Vincenzo Cherubini

Poesie

 

Copyleft © Emilioweb settembre 2009, 2010

Piazza Umberto Primo

Centrale tu sei di tutte le piazze

di questo paese che Luco si chiama,

sei posta in un luogo con tanta saggezza

dove gente di ogni razza e colore richiama.

Sei lì da sempre aspettando tutti

politici e religosi, viandanti e curiosi;

sei lì di guardia, vegliando i tuoi protetti

buoni cattivi e armoniosi.

Piazza spaziosa ed accogliente,

alberata da tigli profumati,

con panche per il riposo della gente,

e lampioni dai balconi illuminati.

Piazza degli infantili giuochi,

luogo dai tanti ricordi

dove in mezzo metteano gli astanti biechi

il povero Giammarin rissoso e torvo.

In ginocchio vendetta gridea verso il Don

che il sal gli avea negato.

Pachi [= paghi?] gli astanti che l'avean incitato,

mentre il prete sul piccolo ripiano

guardava di soppiatto ed adirato.

Dove sorgean pupazzi nell'innevata piazza,

creati da ragazzi di un'antica razza.

Piazza superba e imperiosa

che domini dall'alto come una madre sposa

la fucense e fertile pianura,

che è l'orgoglio della marsicana cultura.

Il fossato

Giù nel fossato si sente cantar

sono le donne che stanno a lavar.

Si sente Maria che pare un soprano

mentre le altre fan piano piano.

Il controcanto è affidato a Letizia

lei è davvero senza malizia,

poi c'è Carmela che si dimena

per imitare suor Filomena.

Poco si sente cantare Patrizia

lei sì che è una delizia.

Come è bello lavar nel fossato

quando si è innamorato.

Come è bello lavar nel fossato

quando si è senza pensieri e un po' fortunato.

Non pensare ai ricordi di ieri

perché son tristi e neri,

pensiamo ad oggi e al domani

e non rimanere con le mani in mano.

Vogliamo una fontana coperta

perché con noi viene anche Berta

essa è malata un po' delicata

alla fontana coperta è più riparata.

Come è bello lavar nel fossato

quando il tempo è buono e rasserenato.

Come è bello lavar nel fossato

quando c'è il sole e non è bagniato [sic].

L'emigrante

Partii e ti salutai, paese mio,

andai lontano ma non ti detti l'addio.

Andai via con una viva speranza,

che non mi sarebbe stata dura la lontananza.

Lontano da te non ero mai stato,

se non quel lungo anno da soldato.

Sono emigrante in terre lontane,

l'amore per te è grande e immane.

Sono andato via come un vagabondo,

ed ho vagato buona parte del mondo.

Ho girato villaggi, paesi e città,

con tanto coraggio e senza viltà.

Il lavoro ho trovato, la vita si addice,

lontano da te, non sono felice.

Quando la sera vado al letto e non posso dormire

i tuoi ricordi mi fanno soffrire.

I miei ricordi sono gli amici, paese mio,

la mia amorosa e i conoscenti, paese mio.

Le passegiate in loro compagnia,

stare con essi in armonia.

Ballare con esse, giocare con loro,

questo ho lasciato per trovare lavoro.

Una speranza la tengo nel cuore,

che un giorno ritorno all'amore.

Tanto tempo è passato da quanto [= quando] sono partito,

sono un figlio dei tanti che t'hanno lasciato,

ora sono da te, sono tornato.

Quella speranza da tempo agogniata,

senza sorprese ma s'è avverata.

Or, una promessa, paese mio, voglio fare,

non mi voglio da te allontanare.

La solitudine

Sono nato nel prato, vissuto in giardino

guarda che strano questo buffo destino.

Soro andato lontano, con vitto e bagaglio

in un luogo a mo' di serraglio.

Ero allegro, pieno di vita,

ora piango e mi conto le dita.

La colpa non è d'altri ma solo mia

è la tristezza che mi fa compagnia.

Non dico a nessuno la mia tristezza

la tengo con me con tanta amarezza.

Quando la sera vado a dormire

dallo sconforto vorrei morire.

Mi desto al mattino con tanta lentezza

per non dire buon giorno tristezza.

Vago per casa per perdere tempo,

una speranza dentro la tengo,

per un giorno lontano che sia

che faccio ritorno in casa mia.

Non serve ricchezza né bramosia

quando sei solo e non hai compagnia.

Vorrei al mondo gridare

qual è la pena che devo pagare.

La vetta (Coppetello)

Scarponi, bastone e cappello

per salire su in cima a monte Coppetello.

Siam partiti in quattro alle sei e mezzo

con scarso equipaggíamento e nessun attrezzo.

Siam partiti con tanta foga,

all'inizio la fatica sembrava poca.

Ma quando siam giunti alle prime castagne,

tutti avvertivamo le prime magagne.

La fronte si riempiva di rugiada

e un frigolio appariva nella schiena un po' piegata.

Ma quando già arrivati in via pianella

l'escursione sembrava più bella.

Ci siam fermati per guardare la vetta

la cima si vedeva più netta.

La via era scoscesa e piena di sassi

accorcevamo sempre i nostri passi.

Giunti al tratturone, larga, piana e piena di foglie

era una delle tante meraviglie,

ci riposammo, prendemmo fiato,

eravamo un quartetto libero e affíatato.

Rialzarsi fu duro ma riprendemmo i nostri passi

per la via pianeggiante e senza sassi.

Il tratturo era lungo a galleria

con i rami curvi in allegria.

Le pareti verdeggianti dalle foglie vegetantí

il pavìmento vellutato dalle foglie cadenti e colorate,

era il dono della natura dalle meravig1ie incorniciate.

La pianura era finita;

ora ci aspettava la salita.

Il tratto era corto, la cima già vicina,

la via era rocciosa a serpentina.

La fine è sempre un po' più dura,

l'ultima fatica fu la radura.

La vetta rocciosa e frastagliata

da noi per tanto tempo agognata

fu al fin conquistata.

LA PRIMA VOLTA CHE VIDI LUISA

Davanti al cancello stavo a guardare,

ed un fiore lo [= io?] vidi passare,

sopra il calesse ella guidava

lo storno cavallo che correva correva,

le redini in mano e una bianca maglietta,

sembrava ai miei occhi una reginetta.

Chiesi a me stesso, chi è costei?

a tutti i costi voglio parlare con lei.

Chiesi chi era e dove abitava,

la stessa sera ero con lei che mi parlava,

chiesi il suo nome con guisa,

ella rispose: il mio nome è Luisa.

Parlammo di tutto e gli dissi chi ero,

a me non importa, mi piaci davvero.

Il chiaror della luna e una frivola brezza

mettevano in luce la sua gaia bellezza,

Il caldo di luglio, il mese era quello,

domenica sette il giorno più bello[1].

Amore gli chiesi con tanto fervore

dimmi che m'ami senza stupore,

chinò il capo in segno di assenso,

senza parlare capii lo stesso.

Rimanemmo per poco senza fiatare

dopo un minuto riprendemmo a parlare.

Tanto parlammo che di tutto dicemmo,

una promessa noi la facemmo.

Passò del tempo fra screzi e armonia,

arrivammo alle nozze con allegria.

La bella promessa da noi fatta

arrivò al traguardo intera e intatta.


[1] Noiosa nota cronologica: «Il caldo di luglio, il mese era quello, domenica sette il giorno più bello». L'incontro ha luogo il giorno 7 luglio, quando questo cadeva di domenica. I manuali di cronologia registrano queste possibilità: 1935 (Pasqua 21.IV), 1940 (id. 24.III), 1946 (id. 21.IV), 1957 (id. 21.IV). Incontro di Vincenzo e Luisa avvenuto nel 1946?

Il 20 agosto 2010, ospite in casa di Vincenzo e Luisa, li ho visti ancora innamorati!


La nascita di Antonella

Uscimmo di notte con il chiaror della luna,

partimmo per Roma a cercare fortuna,

fortuna facemmo ma non di moneta,

nella nostra casetta apparì una cometa,

essa lucente, disse "è arrivata

la vostra fanciulla da tempo aspettata".

Il visino era tondo, gli occhi vispetti,

insomma, era intatta, senza difetti.

La mamma guardò la piccina, disse: sei bella

senz'altro ti chiameremo Antonella.

Smorfiando dalla tanta fatica,

mormorò - che Dio ti benedica.

Nacque di maggio in un giorno di storia[2],

fu per noi una grande vittoria.

Il male ere vinto e la mamma guarita,

nemmeno un ricordo dell'enorme ferita.

Lo strazio finì con l'immenso dolore,

la natura in compenso regalò un bel fiore.

Il fiore era nato, già nella culla,

incominciava la vita di una bella fanciulla.

Era biondina, un po' paffutella,

riempiva la casa, la faceva più bella.

Battezzata fu ella, dai cappuccini nella cappella.

Gli fu imposto il nome di Antonella.


[2] = 1 maggio?


La mamma

Mamma che nome, in sé racchiude un mito

dono della natura tanto gradito.

Essa mette al mondo la sua prole

con tanto amore e poche parole.

Custodisce con gioia la sua creatura,

provvedendo alla generazione futura,

la tiene in braccio e nella culla,

la fatica per lei è proprio nulla.

Le dà il latte, la stringe al petto,

con molto amore e tanto affetto.

Cresce i suoi piccini nella vita,

anche se questa non è buona e poco gradita.

Essa porta a termine il suo mandato

che madre natura gli ha comandato.

Mamma che nome, esso và pronunciato dal debole e dal forte

insomma da tutti, anche dai vecchi, prima della morte.

finis

 

 

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