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 II - Fortune e sfortune d’una famiglia del popolo grasso: 
i Girolami

3. L’occupazione del potere politico

Tra i priori cittadini in carica dal 15 ottobre 1301 e deposti dai neri il 7 novembre, prima della scadenza del bimestre priorale, c’era Girolamo di Salvi del Chiaro, nipote di fr. Remigio. Nei primi mesi del 1302, durante il periodo delle condanne e dei bandi, Girolamo con i fratelli Chiaro e Mompuccio - gli stessi che nella spaccatura dei guelfi in bianchi e neri s’erano schierati con i bianchi di Vieri di Torrigiano dei Cerchi - furono mandati al confino. In novembre 1302 Girolamo e Mompuccio vennero accusati d’omicidio; dei due, Girolamo fu condannato e i suoi beni confiscati. In primavera 1304 due Tornaquinci assalirono Cardinale di mr Alberto dei Girolami e lo lasciarono a terra in fin di vita; il popolino ebbe un sussulto di rabbia, corse al palazzo dei Tornaquinci e vi appiccò il fuoco. Sono gli anni del De bono comuni e De bono pacis. L’intreccio dei due trattati con i fatti di Firenze e i forti vincoli parentali che caratterizzano le aggregazioni sociali della classe dirigente fiorentina rendono ineludibile il discorso sulla famiglia dei Girolami, tipica rappresentante delle rapide fortune del nuovo ceto urbano del secondo Dugento, testimone in proprio delle fratture consortili in bianchi e neri, comprotagonista negli anni del predominio dei guelfi bianchi, vittima del rovesciamento di fronte seguìto alla venuta in Firenze di Carlo di Valois, eliminata dalla scena pubblica dal ricambio del ceto politico operato dalle crisi del Trecento inoltrato.

In verità né gli scritti né la biografia di Remigio portano tracce d’un qualche nepotismo. A ben considerare anzi la notevole documentazione raccolta sui Girolami e su Remigio (frutto di spoglio non esaustivo ma certamente molto ampio dei fondi diplomatici e notarili), in cui il frate fiorentino mai appare in atti riguardanti i suoi consorti, verrebbe da pensare che costui si sia intenzionalmente tenuto a disparte delle attività politiche e transazioni economiche dei parenti; ipotesi corroborata dal fatto che altri frati contemporanei di Santa Maria Novella compaiono non infrequentemente in documenti relativi ai loro congiunti, come risulta dalle notizie biografiche di Necr. e integrate - secondo l’occorrenza - nelle note di questo stesso lavoro. Ma a parte l’importanza dei già detti vincoli consortili, il convento mendicante, insediato nel cuore sociale della città, intrattiene con questa costanti e tenaci rapporti che vanno dal reclutamento al sostegno economico. Molti frati sono figli e fratelli dei protagonisti della vita cittadina, taluni di quest’ultimi compaiono nelle vicende interne del convento o negli atti che tessono i rapporti convento/città, dalla richiesta di sovvenzione pubblica alla donazione, dal legato testamentario al disbrigo di pendenze legali, dal regolamento di liti ereditarie alla celebrazione di feste cittadine, dalla riscossione da usure e «de incertis» alla mediazione in atti di pace, dall’acquisto di tombe patronali nei recinti conventuali all’adesione all’ordine della Penitenza. Basti ricordare, oltre ai Girolami, i casati del ceto dominante, spesso protagonisti della vita cittadina di quei decenni, che hanno uno o più frati in SMN: Acciaioli, Adimari, Antellesi, Ardinghi. Bardi, Becchenugi, Bordoni, Bostichi, Cavalcanti, Chiermontesi, Donati, Gualterotti, Infangati, Mannelli, Medici, Minerbetti, Monaldi, Nerli, Pulci, Rigaletti, Rinuccini, Salterelli, Sassetti, Scolari, Soldanieri, Siminetti, Strozzi, Tornaquinci, Ubaldini, Vecchietti, Villanuzzi, Visdomini. Nella documentazione rimessa nelle note s’intravedono non pochi fili di tale fittissima rete. È il convento, dunque, e la sua collocazione urbana che dà dimensione sociale alle espressioni pastorali oratorie e teologiche dei suoi frati. Remigio, al pari d’altri eminenti frati del suo tempo, non esprime soltanto se stesso; esprime anzitutto una pubblica istituzione religiosa, che ha ormai acquisito un peso e un ruolo considerevole nella vita civile della città. Sistematiche ricerche sulle famiglie dei frati getterebbero non poca luce sui rapporti “reali” del convento con la città; ma renderebbero soprattutto ragione della funzione pubblica svolta dal convento negli eventi cruciali che investono la storia della città. A questa il convento mendicante è strutturalmente sussidiario.

Nessun riscontro documentario di quanto la cronaca malispiniana riferisce in termini alquanto leggendari: «E gli Amidei furono gentilissimi uomini, e 'l simile furono i Girolami, che furono di ceppo e d’armi discesi di messer santo Zenobio, che fu vescovo di Fiorenza, e poi vennono a stare presso a loro i Gherardini, che vennono di contado» (Ricordano Malispini, Storia fiorentina c. 103: ed. V. Follini, Firenze 1816, rist. Roma 1976, 86; qui e altrove mostra di conoscere solo i più tardivi Girolami di Santo Stefano a Ponte). Né trova conferma nelle fonti fiorentine quanto in Delizie VII, 163, dove nella lista delle famiglie «che solo potevano havere in casa il supremo honore del consolato» (ib. VII, 156) compare per il sesto San Pancrazio «Girolami, parte»; cf. O. Hartwig, Quellen und Forschungen zur ältesten Geschichte der Stadt Florenz II, Halle 1880, 179-208 (lista dei consoli e podestà); P. Santini, Documenti dell’antica costituzione del comune di Firenze, Firenze 1895; Id., Documenti dell’antica costituzione del comune di Firenze. Appendice, Firenze 1952. Probabilmente l’Ottokar riecheggia queste fonti quando inclina, senza darne prova documentaria, a riallacciare i Girolami «all’antica nobiltà cittadina» (N. Ottokar, Il Comune di Firenze alla fine del Dugento, Firenze 1974, 67; cf. 38 n. 2, 97 n. 2; Detentori 196-97).

Nella storia del casato non ci è dato risalire oltre il primo ventennio del ’200; nessun Girolami risulta essere stato armato cavaliere (uno solo porta il titolo di dominus ma perché giudice); il nome del casato «dei Girolami» compare la prima volta nel 1267 (v. sotto nota 86  = nota 79 in ediz. seconda in corso di stampa, correzione bozze dic. 2012!). Il vanto del riallaccio genealogico a san Zanobi (v sec.) potrebb’esser sorto all’interno del casato stesso (e ciò spiegherebbe la notizia del Malispini), almeno del ramo dei Girolami del popolo Santo Stefano a Ponte, sesto San Pier Scheraggio; in AAF, Campione vecchio di città f. 138v si apprende che i Girolami avevano il giuspadronato d’una cappella nella chiesa Santo Stefano a Ponte dedicata a san Zanobi: «Cappella sancti Zenobii. Patrona familia de Hieronimis». Il documento è settecentesco ma utilizza fonti anteriori; la prima registrazione della nomina del cappellano risale al 1543 (ib.). A.F. Verde, Lo Studio Fiorentino 1473-1503, Pistoia-Firenze 1973-1994, III/2, 849, 1097; IV/2, 512, 696-700; IV/3, 1500; V, 530 "bancho de' Girolami" 5.II.1486/7, 531-32; A.F. Verde, Lo Studio Fiorentino 1473-1503, vol. VI (2010) Indici, a cura di R.M. Zaccaria, p. 225a, lista della voce "Girolami ". Cf. Sepoltuario di S. Stefano a Ponte (spoglio di S. Rosselli, xvii sec.): BNF, cod. II.I.125, pp. 196 n° 13, 198 n° 38, 200 nn. 59, 60. Tali elementi leggendari si ritrovano nell’opera di Iacopo Mindria 1510 secondo cui il monastero San Michele a Passignano sarebbe stato fondato «per reverendissimum patrem Zanobium episcopum florentinum et nobilem Sichelmum germanos et filios olim Benedicti de Ieronimis patritii florentini»; confusioni onomastiche, e in parte manipolazione dei documenti, sono denunciate in F. Soldani, Lettera sesta sopra la fondazione e patronato del monastero di San Michele a Passignano, Firenze 1750, 6 ss.

 Nell'edizione a stampa, MD 16 (1985) 44 n. 75 ultimi quattro righi, ignora riferimento a C.C. Calzolai, La chiesa fiorentina, Firenze 1970, 87, dove «appartenuto prima ai Girolami» è mia corriva lettura in luogo di «appartenuto prima ai Girolamini» (ohi ohi!), ovvero agli Eremitani di San Girolamo: «Dizionario degli istituti di perfezione» 3 (1976) 1203-04; 4 (1977) 1493-94.

Le origini

Il primo attendibile dato che possediamo sui Girolami è in rapporto alla costituzione del fondo patrimoniale i cui frutti erano destinati «ad usum pauperum» e al sostentamento dei frati Predicatori entrati in possesso nel 1221 della chiesa di Santa Maria Novella. Il 14 novembre 1228 furono acquistate a nome del priore fr. Giovanni da Salerno dieci pezze di terra nel piviere San Giuliano a Settimo al prezzo di l.(=lire) 455 di denari pisani della vecchia moneta da lascito di Berlinghieri di Girolamo. Queste, e altre proprietà fondiarie, vennero affidate all’amministrazione dell’ordine della Penitenza, e solo nel 1304-05 furono riportate - come sappiamo - sotto la diretta amministrazione dei frati.

«Totas predictas decem petias terrarum et rerum venditas omnes et singulas... predicti Guidingus medicus et Manellus emerunt ex pecunia sive de pecunia quam olim Berlinghieri Ierolimi, vir religiosus et bone memorie, donavit priori ecclesie Sancti Stephani, recipienti pro magistro Iohanne priore ordinis fratrum Predicatorum Sancte Marie Novelle, ut ex pecunia donata predia emerentur ad usum pauperum in perpetuum, et fructus et obventiones eorum et predia sint profutura ad usum pauperum et ad pias causas secundum provisionem magistri Iohannis prioris ordinis Predicatorum Sancte Marie Novelle eiusque pro tempore in eodem loco successorum, et vere predicte terre et predia empta debeant coli et gubernari, et fructus et obventiones eorundem exigi et recoligi per eum quem sepedictus magister Iohannes vel eius successores pro tempore illic dixerint ordinandum, ita ut fructus et obventiones predictarum terrarum et prediorum in usibus pauperum sive ad usum pauperum et ad pias causas perpetuo deputentur et distribuantur secundum provisionem sepedicti magistri Iohannis prioris de Sancta Maria Novella eiusque pro tempore successorum» (Meersseman, Dossier 181-82: ASF, S. Maria Novella 14.XI.1228, copia eseguita al tempo del vescovo fiorentino Francesco 1295-1301; le terre misuravano in toto staiora 89, panora 40,5, piedi 12, equivalenti a  m2 8.500 ca.). Per tutta la questione ib. 11-16, 180-90, 221-40, 264-75. All’atto del 20. XI.1304 (pp. 270-74) si ricongiunge ASF, Notar. antecos. 3141 (già B 2127), ff. 3v-4r (23.XI.1304).

Va detto comunque che l’appartenenza di Berlinghieri ai Girolami non è aliena da qualche dubbio, dovuto all’incompletezza onomastica e topografica (popolo e sesto) che caratterizzano i documenti più antichi del Dugento. Ma la ritengo molto probabile per più ragioni. Perché il primitivo insediamento dei frati Predicatori fu in San Pancrazio (comunemente San Brancazio in volgare, popolo e sesto dei Girolami), perché il nome Berlinghieri  ritorna nell’onomastica di famiglia, e infine perché nell’atto di compera 1228 è presente fra i testi Biliotto di Girolamo, il cui figlio Girolamo risulta positivamente appartenere al sesto San Pancrazio. Infatti un Lapo di Berlinghieri di Biliotto in agosto 1260 s’impegna per sé e per lo zio Girolamo di Biliotto di Girolamo, per il sesto San Pancrazio, alla cavallata in preparazione della battaglia di Montaperti.

Berlinghieri di Girolamo. Il 9.III.1218 riceve il terreno destinato alla fondazione del monastero di Monticelli (Davidsohn II, 172-73. 195); 12.XI.1221 «Berlingherio Ierolimi» tra i testi nell’atto di licenza del card. Ugolino di vendita per ampliare l’abitazione dei frati Predicatori (ASF, S. Maria Novella 12.XI.1221, una delle due pergamene; cf. Fineschi 31-32); 10.IX.1222 «Berlingherio Geronimi» tra i membri della commissione istituita dal card. Ugolino per acquistare terreni e ampliare SMN «ubi fratres Predicarores bene atque congrue morari possent» (ASF, S. Maria Novella 10.IX.1222; cf. Fineschi 32-34); 1224-28: transazioni e donazioni riguardanti la fondazione dell’ospedale di Fontemanzina e costituzione del fondo patrimoniale dei frati Predicatori (Meersseman, Dossier 225-26; cf. Davidsohn VII, 95); a maggio 1228 Berlinghieri è ancora in vita; muore tra maggio e novembre 1228, come si ricava dai documenti di compera di terre per alimentare il fondo dei frati: 14.XI.1228 (ASF, S. Maria Novella 14.XI.1228 «de pecunia quam olim Berlinghieri Ierolimi vir religiosus et bone memorie donavit priori ecclesie Sancti Stephani») e 18.I.1231 (Meersseman, Dossier 181-83, 189-90). Latinizzato, l'antroponimo potrebbe comparire Berengarius.

Guido del Chiaro è da depennare dai Girolami (lo include Detentori 196 n. 50, nonostante i dubbi già espressi da Ottokar, Il Comune di Firenze 66 n. 2). Costui è dei consoli dell’arte di Por Santa Maria (15.V.1280: Consulte I, 27); dei savi preposti all’elezione del giudice degli appelli (6.XI.1285: ib. I, 323); riscuote 15 fior. d’oro (1.II.1286/7: A. Castellani, Nuovi testi fiorentini del Dugento, Firenze 1952, 392); priore nel bimestre dic. 1290 - febbr. 1291 per il sesto Borgo Santi Apostoli (Stefani rubr. 188; vedi rubr. 158 per i sesti nelle liste dei priori), il che esclude ogni legame con i Girolami. Suo figlio è certamente «Cambio di Guido del Chiaro» priore per il sesto di Borgo 1308 (ib. rubr. 267). Alta frequenza di omonimi nell’antroponimia fiorentina insidia costantemente ricostruzioni prosopografiche; ma un ragguardevole numero di dati certi permette di eliminare dubbi iniziali. Nomi quali Chiaro e Salvi sono comuni nel casato Girolami, ma un «Salvi filius olim Clari populi Sancti Georgii» (2.V.1281) o un «Salvi Guidi de populo Sancte Marie Maioris» (2.I.1307/8) o un «Clarus condam Salvi Guidi populi Sancti Iacobi Ultra Arnum» (15.I.1309/10) possono esser sicuramente eliminati in base al popolo.

Nella successiva documentazione darò di volta in volta gli elementi onomastici e toponomastici dei documenti che giustificano le scelte o che - secondo il caso - suppongono un’interpretazione o lasciano margini di dubbio.

Biliotto di Girolamo. ASF, S. Maria Novella 14.XI.1228: «in presentia Belliotti Ierolimi et Rustici Spavaldi notarii de Capalle...» (cf. Meersseman, Dossier 181, che trascrive: «in presentia Belliotti, Ierolimi, Rustici et Spavaldi notarii de Capalle...»). In un atto di pace tra Firenze e Pisa siglato in Santa Reparata 7.I X.1256: «Beliotti Ierolimi» (Delizie IX, 39). Risulta già morto nel 1269: «Gerolami q(uondam) Beliotti Gerolami».

«Pro Girolamo Beliocti Girolami, consignavit Lapus eius nepos et filius Berlinghieri unun equum pili nigri frontium balzanum de omnibus pedibus marcatum in spatula destra, consingnatum ad equitandum dictis Girolamo et Lapo vel alteri eorum» (Libro di Montaperti, ed. C. Paoli, Firenze 1889, 298; sono le consegne del sesto San Pancrazio fatte presso San Donato a Poggio 25.VIII.1260: ib. 291-308). «Ierolamus Beliocti» dei consiglieri del comune nell’atto della lega tra Genova Firenze e Lucca contro Pisa, 10.X.1251 (Santini, Documenti... Appendice, Firenze 1952, 27). «Girolamo del fu Biliotto di Girolamo» denuncia nel 1269, per il sesto San Pancrazio del contado, danni subìti durante il governo ghibellino (1260-66) di lire 40 e lire 10 per metà di case site rispettivamente in San Piero a Monticelli e a Mosciano, piviere di Settimo (Liber extimationum, ed. O. Brattö, Göteborg 1956, 67).

Chiaro di Girolamo, Alberto e Leone di Buonareddita, Girolamo di Biliotto

In preparazione della battaglia di Montaperti consegnano il cavallo per la cavallata, sempre per il sesto San Pancrazio, anche Chiaro di Girolamo col figlio Salvi, e Alberto di Buonareddita di Girolamo col fratello Leone.  «Chiarus Gerolami consignavit unum equum... consegnatum ad equitandum Salvi cius filio» (Libro di Montaperti, ed. cit. p. 298); quest’ultimo, «Salvi f. Clari Yerolami» è anche «bandifer banderie Mercati, pro sextibus Ultrarni et Porte Sancti Pancratii» (p. 15). «Albertus f. Bonareddite Girolami, pro se et Leone fratre suo, consignavit unum equum pili nigri balzanum de pedibus sinistris anteriori et posteriori» (p. 305).

La sconfitta subìta dai guelfi a Montaperti (4 settembre 1260) riporta a Firenze il dominio ghibellino fino al 1266, quando la lega guelfo-angioina scaccia di città i ghibellini e permette ai guelfi d’insediarsi definitivamente nel governo di Firenze. I Girolami non appaiono nelle liste (del resto lacunose) delle famiglie guelfe fuoruscite durante il periodo ghibellino (Detentori c. 2: I fuorusciti guelfi del 1260). Ma nel 1269 viene istituita una commissione sui danni subìti dai guelfi sotto il governo ghibellino. Nessun danno è denunciato dai Girolami del sesto San Pancrazio di città; mentre Girolamo di Biliotto di Girolamo dichiara, per il sesto San Pancrazio del contado, danni in due case, una sita nel popolo San Piero a Monficelli e l’altra in Mosciano, piviere di Settimo (oggi comune di Scandicci) per il valore totale di lire 50.

«De sextu S. Pancratii» . N° 340: «Gerolami Beliotti. § medietatem unius domus pop. S. Petri de Monticellis Gerolami q. Beliotti Gerolami, j via, ij d. Aliotti Cotennacii, iij via, iiij Arrichi Aldobrandi, l(ibr). 40. medietatem unius domus ipsius ad Moscianum plebatum Septimi, j via, ii her. Boncambii Soldi, iij fili Bonmandati, l(ibr). 10» (Liber extimationum, ed. cit. p. 67). Detentori 163, ignorando questo Girolami, marca «nessun danno» nella colonna «Danni» alla voce Girolami.

Nuovi e importanti ritrovamenti su Girolamo di Biliotto di Girolamo († 1282) in Nuova cronologia..., AFP 60 (1990) 157-58, 168-70, 170-71, 174-75.

L’entità del danno, se paragonata a quella denunciata da altre famiglie, è modesta. Né d’altra parte è possibile da quest’unica testimonianza dare risposta attendibile a domande di qualche importanza: Girolamo di Biliotto viveva in città nonostante la denuncia dei danni in contado? la denuncia dei danni significa necessariamente che andasse in esilio durante gli anni del governo ghibellino? La mancata dichiarazione di danni da parte d’altri membri della famiglia e la testimonianza dell’abitazione di Chiaro di Girolamo nel popolo e sesto San Pancrazio nel medesimo Liber extimationum (p. 62: torre e palazzo dei Villanuzzi, nella dichiarazione dei danni, confinano con la casa di Chiaro di Girolamo: «j via, ij Clari Gerolami... », e subito dopo un’altra torre «j via, ij Clari Gerolami...») fa pensare o che lo stato economico dei Girolami non avesse ancora raggiunto in quegli anni un livello considerevole o che il loro guelfismo non fosse tanto marcato da esporli alle rappresaglie ghibelline. Significativo comunque è il fatto che Chiaro di Girolamo invia il figlio Remigio a studiare nella facoltà delle arti di Parigi negli anni che coincidono col governo ghibellino; e in Parigi Remigio prende l’abito domenicano nel 1267-68 quando già licenziato in arti: la cultura mercantile dei fiorentini (A. Sapori, Studi di storia economica, Firenze 1955, 53-93) non disdegnava gli studi superiori delle arti liberali? o gli studi parigini di Remigio tradiscono l’esilio della famiglia?

In ogni caso, il guelfismo dei Girolami è fuori dubbio non soltanto a motivo della consistente partecipazione alla battaglia di Montaperti ma perché la partecipazione alle cariche pubbliche nel decennio del “primo popolo” guelfo, 1250-1260, è chiaramente attestata, oltreché nella persona di Girolamo di Biliotto di Girolamo, in Chiaro di Girolamo padre di fr. Remigio. Sarà consacrato nel lodo di pace del 1280 patrocinato dal cardinale fr. Latino d’Angelo Malabranca; mr Alberto di Leone e Lapo di Girolamo sono tra i 55 mallevadori di parte guelfa, e Girolamo di Salvi del Chiaro giura come guelfo l’osservanza del lodo.

Chiaro di Girolamo. Nel 1250 è degli anziani nel governo del “primo popolo” (Delizie VII, 102: «Chiarus Girolami»), e ancora il 10.XI.1251 (Santini, Documenti... Appendice, Firenze 1952, 25). Il 13.III.1258/9 è teste nella chiesa dei frati di Sant’Egidio in atto di donazione: «Chiaro Girolami de populo Sancti Pancratii» (G. Lami, Sanctae ecclesiae florentinae monumenta, Firenze 1758, II, 1292). Probabile il riallaccio a Chiaro di Girolamo della menzione della «torre fondata dei f (igli) Chari» [= Chiari?] e dell’«achusa dei f(igli) Chiari» del 1264 e 1267 nei libri di credito di Bene di Bencivenni del Bene (Castellani, Nuovi testi... op. cit. pp. 218, 223): della torre Girolami testimonia Villani VIII, 14, 41-42 (anno 1266). Non sappiamo quando sia morto Chiaro di Girolamo. Nell’atto di procura fatta da fr. Remigio il 16.X.1301 si dice «frater Remigius filius olim ser Clari Gerolami» (ASF, Notar. antecos. 3140, f. 53r); è l’unica testimonianza del titolo di «ser», proprio dei notai, attribuito a Chiaro di Girolamo; e potrebbe rivelarsi di notevole importanza per individuare le piste dell’ascesa sociale dei Girolami nell’ultimo quarto del xiii secolo. Suoi figli sono Salvi del Chiaro e fr. Remigio.

mr Alberto di Leone, Lapo di Berlinghieri, Salvi del Chiaro

Con mr Alberto di Leone, Lapo «Girolami» (= Lapo di Berlinghieri di Biliotto) e Salvi del Chiaro di Girolamo assistiamo attorno agli anni '80 a un salto di qualità nella carriera della famiglia. Da una parte si registra l’inserimento nelle arti maggiori (mr Alberto nell’arte dei giudici e notai, Lapo e Salvi in quella della lana), dall’altra si dà il via a una partecipazione intensa per tutto l’ultimo ventennio del secolo al potere politico, nei suoi massimi organi: governo dei Quattordici, priorato delle arti, consigli opportuni. Messer (= mr d’ora in poi) Alberto è l’unico Girolami che porta il titolo di dominus (messere); che gli compete non perché armato cavaliere (miles) o di ceppo nobiliare ma perché giudice.

Lapo di Berlinghieri di Biliotto. Teste 12.XII.1267 in atto di soluzione del comune fiorentino al vicario di Carlo d’Angiò: «Lapus Girolami» (Delizie VIII, 220); 18.II.1280, dei 55 mallevadori di parte guelfa, per il sesto San Pancrazio, nel lodo del card. Latino (La pace 225). 22.V.1280 sedici cittadini di Firenze, tra cui «Lapus Ierolami», nominano un procuratore nella causa che hanno col comune «Masciani» (ASF, Notar. antecos. 11250, f. 32v). 28.VI.1281 «Lapus Girolami» dei consoli dell’arte della lana (Consulte I, 55). Suo figlio è Vanni, che incontreremo nell’atto di pace tra Tornaquinci e Girolami; là si dirà che si tratta «de Girolamis populi Sancti Pancratii».

Mr Alberto di Leone. Amministra la giustizia nella curia del sesto di Borgo (= Borgo Santi Apostoli), «d. Albertus Leonis iudex»: ASF, Notar. antecos. 17563, ff. 20r (16, 18, 19.I.1272/3), 24r (7.XI.1273), 33r (6.I.1274/5), 33v (29.I.1274/5). Il 18.II.1280 è dei 55 fideiussori di parte guelfa nel lodo del card. Latino per il sesto San Pancrazio (La pace 225); prende parte attiva nei consigli opportuni e dei savi: 9.II.1279/80 (Consulte I, 15); 28.V.1281 (ib. I, 48); 28.VI.1281 (I, 55); 19.II.1281/2 (I, 66); 27.II.1281/2 (I, 70); 6.IV.1282 (I, 84); 7.IV.1282 (I, 85); 14.IV.1282 (I, 89). 28.VI.1281 console dell’arte dei giudici e notai (I, 55).  14.IV.1282 (I, 89) è ultima data conosciuta. Morì prima del 14.I X.1301 («Cardinale condam d. Alberti Leonis de Gerolamis»: ASF, Notar. antecos. 3140, f. 50r), e forse anche ante 1291-92, tempo della prima matricola sistematica dell’arte dei giudici e notai pervenutaci, dove il suo nome non compare (ASF, Arte dei Giudici e Notai 5, ff. 50r-63v). Suoi figli sono Lapo, Cardinale e Leoncino. Non saprei a che altezza dell’albero genealogico Leone, padre di mr Alberto, si ricongiunga con l’eponimo della famiglia, a meno che non vada identificato (e niente vi si oppone) con Leone di Buonareddita di Girolamo di cui sopra.

Salvi del Chiaro di Girolamo, fratello di fr. Remigio, è significativamente membro del primo governo dei Quattordici - magistratura sortita dalla riforma costituzionale del cardinal Latino - e membro del primo priorato delle arti (per l’arte della lana) che sostituisce i Quattordici e ratifica la supremazia politica della borghesia mercantile nella vita pubblica di Firenze; e priore sarà altre sei volte tra 1283 e 1295, ultima data conosciuta di Salvi.

«Salvi f. Clari Yerolami, bandifer banderie Mercati, pro sextibus Ultrarni et Porte Sancti Pancratii» (11.II.1260) e cavalca il cavallo consegnato (ag. 1260) dal padre (sesto San Pancrazio) per la battaglia di Montaperti (Libro di Montaperti, ed. cit. pp. 15, 298). 13. IV.1280 membro del primo governo dei Quattordici (Consulte I, 26); 11.III.1281/2 tra i revisori (sindaci) del capitano del popolo (Consulte I, 72); giug.-ag. 1282 priore, per l’arte della lana e sesto San Pancrazio, nel primo priorato delle arti (Stefani rub. 157; Compagni I, 4; Villani VIII, 79, 31; il bimestre priorale s’intenda sempre «da mezzo... a mezzo», nel caso dal 15 giugno al 14 agosto); priore ancora in dic. 1283 - febbr. 1284, apr.-giug. 1285, ott.dic. 1286, febbr.-apr. 1289, ag.-ott. 1292, ag.-ott. 1295 (Stefani rubr. 160, 162, 167, 179, 191, 210). Salvi morì tra ottobre 1295 e agosto 1299: «Ierolamus filius olim Salvi de Chiaro populi Sancti Pancratii… pro se et etiam pro Claro et Mompuccio fratribus suis et filiis olim dicti Salvi del Chiaro» (11.VIII.1299: Arch. Capitolo del Duomo di Firenze, Pergam. 189 (1299 D), cassa 22; cf. Lami, Sanctae ecclesiae florentinae... III, 1670). In un doc. 18.V1.1299 riguardante il figlio Mompuccio il notaio scrive «Mompi Salvi condam Clari» (ASF, Notar. antecos. 2963, f. 22r), il che permetterebbe d’inferite che Salvi morì tra giugno e agosto 1299; ma «Salvi» era stato omesso in prima scrittura e poi inserito in interlinea con segno di richiamo; il notaio l’ha integrato nel punto voluto? o intendeva scrivere «Mompi condam Salvi Clari»? Le matricole dell’arte della lana, distrutte in un precedente incendio, furono riordinate a partire da genn. 1318, come si apprende dal prologo della matricola pervenuta (ASF, Arte della Lana 18, f. 1r); solo raramente sono riportati i nomi degli iscritti anteriormente a tale data e non rimontano oltre il 1304.

Remigio nel primo sermone “De fratribus”, Custodite vos a murmuratione (Sap. 1, 11): «Potius vellem quod daretur de pecunia conventus vel etiam fratris mei quam quod aliquis iuste murmurare et turbari posset contra me, quia plus amari a vobis appeto quam timeri» (cod. G4, f. 363ra; medesimo sermone anche in ff. 102vb-103va, feria terza di domenica di Passione).

Figli di Salvi del Chiaro sono: Girolamo, Chiaro e Mompuccio. “Salvi” è diminutivo per aferesi di Dietisalvi: cf. O. Brattö, Studi di antroponimia fiorentina, Göteborg 1953, 119.

Di mr Alberto di Leone conosciamo due fratelli:

1°) Lapo di Leone, noto soltanto tramite i suoi figli Alberto, Matteo monaco vallombrosano e Bindo;

Alberto di Lapo di Leone. Il 24.I.1305/6 nella pace dei figli di mr Alberto di Leone con i Tornaquinci (ASF, Notar. antecos. 13364, ff. 88v-89r; questo doc., utilizzato più ampiamente in seguito, permette d’interpretare i dati onomastici delle altre testimonianze e identificare Alberto di Lapo di Leone). Il 21 e 22.I.308/9 i consigli dei cento, del capitano e delle capitudini delle arti approvano una «provisionem in favorem Alberti Lapi Leonis» di cui non si specifica il contenuto (Consigli II, 429). In febbraio 1314 è nelle truppe fiorentine di stanza a Pistoia in preparazione alla guerra contro Uguccione della Faggiola; testimonianza d’importante atto notarile che registra la paga ai soldati fiorentini, datato 4 e 5.II.1313/4: «Isti sunt milites cavallatarum civitatis Florentie qui iverunt ad civitatem Pistorii occasione fulciendi castrum Montis Catini et qui soluti fuerunt in dicta civitate per Simonem Firençis Salgallini [sic] pro comuni florentino de diebus et servitio per eos et que<m>libet eorum factis in dicta andata secundum provisionem eis factam et qui confessi fuerunt a dicto Simone pro dicto servitio infrascriptam quantitatem pecunie pro quolibet eorum prout inferius per ordinem declarabitur» (ASF, Notar. antecos. 8910, ff. 120r-123r); segue lista dei soldati dei sesti Oltrarno, Borgo e San Pancrazio; per il sesto San Pancrazio ricevono paga di l. 2 f.p. per due giorni di servizio «Albertus Lapi Girolami» (f. 122r) e Filippo di Girolamo di Salvi del Chiaro per sé e per Mompuccio di Salvi del Chiaro (f. 122v). Subito dopo segue atto supplementare, 7.II.1313/4: «Actum in armata comunis Florentie. Simon Firençis Sangallini» dichiara d’aver ricevuto, per pagare i soldati, 250 fior. d’oro «a fratribus Antonio et Andrea de ordine Humiliatorum camerariis camere dicti comunis», della cui somma resta residuo di fior. d’oro 55, s. 32, d. 6 f.p. (f. 123v). Alberto di Lapo partecipa poi alla battaglia di Montecatini (29.VIII.1315), vinta da Uguccione; tra i morti o dispersi: «Alberto Girolami» (BNF, Magl. XXV.44, f. 71v, sesto San Pancrazio).

Matteo di Lapo di Leone, monaco vallombrosano ordinato suddiacono in SMN 18.IX.1311 dal vescovo fiesolano fr. Corrado da Pistoia OP: «fr. Matheus olim Lapi Leonis, fr. Iohannes filius Ristori, monaci monasterii de Pasingnano ordinis Vallisumbrose, presentati per dompnum Petrum monacum monasterii Sancte Trinitatis de Florentia pro parte d. Ruggerii [dei Buondelmonti] abbatis monasterii et ordinis Vallisumbrose» (Arch. Vescov. di Fiesole, VIII.A.2, f. 22r). Nel 1318 priore del monastero San Fabiano di Prato, subisce aggressione.

Bindo di Lapo di Leone presentato alla tonsura e primi due ordini minori al medesimo vescovo Corrado da lettera 21.I.1311/2 del vicario del vescovo fiorentino Antonio dell’Orso: «Cum Bindus natus Lapi Leonis, de populo Sancti Pancratii sicut dicit, ascribi desiderat militie clericali et dicto domino episcopo florentino, in romana cura nunc agente, ab eo presentialiter ordinari non possit, paternitati vestre de speciali commissione ex dicto d. episcopo michi facta, duxi presen(tialiter) supplicandum quatenus, cum vobis obtulerit se facultas, ad primam tonsuram et duos minores ordines promovere dingnemini de gratia speciali. Datum Florentie die xxi ianuarii, xe indictionis» (ib. VIII.A.2, f. 27r). Il giorno dopo, 22 gennaio, Bindo è tonsurato e ordinato ostiario e lettore (ib. f. 27r). Remigio ha lasciato il sermone in morte di fr. Corrado (1312): Note di biografia..., AFP 54 (1984) 240-41.

2°) Neri di Leone prenderà parte, insieme con Vanni di Lapo (di Berlinghieri), all’atto di pace 1306-07 tra i Girolami di mr Alberto di Leone e i Tornaquinci (ASF, Notar. antecos. 13364, ff. 88v-89r).

Nel consiglio generale e delle capitudini delle arti 13.II.1307/8 «constitutus fuit sindicus super bonis Tocti Boticcini, silicet Neri Leonis populi Sancti Pancratii» (Consigli II, 366).

Vanni di Lapo (di Berlinghieri?). Il 6.XI.1302 Neri del fu Vanni di Borgo, popolo di San Iacopo d’Oltrarno, nomina due procuratori «ad prosequendum quandam notificationem per dictum Neri factam coram iudice malleficiorum sextus Ultrarni, de Vanni, Leoncino et Cardinale et ad producendum» (ASF, Notar. antecos. 2963, f. 60r); tutto qui. Il ricorso con Leoncino e Cardinale accerta l'identificazione: «Neri Leonis, Leoncinus et Cardinale fratres filii condam d. Alberti, Vannes Lapi Girolami et Albertus Lapi Leonis, omnes dicti de Girolamis populi Sancti Pancratii» (ASF, Notar. antecos. 13364, ff. 88v-89r: 24.I.1305/6 e 26.VII.1307).

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