l’attenzione sull’importanza di tale scritto nell’evoluzione dell’esegesi moderna (EL 26, Introd. pp. 42b-43a: «Or il est indéniable que l'Expos. super Job est une des pièces essentielles de cette évolution»), e sulla qualità di prim’ordine del suo contenuto di «sagesse théologique» (EL 26, p. 26b: nella Expos. super Job «une sagesse théologique et une maitrise dignes des ses plus grandes oeuvres»). Il tomo XLI (1970) raccoglie i tre opuscoli legati alla famosa disputa tra Secolari e Mendicanti nell’università parigina: Contra impugnantes Dei cultum et religionem (= Contra imp.); De perfectione spiritualis vitae (= De perfect.); Contra doctrinam retrahentium a religione (= Contra doctr.). Opera di Tommaso controversista, come è ovvio. Ma di là dalla facíes redazionale e dagl’incidenti di cronaca all’origine del tenore degli opuscoli - e che va gelosamente preservato - i nuclei su cui si accanisce la polemica e il nerbo delle argomentazioni risolutive sono squisitamente biblici. E non sarebbe in alcun modo forzare i quadri dei generi letterari tomasiani se tali scritti fossero dibattuti tra la produzione esegetica di Tommaso. Nel corso del presente saggio apparirà la fondatezza di questa affermazione.

Qui interessa mettere in evidenza un fatto decisivo per la stessa lettura critica dei tre opuscoli. Tommaso è lanciato nel cuore d’una míschía le cui origini si riallacciano al più vasto movimento spirituale che da oltre un secolo aveva investito la Chiesa medievale. Un movimento di fatti di vita della “cristianità” medievale e nel contempo un’urgente e appassionata riflessione intesa ad interpellare, nel testo sacro, l’ideale evangelico-apostolico della vocazione cristiana. Intendiamo l’evangelismo medievale, ortodosso e non. L’evangelismo che agita l’Europa centrale del XII e XIII secolo; che matura profonde trasformazioni della coscienza cristiana, come della società civile ed ecclesiastica del tempo; che genera, soprattutto, una passione nuova per il testo sacro ed un’ingenua aderenza di vita alla sua lettera. Da Roberto d’Arbrissel († 1117) a Francesco d’Assisi († 1226) tutta la Chiesa, in stato d’avanzata temporalizzazione, è scossa con prepotenza a confrontarsi con la lex evangelii e la vita apostolorum. Questa è spesso ricostruita - nell’ardore dell’evangelismo di massa - con un letteralismo esegetico tanto sincero quanto rozzo.

Nell’università di Parigi tra il 1256 e il 1270 si vive, in replica accademica e in rigore d’assetto esegetico, la medesima passione spirituale: il diritto dei Mendicanti ad esistere nella Chiesa di Dío tra la compagine dei vescovi e clero secolare da una parte, e del monachesimo dall’altra; il diritto a costituirsi in comunità che testimoni la povertà del Cristo fino alla mendicità; il diritto a riproporre l’ideale evangelico nel cuore stesso della nuova popolazione urbana dove confluíscono inediti strati sociali emergenti dal feudalesímo in dissolvimento; il diritto ad offrire il ministero della predicazione itinerante collateralmente all’ordine dei chierici. Urbanesimo, mobilità sociale, economia monetario-commerciale erano le novità della società postfeudale. L’ordo costituito all’interno della vita civile ed ecclesiale (ma la christianitas era sacerdotium e regnum ad un tempo!) non poteva non soffrirne le ripercussioni. Una pastorale ansiosa della propria efficacia era chiamata a commisurare i propri propositi sui ritmi d’una società nuova; finanche a cedere, se necessario, alla riedízione della proclamazione prima - la praedicatio evangelii  dinnanzi all’alterità sociale e culturale del destinatario. Ma non equivaleva tutto ciò a riaffermare la novitas della legge del Vangelo e riproporre con più rigore l’apostolica vivendi forma? Nella più vasta comunità della christianitas un tale fervore evangelico animava fermenti popolari, maturava un’inespressa coscenza laica ed esplodeva talvolta in lacerazioni della unítas ecclesiastica. Nelle scholae si qualificava come sforzo riflesso di definire le urgenze della lex nova sia in rapporto alle precedenti fasi (lex vetus) della rivelazione cristiana, sia in rapporto ai modi storici in cui la novitas evangelica trasmetteva alla coscienza del credente e della Chiesa la sua normatività.

Cosicché il momento di riflessione di fede, coinvolto dalla congiutura storica a trarre ulteriori illuminazioni su fatti nuovi di vita, si esprimeva in officium rigorosamente ermeneutico; di sforzo cioè inteso ad enucleare più aderenti messaggi scritturali all’oggi della coscienza cristiana. E tale è appunto l’occasione spirituale in cui Tommaso forza il massimo dell’intellectus fidei sul problema cruciale, per la vita della Chiesa come per la comprensione del dato rivelato nel suo insieme, della lex nova. È il tema che lievita tutta la polemica parigina con i Secolari, ma che investe altresì gran parte dell’opera più specificamente esegetica di s.T. Ad esempio, i commentari su san Paolo e san Matteo. Proprio i medesimi luoghi neotestamentari da cui traggono ispirazione ed argomento ora i movimenti popolari di riforma ora le dotte controversie di scuola. Evocare siffatto contesto di vita di Chiesa e di rivolgimento sociale ci sembra determinante per cogliere il nucleo vivo dell’esegesi tomasiana centrata sul discrimine dei due testamenti; e per individuarne parimenti intenzioni e tecniche. Proprio come privilegiate occiasioni di fede sollecitavano le une e imponevano le altre.

Questo versante del nostro discorso non ha alcuna pretesa d’essere inedito. Già il p. Denifle sognava di comporre un «commentario storico» alla Summa e allo Scriptum super Sententiis. Ed insigni studiosi ne hanno dati saggi magistralí. Dom Lottin, ad esempio, per il trattato De lege (Psychologie et morale au XII et XIII siècles II, Louvain-Gembloux 1948, 11-100), p. Chenu per quello De fide (Mélanges thomistes (RSPT) 1923, 123-140). E tutti sappíamo con quanto frutto e godimento intellettuale. Per il nostro soggetto, si è stati forse dissuasi dalla quieta superficie della littera di s.T. che - a prima vista - concede poca o nulla udienza alla cronaca del giorno.

Ma si può avanzare un’altra spiegazione. Tale da portarci più vicini al vero nodo del problema. Se ne farà una esposizione alquanto più diffusa. Il che ci offrirà l’occasione di completare il quadro metodologico del nostro discorso, e nel contempo di fissare l’oggetto specifico così come le delimitazioni del presente saggio.

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