Una norma del Regolamento Generale prescriveva che la Sezione Musica non potesse accettare in tutela opere di cui gli autori e compositori non fossero tutti iscritti alla Società. La norma, esistente da molti anni, intendeva evitare il rischio di contestazioni da parte dell’autore non iscritto per abuso di gestione di diritti non disponibili, ma soprattutto intendeva evitare che gli editori, acquistando i diritti dagli autori, si presentassero alla SIAE come unici beneficiari dei relativi proventi; e intendeva quindi dare applicazione all’art. 180, quinto comma, della legge 633/1941, in virtù del quale nelle ripartizioni effettuate dalla SIAE una quota parte dei proventi deve essere in ogni caso riservata all’autore. Nel tempo, la ratio di questa norma era stata frequentemente elusa attraverso false dichiarazioni di paternità: se l’autore dei versi di una composizione da lanciare con immediatezza non era iscritto alla SIAE, la qualifica di autore dei versi veniva assunta dall’autore della parte musicale, il quale generalmente si impegnava a girare separatamente al vero autore le quote di proventi liquidate dalla SIAE; quest’ultimo tuttavia non aveva sicuri mezzi di controllo delle somme liquidate; d’altra parte, negli ultimi tempi il percettore effettivo di proventi SIAE ne era responsabile sul piano fiscale. Mi sono trovato presto a sentire sfoghi e lamentele di autori che nel frattempo si erano iscritti e che intendevano rivendicare la paternità di composizioni dichiarate alla SIAE precedentemente sotto il nome di altri. Una rettifica comportava ovviamente la constatazione di un falso, la cui ammissione dava luogo ad una azione disciplinare a carico del responsabile. Così, le rettifiche non avvenivano per timore delle conseguenze disciplinari, perpetuandosi gli effetti di falsi dati di paternità. Nell’interesse della verità io mi decisi ad impegnarmi a non dar luogo ad alcuna azione disciplinare nei confronti del falso dichiarante, se veniva ridichiarata l’opera con le vere paternità, a condizione però che questa ridichiarazione non comportasse per la SIAE l’onere della rettifica delle liquidazioni già avvenute. In tal modo, un gran numero di casi fu in pochi anni risolto, con sollievo anche del falso autore che si trascinava da tempo obblighi privati non sempre facili ad essere ottemperati. Appena possibile riuscii poi a far eliminare dal Regolamento Generale la norma sopra richiamata: la Sezione Musica poté così accettare dichiarazioni di opere con autori non iscritti, purché fra i dichiaranti fosse compresa la persona fisica o giuridica abilitata all’esercizio dei diritti ai sensi dell’art. 34, primo comma, della legge suddetta (l’autore della parte musicale) o per acquisizione contrattuale (l’editore); la quota parte dei proventi spettante all’autore non iscritto veniva calcolata secondo le norme regolamentari, ma non era liquidata a nessuno.
Da tempi lontani era invalso l’uso di affidare alla tutela della SIAE opere di pubblico dominio da parte di musicisti che dichiaravano di averne effettuato una elaborazione tutelabile qualificata (anche in riferimento a normative sociali esplicite) come “revisione”. La revisione consisteva in un controllo della partitura originale dell’opera di pubblico dominio (mettiamo, un’opera del primo ‘800), per consentirne la facile lettura da parte di un orchestrale moderno, attraverso la riscrittura in grafia chiara, la rettifica di eventuali errori, la realizzazione eventuale del basso continuo, talvolta la trasposizione di singole parti staccate nella chiave dello strumento odierno. Si trattava di lavoro spesso assai pregevole, condotto da musicisti esperti che dovevano conoscere adeguatamente il carattere del linguaggio musicale del compositore originale; ma era un lavoro da musicologo e non da autore creativo. Ora, la legge (art. 4) protegge la elaborazione di opera preesistente purché abbia carattere creativo (ad esempio, la traduzione da altra lingua, la riduzione o il compendio, il rifacimento, la variazione), ossia modifichino in qualche modo l’opera originale. I “revisori” invece avevano come massimo vanto quello di aver riportato l’opera alla sua forma originaria, ad esempio eliminando tutte le modifiche abusivamente apportate nel tempo per malvezzi di interpreti faciloni o ignoranti. Appellandomi alla legge e anche in base all’esperienza fatta precedentemente presso la Sezione Lirica, cominciai a contestare le decisioni di un'apposita Commissio Tecnica (composta di autori e compositori esperti e talvolta eminenti e di qualche editore) che, dopo accurata analisi, continuava ad esprimere parere favorevole all’accettazione in tutela delle revisioni dichiarate, specialmente da quando ebbi l’incarico di presiedere la Commissione. Capitò anzi un caso in cui la Commissione rilevò l’assurdità degli interventi fatti da un incompetente musicista che aveva manomesso una partitura apportandovi modifiche inammissibili; e io allora dichiarai che quella era una vera elaborazione a’ termini di legge, in quanto quel musicista aveva effettivamente modificato l’opera originale, anche se in modo inaccettabile sul piano filologico; ma la SIAE non esprime mai giudizi sulla qualità delle opere affidatele in tutela; né essa è abilitata ad esercitaree le azioni a tutela del diritto morale dell’autore di cui agli artt. 20 e 23 della legge. La materia diventò man mano incandescente. Una sera, riaccompagnando in macchina al suo albergo il maestro Luigi Dallapiccola dopo i lavori di un Comitato che si era occupato anche di questa materia (al Festival del Balletto di Nervi era stata rappresentata un’opera di Rossini in una interpretazione coreografica di Léonide Massine, con i ballerini in scena e i cantanti nascosti dietro le quinte; ciò aveva provocato reazioni scandalizzate nel mondo musicale italiano), io mi permisi di contestare con un certo calore i giudizi di riprovazione che avevo appena ascoltati per l’oltraggio arrecato a Rossini, sostenendo che di quella riprovevole “manomissione” il Massine si era assunto pubblicamente la responsabilità artistica, non avendo affatto dichiarato che la sua fosse la vera e più corretta rappresentazione dell’opera. In un convegno di musicologi tenuto presso la Biblioteca Nazionale a Castro Pretorio, la SIAE da me rappresentata venne attaccata duramente perché aveva cominciato a rifiutare le revisioni ben fatte, mentre era disponibile a tutelare le manomissioni; difesi la SIAE cercando di chiarire i termini della questione, e solo alla fine del convegno, passeggiando per i giardini con il maestro Andrea Mascagni che era stato il più fiero accusatore, riuscii a convincerlo della correttezza della posizione della SIAE, che doveva solo gestire diritti basati sulla legge. Nel frattempo, ero infatti riuscito a far modificare la normativa sociale adeguandola alle prescrizioni legislative. Gli editori avevano difeso a spada tratta la vecchia normativa sociale, che consentiva, ad esempio, alla Casa Ricordi di continuare a beneficiare di diritti su una quantità di partiture revisionate di Rossini; ma li convinsi alla fine ad invocare una tutela legale specifica di genere nuovo per le edizioni critiche, tutela finalmente introdotta in Italia con l’ultimo aggiornamento della legge sul diritto di autore (v. art. 15 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n° 154).
La diffusione di una canzone italiana nei paesi stranieri dipende dall’attività svolta da editori locali, i quali si impegnano a questo fine dopo aver acquisito i diritti di sfruttamento nel loro territorio mediante un contratto di cessione stipulato con l’editore originale italiano; questo contratto riconosce al sub-editore una quota dei proventi prodotti dall’opera nel suo territorio e consente altresì di riconoscere una quota di tali proventi all’eventuale autore dell’adattamento del testo nella lingua locale. La Società di autori del paese straniero che incasserà i diritti prodotti localmente ed effettuerà la ripartizione agli aventi diritto potrà accettare la rivendicazione del sub-editore e dell’eventuale adattatore solo in base al nulla-osta rilasciato dalla Società degli aventi diritto originali. Per questo l’editore cedente deve notificare alla SIAE il contratto di cessione e le sue condizioni (territorio, durata, quote cedute). Spesso il sub-editore versa all’editore originale una somma a titolo di anticipo, che viene poi scontata sulle rimesse che la Società di autori straniera farà alla SIAE. La materia si prestava ad abusi da parte degli editori a danno degli autori originali, specie riguardo agli anticipi. Dopo alcune vicende nelle quali potei accertare grossolane prevaricazioni di questo genere, convinsi alcuni autori facenti parte della Commissione della Sezione Musica a sollevare il problema, peraltro assai delicato. E in capo a qualche anno riuscii ad introdurre una nuova normativa che faceva obbligo agli editori di notificare alla SIAE con il contratto di cessione anche il nuovo titolo assunto dalla canzone sub-editata e l’eventuale anticipo versato dal sub-editore, mediante un apposito modulo sottoscritto da tutti gli autori interessati; qualora il modulo risultasse mancante della sottoscrizione di uno o più degli autori, la SIAE stessa avrebbe inviato loro copia di detto modulo, in modo da renderli edotti della sub-edizione e soprattutto dell’anticipo riscosso dall’editore originale, una quota del quale era ovviamente di loro spettanza.
Una
questione molto seria nella quale mi sono impegnato caparbiamente a lungo,
purtroppo con assai scarsi risultati, era quella delle cosiddette
ripartizioni proporzionali. Per molti anni dall’inizio della sua attività
istituzionale, la Sezione Musica della SIAE, per ogni esecuzione musicale per la
quale incassava diritti (concerti, spettacoli, café-chantants, ecc.),
poteva ottenere il relativo programma scritto contenente l’elenco delle
composizioni eseguite (titolo e autore), che le permetteva di ripartire
l’incasso fra gli aventi diritto interessati. Anche la RAI per i suoi programmi
radiofonici e poi per quelli televisivi forniva alla SIAE gli elenchi
cronologici delle trasmissioni con l’indicazione ordinata dei vari programmi e,
per ciascuno di essi, delle singole opere e composizioni trasmesse, con le
relative durate in minuti e secondi e anche con speciali codici di
classificazione. L’attribuzione di una quota dei diritti per ciascun titolo
eseguito e la loro sommatoria per titoli e per compositori costituiva
l’essenza delle procedure periodiche di ripartizione e liquidazione. Poco alla
volta avevano però preso piede forme di utilizzazione di musica effettuate non
da esecutori presenti, ma a mezzo di registrazioni fonografiche (dapprima i
“quattro salti occasionali”, per arrivare ai balli pubblici con dischi) senza
l’intervento di un musicista. In questi casi la SIAE, pur incassando i dovuti
compensi per diritti di autore, non aveva preteso la redazione di un programma,
non fidandosi della capacità di un occasionale addetto al fonografo di redigere
correttamente e responsabilmente un formale “programma” con i dati ad essa
necessari. Dapprima la imprevedibile espansione delle esecuzioni fonografiche
fino al massiccio imporsi delle discoteche, poi le più varie utilizzazioni di
musiche d’ambiente (negozi, ristoranti, stabilimenti balneari) o di richiamo
(fiere, eventi sportivi, commercio ambulante, ecc.) e infine la capillare
diffusione di apparecchi riceventi di programmi radiofonici e televisivi in
pubblici esercizi, studi professionali, laboratôri, ecc. hanno dilatato a una
dimensione impensabile l’ammontare dei diritti non accompagnati da un
corrispondente programma musicale. Per ultime, le emittenti locali, specialmente
le radio, utilizzano giornalmente una enorme quantità di musica; per redigere i
relativi programmi dovrebbero assumersi costi di gran lunga superiori
all’ammontare dei diritti di autore corrisposti alla SIAE. Tutte queste somme
incassate senza programmi dovevano in qualche modo essere ripartite agli autori
ed editori con criteri che, almeno in teoria, rispecchiassero in qualche modo
seppure assai sommario la realtà dei repertori effettivamente utilizzati. Per i
balli con strumenti meccanici si provvide dapprima a distribuire i relativi
incassi a tutti gli iscritti proporzionalmente alle ripartizioni di cui essi
avevano beneficiato in base ai programmi dei balli con orchestrina, nel
presupposto – inizialmente abbastanza fondato – che in ambedue i settori si
utilizzasse lo stesso repertorio di “ballabili”. Quando la SIAE, con la
soppressione della SEDRIM
(Società
Esercizio Diritti Riproduzione Meccanica
Il confronto giornaliero con la problematica corrente mi porta ad impegnarmi per incidere sulla mentalità dei miei collaboratori e per rivedere una quantità di luoghi comuni. E’ un impegno continuo che scaturisce dalla dialettica fra mentalità diverse, di cui una – la più diffusa – è quella del “queta non movere” e l’altra, la mia, porta a ridiscutere tutto senza troppi rispetti per i valori acquisiti e le abitudini radicate.
Ad esempio, la Sezione ha un ufficio Protocollo che impegna tre impiegati di cui uno di categoria di concetto. L’ufficio riceve tutte le lettere in arrivo, le protocolla, ne registra mittente, data, argomento e ufficio operativo al quale esse vengono passate per competenza; l’ufficio registra anche le lettere in partenza, indicando ufficio competente, data, destinatario, argomento; lettere in arrivo e lettere in partenza di una stessa pratica vengono collegate nel registro con appositi rinvii. Questo sistema dovrebbe permettere di seguire con precisione l’iter di qualsiasi pratica; ma io vedo che si perde sempre molto tempo alla ricerca di pratiche da un ufficio all’altro. Un bel giorno, mi decido a sopprimere l’ufficio Protocollo, tenendo presente che comunque esiste il Protocollo generale della Società, fra le proteste e le preoccupazioni degli addetti che vengono recuperati per altri lavori (il personale, circa 150 dipendenti della Sezione, è sempre insufficiente laddove serve davvero). Dopo di allora, si è continuato a perdere tempo come prima alla ricerca di certe pratiche, ma risparmiando i tre dipendenti.
Il rigoroso rispetto delle cosiddette vie gerarchiche dovrebbe impedirmi di ricevere il funzionario responsabile di un settore di lavoro il quale dipenda da uno dei vice direttori della Sezione e tanto più dovrebbe impedirmi di chiamare direttamente uno di questi funzionari o un qualsiasi impiegato scavalcando il vice direttore competente. Con un minimo di discrezione, mi sono sempre infischiato di questi criteri formalistici. E ciò in particolare quando mi accorgevo che una pratica da me affidata personalmente al vice direttore competente non riusciva a camminare, per la incapacità di costui di cavar un ragno dal buco. Il giovane funzionario che veniva da me con l’ansia di imparare, di capire i termini di impostazione dei problemi, era sempre il benvenuto: mi faceva piacere istruirlo e verificare gli esiti delle spiegazioni impartitegli. Se avevo bisogno di dati tecnici (ad esempio, di contabilità o di operazioni di ripartizione), chiamavo sempre l’impiegato specificamente impegnato, ad evitare che la richiesta indiretta si perdesse per strada o venisse male interpretata, come spesso avveniva.
Gli uscieri, questa istituzione tipicamente italiana: non fanno parte del ruolo della Sezione, ma sono governati direttamente dal Servizio Provveditorato secondo le necessità dei vari settori; vengono assunti senza concorso e ciò fa lievitare sensibilmente il loro organico; esiste un “mansionario” che fissa le mansioni svolte dagli uscieri, così come di tutti gli altri gradi e categorie del personale, in uno spirito tipicamente statalista. Un giorno ho da far trasportare una macchina da scrivere dal mio studio alla mia segreteria; chiamo per questo l’usciere che in quel momento staziona nei pressi (non è il mio solito rispettoso Rocco marsicano) il quale mi eccepisce che il trasporto di pesi non fa parte delle sue mansioni e che pertanto debbo chiedere al Provveditorato l’intervento di un “uomo di fatica”; poiché però per i dirigenti di grado II non esiste un mansionario che ne fissi i compiti, io mi posso permettere di fare personalmente il trasporto della macchina da scrivere; sono poi le impiegate della Segreteria che, come erinni, daranno una dura lezione all’usciere obbiettore.
Ho il lavoro arretrato nella archiviazione dei bollettini di dichiarazione delle opere, migliaia di moduli già trattati che vanno inseriti nella raccolta generale in ordine alfabetico di compositore. E’ assolutamente necessario che i bollettini siano immediatamente disponibili per consultazioni e capita spesso che si debba andare a cercarli confusi nei mucchi da archiviare, con gran dispendio di tempo. Mi decido ad assegnare ad un usciere questo compito; scoppia uno scandalo, con reazioni energiche del Servizio Provveditorato che si richiama al solito “mansionario”; controbatto che in Italia è ormai obbligatoria per tutti la frequenza della Scuola Media; è da presupporre quindi la conoscenza dell’alfabeto anche da parte di un usciere; poiché il dipendente interessato non fa obiezioni e si sente anzi gratificato dall’incarico, egli farà il lavoro con straordinario profitto e con la tacitazione di tutte le obiezioni altrui.
Il clima sindacale in SIAE presenta due poli: un sindacato cosiddetto autonomo, espressione delle esperienze aziendali e normalmente maggioritario, ad indirizzo pragmatico; i sindacati cosiddetti confederali, inquadrati nelle grandi organizzazioni nazionali CGIL, CISL e UIL, con qualche prevalenza della prima, evidentemente politicizzati, specie la CGIL. Le confederazioni nazionali hanno ottenuto il cosiddetto Statuto dei lavoratori, un codice che credo contenga le conquiste sindacali più avanzate raggiunte nel mondo occidentale. Questa normativa deve tutelare i lavoratori dipendenti dalle angherie dei datori di lavoro; applicata dai cosiddetti pretori d’assalto (i magistrati giudicanti dell’ultima generazione), essa consente ai lavoratori più furbi di fare il proprio comodo praticamente senza rischi. La SIAE, come ogni azienda, sa che deve tenersi un certo numero di dipendenti senza poter contare gran ché sulla loro produttività. Alla Sezione Musica ho quattro o cinque di questi soggetti, un po’ più di quanto mi spetterebbe in media tra le varie Sezioni e Servizi perché – mi dice il Capo del Personale – non si possono assegnare queste persone alle unità operative più piccole: “Tu alla Musica puoi nasconderli meglio”. Uno di questi è un certo Romeo Provinciali, militante nella CGIL, che è anzi una specie di ideologo del sindacato; lui non ha cariche sindacali operative, ma è colui che redige con molta bravura i proclami sindacali, le analisi della situazione, gli argomenti polemici e gli attacchi all’azienda; per il resto, egli vive tranquillo in un angolino dell’Ufficio Contabilità della Sezione senza dare fastidio a nessuno e senza nessun compito di lavoro specifico; il suo capo ha provato qualche volta ad assegnargli un lavoretto, ma lui, senza rifiutarsi espressamente, continua a non fare nulla. In un certo periodo di relativa bonaccia sindacale egli resta a lungo inoperoso e io ho l’impressione che cominci a sentire qualche disagio vedendo gli altri impiegati del settore arrancare appresso ai flussi di lavoro sempre più pressanti. Un bel giorno lo chiamo con la scusa di affidargli un piccolo incarico estemporaneo e lo vedo arrivare sorpreso, ma premuroso. Dopo avergli parlato del lavoretto, che comunque sembra preoccuparlo per la necessità di superare la lunga estraneità alle faccende d’ufficio, parto all’attacco facendogli i complimenti per la qualità del suo apporto al sindacato, ma chiedendogli di spiegarmi come mai un sindacato di “lavoratori” dedichi tanto impegno a difendere i fannulloni infischiandosi dei colleghi che veramente lavorano e che per questo vengono visti come servi del padrone. Riprenderemo questo tema in un paio di incontri successivi, durante i quali vedo che sta maturando una sua crisi probabilmente da qualche tempo in incubazione. Nel volgere di poche settimane, egli mi chiederà che gli venga assegnato uno specifico settore di lavoro: avrà l’incarico di occuparsi delle complesse pratiche che riguardano l’IVA corrisposta dalla SIAE sulle fatture emesse dagli editori, disimpegnandosi abbastanza bene, e non si occuperà più di questioni sindacali.
Avviene correntemente che da più parti e soprattutto dall’estero pervengano richieste intese a conoscere l’indirizzo di un editore iscritto alla SIAE. Vedo che l’ufficio competente della Sezione, seguendo un criterio consolidato, si rifiuta di fornire il dato richiesto, in nome della privacy. Faccio presto a far capire che l’editore è un operatore commerciale che ha tutto l’interesse a presentarsi sul mercato e noi dobbiamo semmai aiutarne la reperibilità. Le obiezioni del personale addetto ritornano invece se l’indirizzo richiesto è quello di un autore; rispondo che la richiesta venga inoltrata all’autore interessato che penserà egli stesso a prendere semmai contatto con il richiedente; a volte però le richieste sono pressanti per stabilire una collaborazione urgente; ordino di fornire direttamente l’indirizzo richiesto se questo si trova pubblicato negli elenchi telefonici o in annuari o in altri elenchi comunque diffusi in pubblico.
Un pullulare continuo di vertenze di ogni tipo deriva dalla applicazione, da parte delle nostre Agenzie, di criteri disparati ed estemporanei nella determinazione della “pubblicità” delle esecuzioni musicali ai sensi dell’art. 15 della legge sul diritto di autore, di quelle cioè per le quali occorre munirsi del preventivo permesso dell’autore e, per esso, della SIAE. La legge precisa che “non è considerata pubblica l’esecuzione dell’opera entro la cerchia ordinaria della famiglia, del convitto, della scuola o dell’istituto di ricovero, purché non effettuata a scopo di lucro”. I nostri Agenti sono per lo più mossi da eccesso di zelo (salvo i pur frequenti casi di negligenza e incuria), che dà luogo sovente a contestazioni anche seccanti per una esosità eccessiva della SIAE. Mi dicono i miei collaboratori che la legge è molto chiara e che perciò ogni esecuzione, dal vivo o con apparecchi meccanici o radioriceventi, che avvenga in luogo pubblico o aperto al pubblico deve essere soggetta a pagamento di diritti alla SIAE. Mi decido ad emanare una circolare che chiarisce come debba essere considerata pubblica per la SIAE la esecuzione che sia offerta e destinata al pubblico; non va considerata tale la radiola che il tabaccaio ha nel suo negozio per il suo uso personale, dato che il pubblico dei clienti non è uso intrattenersi nel negozio e quindi non è esso il destinatario della musica; parimenti, il tizio che nei giardini pubblici porta con sé la radiola o il mangiacassette e non aduna gli astanti per far sentire musica; così, l’appartamento con finestre aperte dalle quali si possa ascoltare dalla strada l’apparecchio televisivo azionato ad alto volume; è pubblica invece l’esecuzione di un venditore che dalla bancarella richiama la clientela con radio o giradischi. Pare che la circolare abbia finalmente pacificato i rapporti con le associazioni di categoria interessate.
Un mattino mi sentii chiamare al telefono d’ufficio da Delia Scala, che voleva sapere le ragioni per le quali la SIAE, nelle manifestazioni musicali per beneficenza, faceva sempre pagare i diritti di autore. Le spiegai che la SIAE come ente partecipava con proprie offerte a talune raccolte di contributi, come aveva fatto proprio pochi giorni prima per una calamità nazionale, prelevando una importante somma dal proprio bilancio; ma non poteva rinunciare ad incassare i diritti di autore, e cioè non poteva disporre di somme che spettavano agli aventi diritto delle musiche utilizzate, senza un loro formale consenso preventivo. Lei reagì con una certa asprezza alle mie spiegazioni. Uscito appena dopo dalla mia stanza, incontrai un usciere che rimase assai sorpreso nel vedermi: aveva ascoltato una rubrica radiofonica sentendo la mia conversazione con la Scala e quindi credeva che io fossi in RAI: a me comunque non era stato detto che stavo parlando in diretta alla radio.
Liliana Pannella, la sorella del celebre Marco, mi aveva conosciuto in SIAE accompagnando da me il compositore suo amico Valentino Bucchi che morì prematuramente poco dopo e di cui ella ebbe a curare la memoria anche attraverso un prestigioso concorso annuale di composizione a lui intestato. Nel 1979 ella conduceva un programma radiofonico settimanale dedicato ai problemi strutturali delle attività musicali. Volendo mettere a fuoco la funzione degli editori musicali, ai quali era solita rivolgere vivaci critiche, chiese al Presidente della SIAE di intervenire alla trasmissione per partecipare al dibattito. Data l’assoluta impossibilità del Presidente Conte di accettare l’invito per un importante impegno ineludibile, si ricordò di me. Partecipai così alla trasmissione dagli studi di via Asiago - una tavola rotonda - e dovetti chiarire le funzioni dell’editoria musicale, di cui i compositori difficilmente possono fare a meno se vogliono raggiungere con la massima efficacia i circuiti di produzione delle attività musicali e, insieme, dedicarsi a tempo pieno e con animo libero alla loro professione; la discussione fu inasprita con l’intervento di Mimma Guastoni di Casa Ricordi chiamata per telefono, in polemica con la Pannella. Fui chiamato di nuovo qualche settimana dopo per un seguito di dibattiti sullo stesso argomento.
Nel medesimo torno di tempo fui impegnato negli studi di via Po dai quali la RAI trasmetteva i suoi programmi per l’estero, per una intervista di primissima mattina in merito alle funzioni svolte dalla SIAE per la tutela degli autori.