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  III - Il contesto letterario

6. De bono comuni

Il De bono comuni c. 19 ob. 3 rinvia al trattato Contra falsos ecclesie professores; testo e rapporti cronologici sono stati discussi sopra, I § 2. A fine c. 11 rinvia al De modis rerum sulle diverse accezioni di “simpliciter”. De modis rerum ampio trattato sulle categorie logiche e metafisiche della filosofia della scuola; utilizza gli opuscoli di Proclo Diadoco Licio († 485) tradotti in Corinto nel 1280 da Guglielmo da Moerbeke, ed è citato - oltreché nel De bono comuni - in Quolibet I, 3, 27 e I, 6, 115. Composto dopo il 1280, il De modis rerum è anteriore al De bono comuni e al primo quodlibeto. Quest’ultimo è stato disputato nel 1303-04; ma se la datazione del De bono comuni sopra proposta è attendibile, sarà il De bono comuni a fissare il termine ante quem al De modis rerum: ultimo ventennio del XIII secolo.

Codd. che trasmettono il De modis rerum, v. Studio 251-52. Altro rimando al De modis rerum cod. D, f. 107va. In tutto quattro rimandi passivi. Nessun rimando dal De modis rerum ad altre opere di Remigio. Per le citazioni degli opuscoli di Proclo: Un'introduzione…, MD 12 (1981) 42; pp. 62-65 discutono valore cronologico dei rimandi.

Ben otto i rimandi espliciti al De bono comuni dalle opere di Remigio, e tutti in rapporto alla tesi di fondo del trattato; segno che questa, e il De bono comuni che se ne faceva portavoce, stava a cuore all’autore.

1. Utrum autem ecclesia materialis... (cod. G3, f. 160rb-vb).

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

|160rb| Utrum autem ecclesia materialis in qua occiditur martir et effunditur sanguis eius, sicut contingit de beato Thoma archiepiscopo canturiensi, sanctificetur per occisionem martiris quod non oporteat eam reconciliare, dubium est.

|160rb| Una chiesa-edificio in cui viene ucciso un martire ed sparso il suo sangue - esempio san Tommaso arcivescovo di Canterbury († 1170) - viene santificata dall'uccisione del martire da non dover esser canonicamente riconciliata? Questione dubbia.

Quidam enim dicunt quod non oportet, quia ille sanguis non polluit ecclesiam sed consecrat. Alii vero, ut videtur notasse Huguiccio, De consecratione dist. 1 Ecclesiis, dicunt quod oportet. Licet enim ecclesia non polluatur ex parte patientis per illius sanguinis effusionem, tamen polluitur ex parte agentis, et tanto magis quanto innocentior est ille cuius sanguis effunditur. Ex hoc enim peccatum magis aggravatur quod scilicet solum habet polluere; unde in illa pollutione patiens tantum materialiter se habet, agens autem formaliter.

Taluni ritengono che non è necessario riconciliarla perché quel sangue non dissacra la chiesa bensì la consacra. Altri invece ritengono di sì, come sembra pensare Uguccione da Pisa, Summa decretorum (1178-88), parte III De consecratione, distinzione 1, canone 20 dall'incipit Ecclesiis. Sebbene la chiesa non venga dissacrata dallo spargimento di sangue di chi subisce uccisione, è dissacrata invece da parte dell'uccisore, e tanto maggiormente quanto più innocente è l'ucciso. Per questo aspetto è aggravato il peccato, anziché nel solo deturpamento fisico; nel deturpamento il paziente ha solo ruolo materiale, l'agente invece ruolo formale.

Et preterea, cum ista pollutio et reconciliatio sit de iure positivo, et ius positivum, De consecratione dist. 1 c. Ecclesiis, et Extra, De consecratione ecclesie, Ecclesie, in universali asserat ecclesiam pollui ex cuiuscumque sanguinis effusione, videtur quod etiam effusione sanguinis martiris polluatur.

Inoltre, siffatto spargimento e siffatta riconciliazione sono di competenza del diritto positivo; ora questo stabilisce indistintamente che la chiesa viene dissacrata dallo spargimento di qualsiasi sangue: Decretum, III, dist. 1, c. 20; Decretali Extra, libro III, tit. 40, cap. 10. Sembra dunque che la chiesa venga dissacrata anche dallo spargimento del sangue del martire.

Et posset dici ad primum quod, licet pollutio et peccatum non consideratur ex parte patientis, tamen ex parte ipsius consideratur meritum et consecratio; non in quantum patiens fuit participialiter sed in quantum fuit agens per bonam voluntatem et patiens nominaliter per virtutem patientie. Ex quibus tanta sanctitas redundavit in sanguinem eius ut sufficiens fuerit ad expiandam pollutionem illam que ex parte interficientis accidit ita ut alia expurgatione vel reconciliatione non indigeat.

Al primo punto si può rispondere: sebbene deturpamento e peccato non sono considerati dalla parte del paziente, tuttavia dalla sua parte vanno considerati merito e consacrazione; non perché in quanto paziente fosse compartecipe, ma in quanto fu agente per buona intenzione e fu paziente nominalmente per aver subìto. Nel suo sangue effuso ricadde tanta santità da renderlo capace di espiare la dissacrazione indotta dall'omicida; e dunque da rendere superfluo altro tipo di purificazione o riconciliazione.

Ad secundum posset dici quod, nisi ius aliter exprimeret, debet exponi universaliter de omni sanguine qui non habet |160va| virtutem expiandi pollutionem quam incurrit ecclesia ex parte peccantis in sanguinem effundendo.

Al secondo punto si può rispondere: a meno che il diritto positivo non si sia espresso diversamente, la disposizione canonica va intesa indistintamente di ogni sangue non dotato |160va| di virtù d'espiare il deturpamento indotto alla chiesa dall'omicida che sparge sangue.

Et preterea, illi qui dicunt quod oportet reconciliare ecclesiam, sicut Huguiccio dicit quod locus ille in quo cecidit sanguis non est reconciliandus sed cooperiendus vel venerandus, si ergo pars illa in qua commictitur peccatum effusionis, ac per hoc magis fedatur, per virtutem illius sangui<ni>s sufficienter a pollutione purgatur, quare ergo non tota alia ecclesia per virtutem ipsius purgabitur? precipue cum pars habeat ordinem ad totum. et non sit pars nisi in quantum in toto, sicut diffuse ostenditur in tractatu De bono comuni. Si enim propter pollutionem partis ecclesie tota ecclesia dicitur pollui, quare propter expiationem partis ecclesie tota ecclesia non dicetur expiari?, cum bonum sit virtuosius malo.

Inoltre. Taluni sostengono che bisogna riconciliare la chiesa, così come Uguccione da Pisa dice che lo spazio dove è stato sparso il sangue non sia da riconciliare ma da coprire o riverire. Se infatti quella parte dove è stato commesso il peccato di spargimento, maggiormente sconcia, viene di fatto purgata dal sangue del martire, perché di conseguenza non è tutta la chiesa ad esser riconciliata? Specie se si considera che la parte è ordinata al tutto, e non è tale la parte se non dentro il tutto, come ampiamente mostrato nel trattato Il bene comune. Se dunque il deturpamento di parte della chiesa lo si ritiene dissacrazione dell'intera chiesa, perché il riscatto di parte della essa non vale riscatto della chiesa intera? -  tanto più che il bene è più virtuoso del male.

Et si dicatur quod, licet bonum sit virtuosius malo tamen secundum beatum Dyonisium «malum contingit particularibus defectibus, bonum autem consurgit ex integra causa», unde si una pars est turpis totum est turpe, non autem si una pars est pulcra totum est pulcrum necessario, ista responsio non valet in ista materia; quia si gratia materie tenet “Si anima fortis est immortalis, ergo anima cuiuslibet hominis est immortalis” quia omnes anime hominum consimiliter se habent ad immortalitatem, multo magis in hac materia tenere videtur “Si sanguis ille purgat partem ecclesie magis pollutam, ergo multo magis purgat partem ecclesie minus pollutam”; hoc dico in quantum ambe partes ut partes considerantur ad essentiam unius totius pertinentes.

Si potrebbe dire: È vero che il bene è più virtuoso del male, ma secondo il beato Dionigi l'Areopagita «il male deriva da molti particolari difetti, mentre il bene da una causa totale» (cf. De divinis nominibus c. 4 § 30); per cui se turpe è una parte, sarà turpe il tutto; ma non "bella una parte, dunque necessariamente bello il tutto". Tale conclusione non tiene in questa materia. Perché se in forza della materia tiene la proposizione "Se l'anima del forte è immortale, dunque l'anima di ogni uomo è immortale", visto che tutte le anime degli uomini hanno medesimo rapporto con l'immortalità, a maggior ragione tiene la proposizione "Se quel sangue purifica la parte della chiesa più deturpata, molto di più purificherà la parte della chiesa meno deturpata". Dico questo perché entrambe le parti in quanto parti sono considerate pertinenti all'essenza di un tutto.

Et preterea non legimus quod ecclesia illa in qua beatus Thomas fuit martiriçatus fuerit reconciliata, sed statim clerici inceperunt missam defunctorum Requiem etc. Et si dicatur quod clerici poterunt errare, respondeatur |160vb| quod boni angeli non erraverunt, qui interrumpentes missam defunctorum subito dicuntur missam de martire intonasse Letabitur iustus etc. (cod. G3, f. 160rb-vb).

Inoltre nella sua legenda non leggiamo che la chiesa dove il beato Tommaso subì il martirio fosse riconsacrata, ma che subito i chierici intonarono la messa funebre Requiem eccetera. I chierici sbagliarono? |160vb| Di certo non sbagliarono gli angeli buoni, i quali - si dice -  interruppero la messa dei defunti e intonarono la messa di un martire Letabitur iustus eccetera (cod. G3, f. 160rb-vb).

Decretum, De consecr. D. 1, c. 20: «Ecclesiis semel Deo consecratis non debet iterum consecratio adhiberi, nisi aut ab igne exustae aut sanguinis effusione aut cuiusquam semine pollutae fuerint...» (CIC, ed. Fried. I, 1299).

Uguccione da Pisa, Summa decretorum (1178-88), in De consecr. D. 1, c. 19 (Si motum) al lemma “Si homicidio”, tra i casi della riconsacrazione della chiesa: «Homicidio manifesto. Quid si martir in ecclesia occidatur, sicut Thomas martir fuit occisus in sua ecelesia? Et videtur quod pro quolibet bomicidio sit sic reconsecranda, si ratione delicti est reconsecranda ecclesia: ubi iniquus occidatur multo magis ubi iustus; criminosius enim est occidere virum sanctum quam iniquum, ut xxii, q. v Si non licet [= Decretum C. 22, q. 5, c. 9]. Locus tamen ubi apparet vestigium sanguinis sancti non est abluendus sed claudendus, custodiendus. Alii dicunt quod non est reconsecranda quia effusio talis sanguinis ecclesiam non polluit sed sanctificat. Quia verum est de ipso sanguine et eius effusione, passione, accusatione, ecclesia polluitur et eget reconciliatione» (Bibl. Laurenziana di Firenze, S. Croce I sin. 4, f. 374ra). E in De consecr. D. 1, c. 20 (Ecclesiis): «Quid si quis ibi interficiatur sine effusione sanguinis? Reconciliabitur propter orrorem facti criminosi. Quid si quis extra percussus intra ecclesiam fugiat et ibi multum sanguinis effundat et moriatur? Non obest, quia non fuit factum homicidium in ecclesia» (ib. f. 374rb). Il tenore di legalismo cultuale denunciato dalla superficie della questione di Remigio, così come di Quodlibet II, 14 dell'anonimo francescano di cui sotto n° 3, non deve trarre in inganno. Se la soluzione, sulla spinta delle autorità canonistiche, si ritrae in avanzata astrazione di dibattito giuridico, non è affatto improbabile che la questione di Remigio e il quodlibeto del francescano (nelle questioni quodlibetali gli uditori pongono domande a partire da casi concreti) mirassero a illustrare problemi sollevati da qualche caso d'omicidio perpetrato nei recinti d'una chiesa nella turbolenta Firenze del tempo.

iacopo da Varazze, Legenda aurea c. 11: «Dum igitur clerici Requiem aeternam inciperent et pro eo missam agerent defunctorum, subito, ut aiunt, angelorum chori adstantes voces cantantium interrumpunt, martiris missam incipiunt, Laetabitur iustus in Domino concinunt et caeteri elerici prosequuntur» (ed. Th. Graesse, rist. Osnabrück 1969, 68).

Ho trascritto per intero la questione. Per la curiosità di seguire le piste battute dall’autore sotto la scorta dei temi del De bono comuni (il tutto è superiore e trascina con sé la parte); e perché essa si riallaccia all’utilizzazione omiletica del medesimo problema. Ché il tenore di legalismo cultuale denunciato dalla superficie non deve trarre in inganno. Le autorità canonistiche spingono sì la soluzione verso avanzata astrazione di dibattito giuridico; ma la convergenza della questione remigiana con Quodlibet II, 14 dell’anonimo francescano di cui sotto n° 3 (qui gli uditori pongono domande a partire da casi concreti) fa credere che si dibattessero problemi sollevati da qualche caso d’omicidio perpetrato nei recinti d’una chiesa nella turbolenta Firenze del tempo. Il sermone Dilexit ecclesiam (sotto n° 2 e n° 3) non è stato predicato secondo la lettera della redazione consegnata al sermonario, se vi si riversa una questio scolastica. Ma è pur sempre materiale rimesso in collezioni omiletiche e destinato a frati meno abili nel confezionare il sofisticato sermo novus. Testimonianza eloquente dell’osmosi tra elaborazione di scuola e materia predicabile, tra cattedra e pulpito. E non è l’unico esempio, nelle opere di Remigio, di dottrine messe a punto in scritti frutto d’attività accademica (commentari e questioni) e riproposte in chiave omiletica nei sermoni. La cattedra era meno distante dal pulpito di quanto si è soliti pensare. Il pulpito faceva da ponte tra elaborazione di scuola e folle che ascoltavano le prediche nelle chiese dei mendicanti, o nelle piazze cittadine. Inoltre nel dibattito sulla chiesa da riconciliare per effusione di sangue s’inserisce una voce francescana di Santa Croce che potrebbe suggerire un dialogo col maestro domenicano di SMN. Intravediamo qualche filo dei rapporti tra le due grandi comunità mendicanti di Firenze, portatrici - all’interno della medesima matrice evangelica - d’istanze pastorali e teologiche già notevolmente divaricate. Raccogliamo prima gli altri dati.

2. Quinto sermone su san Tommaso da Canterbury, Dilexit ecclesiam et semet ipsum tradidit pro ea. Eph. 5[,25] (cod. D, ff. 63rb-64vb).

Secundo habuit [beatus Thomas] comunitatem, sive fuit comunis, quia ecclesiam. Ecclesia enim nichil aliud est quam congregatio fidelium. Plus enim debet amari bonum comune ecclesie quam bonum unius singularis persone; unde Tullius in Invectiva contra Salustium «Quantum quisque rei publice studuit tantum meus amicus aut inimicus fuit». Vide in tractatu De bono comuni (…). Et hoc est contra perversitatem sive amorem innaturalem multorum civium qui, ut serviant uni amico suo etc., parum curant de dampno comunis. Secundum enim amorem naturalem, totum prefertur parti. De quo Act. 19[,32] «Erat ecclesia confusa» scilicet propter promotionem istius vel illius singularis indigni (f. 64ra).

3. Poco dopo nel corso del medesimo sermone è introdotta la questione «Utrum autem ecclesia materialis in qua occiditur martir et effunditur sanguis eius...»: formulazione e testo sono identici a quelli di cod. G3 (sopra n° 1). Trascrivo il solo brano del rimando: «Et preterea, illi qui dicunt quod oportet reconciliare ecclesiam, sicut Huguiccio dicit quod locus ille in quo cecidit sanguis non est reconciliandus sed cooperiendus et venerandus, si ergo pars illa in qua commictitur peccatum effusionis, ac per hoc magis fedatur, per virtutem illius sanguinis sufficienter a pollutione purgatur, quia [quare G3] ergo non tota alia ecclesia per virtutem ipsius purgabitur? precipue cum pars habeat ordinem ad totum et non sit pars nisi in quantum est in toto, sicut diffuse ostenditur in tractatu De bono comuni» (cod. D, f. 64va; tutta la questione a f. 64rb-vb).

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