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 (... III - Il contesto letterario,  6. De bono comuni)

Ed ecco il testo dell’anonimo frate Minore di Santa Croce in Firenze. BNF, Conv. soppr. D 6.359, f. 116va: Quodlibet II (1296), 14: Utrum ecclesia debeat reconsecrari propter effusionem sanguinis alicuius martyris.

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

Quodlibet II, 14: Utrum ecclesia debeat reconsecrari propter effusionem sanguinis alicuius martyris.

Questione disputata de quolibet, II (1296), articolo 14: Deve una chiesa esser riconsacrata a seguito dello spargimento di sangue d'un martire?

Et videtur quod non, quia ecclesia non est reconcilianda nisi propter aliquam pollutionem; sed sanguis martiris non polluit sed pingit; ergo non est reconsecranda.

Sembra di no. La chiesa infatti non va  riconciliata se non a motivo di qualche deturpamento. Ma il sangue d'un martire non deturpa bensì orna. Dunque non è da riconsacrare.

Contra. De consecratione dist. 1 dicitur quod ecclesia debet reconciliari propter sanguinis effusionem; sed talis sanguis vere est sanguis, et ubi ille non distinguit nec nos debemus distinguere; ergo etc.

Argomento in contrario. Nel Decretum, parte III De consecratione, distinzione 1, canone 20 (CIC, Fried. I, 1299), si dice che una chiesa va riconciliata a motivo di spargimento di sangue. Ma il sangue d'un martire è vero sangue, e laddove non di fa distinzione di sangue, neppure a noi spetta distinguere. Dunque quella chiesa va riconsacrata.

Responsio. Dicendum quod hanc questionem determinat Huguiccio, De consecratione dist. 1, ubi dicit quod illa ecclesia est reconcilianda, ita tamen quod ille locus quem tetigit sanguis non oportet reconciliari sed debet cooperiri et pertransiri.
Sed hoc factum videtur esse alienum a ratione, quia si hec est causa quare ecclesia debeat reconciliari ‑ sanguinis effusio ‑, ergo si simpliciter ad simpliciter et magis ad magis, et «propter quod unumquodque et illud magis», ergo magis ille locus.

Risposta. Uguccione da Pisa, De consecratione dist. 1, dà la sua soluzione alla questione laddove asserisce che tale chiesa va riconciliata; il luogo invece raggiunto dal sangue non va riconciliato ma soltanto coperto e aggirato.
Soluzione insostenibile. Ché se la causa della riconciliazione della chiesa è l'effusione del sangue, come il semplice sta al semplice, analogamente il maggiore sta al maggiore, e tanto più «ciò da cui ogni altra cosa deriva» (cf. Aristotele, Secondi analitici I,2: 72a 29-30). Dunque, a maggior ragione va riconciliato quel luogo (dell'avvenuta polluzione).

Nec potest quis dicere quod illa effusio prout est ab agente est mala et ut est in passo bene malo utente est bona, quia eadem est ratio in illo loco et in tota ecclesia et e converso; quia quod aliqui dicunt quod illa actio est Deo odiosa ut est ab agente, et ut est bene tollerata est Deo placens, tunc verum est. Et sicut tu dicis de alia parte ecclesie, sic ego dico de illa parte quam tetigit sanguis, quia non est reconcilianda prout est in bene utente, sed in quantum ille sanguis fuit effusus ab homicida, debet reconciliari; quod tamen negat.

Né uno potrebbe sostenere che siffatto spargimento è perverso se visto da parte dell'agente, ed è buono da parte del paziente che sa mutare in bene il male, perché medesima è la valutazione circa il luogo particolare e circa l'intera chiesa, e viceversa; quel che infatti taluni dicono, cioè che tale azione da parte dell'agente è a Dio odiosa, ma in quanto virtuosamente tollerata è a Dio gradita, è cosa vera. E come tu ti riferisci all'altra parte della chiesa, io mi riferisco alla parte toccata dal sangue, ossia che va riconciliata non a motivo dell'utente virtuoso ma in quanto quel sangue fu sparso da un omicida. Cosa che egli (=?) nega.

Unde ponatur quod beatus Thomas sic mortuus non emisisset aliquid de sanguine, tunc non fuisset illa ecclesia sanguine polluta; ergo non stat illa causa quod “propter sanguinis effusionem”. Unde, salva reverentia alterius positionis, plus placet michi dicere quod non indiget reconciliari dummodo non sit contra iura.

Supponiamo che san Tommaso da Canterbury († 1170), morto martirizzato, non avesse emesso una goccia di sangue: quella chiesa non sarebbe stata deturpata dal sangue. Di conseguenza non regge la tesi "riconsacrazione a motivo dello spargimento di sangue". Cosicché, fatto salvo il rispetto per la posizione contraria, io preferisco sostenere che non è necessario riconciliare la chiesa, a meno ché non contrasti col diritto canonico.

Quod nondum invenio determinatum, nisi de sanguine comuniter occisorum, sicut satis apparet ubi de hoc locuntur iura; unde illa decretalis De consecratione ecclesie, Proposuisti, dicit quod «reconciliari potest talis ecclesia per aquam benedictam cum vino et cinere». Unde talia que sunt iuris positivi sunt stricti iuris, et sunt potius restringende tales pene quam ampliande. Ergo cum de huiusmodi non sit determinatum in speciali - quod sciam -, potius debemus restringere quam ampliare talem penam. Unde ipsam eandem sententiam tenet Monaldus.

Cosa che non trovo definita dal diritto, se non per il caso del sangue degli uccisi ordinari, come risulta dai testi specifici in materia. Esempio: in Decretali Extra, libro III, tit. 40, cap. 4 incipit Proposuisti (CIC, Fried. II, 634), si dice che «tale chiesa può esser riconciliata da acqua benedetta con vino e cenere». Le determinazioni del diritto positivo sono strettamente giuridiche, e le relative pene vanno piuttosto ridotte che ampliate. Poiché dunque non esiste, per quanto io sappia, alcuna determinazione al riguardo, dobbiamo piuttosto contenere anziché ampliare tale pena. Medesima è l'opinione di Monaldo.

Ad argumentum dicendum quod illud capitulum non distinguit quia opus non fuit nec comuniter accidit sed distinguendum reliquit (BNF, Conv. soppr. D 6.359, f. 116va).

Risposta all'argomento in contrario. Quel capitolo o canone del Decreto non fa distinzione perché non ve ne era bisogno, o perché il fatto non accade di frequente; ma lasciò che altri distinguessero (BNF, Conv. soppr. D 6.359, f. 116va).

Decreali Extra III, 40, 4 Proposuisti (CIC, Fried. II, 634) «... respondemus quod, manente ecclesia et altari, ipsa reconciliari poterit per aquam cum vino et cinere benedictam». Glossa in locum: «Respondet papa quod non debet reconsecrari sed debet reconciliari per aquam, cum vino et cinere benedictam. Nota quod propter sanguinis effusionem non reconsecrantur ecclesiae sed reconciliantur» (Decretales Gregorii papae IX una cum glosis, Roma 1584, 969b “Casus”).

Una nota scritta da mano coeva al margine sinistro, poco sotto l’inizio della «Responsio», dice: «E<t> dicunt isti quod sanguinis effusio non est causa reconciliationis ecclesie, sed quare ecclesia debet reconciliari est homicidium perpetratum, ita quod etiam si sine sanguinis effusione aliquis in ecclesia occidatur ecclesia est polluta».

Cod. BNF, Conv. soppr. D 6.359, inizio XIV secolo, contiene i commnetari al II e III libro delle Sentenze, tredici questioni disputate ordinarie e due quodlibeti. L’autore è un anonimo frate Minore attivo negli ultimissimi anni del xiii secolo. Il secondo quodlibeto, da cui è tratta la nostra questione, porta espressamente la data 1296, e attorno agli anni 1294-96 andrebbero collocate le opere raccolte nel codice fiorentino. Inserito nella corrente dell’agostinismo francescano, l’anonimo autore mostra una certa personalità se opta ora per soluzioni chiaramente bonaventuriane, ora per tesi di Pietro di Giovanni Olivi e Pietro «de Trabibus». Le ascendenze dottrinali oliviane (l’Olivi insegnò in Santa Croce di Firenze dal 1287 al 1289, e gli sarebbe succeduto Pietro de Trabibus) e la provenienza del codice dalla ex-biblioteca di Santa Croce (codice già registrato nell’inventario quattrocentesco) fanno ragionevolmente pensare che si tratti di opere d’un lettore del convento fiorentino, attivo nell’ultimo decennio del XIII secolo.

«Può essere dunque che si tratti solo d’un Lettore sconosciuto di S. Croce di Firenze. Avendo l’Olivi, e probabilmente anche Pietro de Trabibus, insegnato ivi successivamente, si spiega naturalmente l’apparizione di un Commentario che reca una vasta impronta del loro pensiero e perpetua il loro insegnamento nei chiostri dello Studium fiorentino»: E. Longpré, Nuovi documenti per la storia dell’Agostinismo Francescano, «Studi Francescani» 9 (1923) 324; tutto l’articolo pp. 314-50. Id., Pietro de Trabibus, un discepolo di Pier Giovanni Olivi, ib. 8 (1922) 267-90; G. Gal, Commentarius Petri de Trabibus in IV librum Sententiarum Petro de Tarantasia falso inscriptus, «Archivum Franciscanum Historicum» 45 (1952) 241-78; Id., Petrus de Trabibus on the absolute and ordained power of God, AA. VV., Studies bonoring I.Ch. Brady, New York 1976, 283-92. V. Doucet, Commentaires sur les Sentences. Supplément au répertoire de M. Frédéric Stegmueller, Quaracchi 1954, 72: «Les lívres II-III [super Sententias] du ms. Florence Nat. D 6.359 sont si étroitement apparentés à P(etrus) de Trabibus, que nous y voyons, pour notre part, non pas des écrits dépendants de lui, mais ses propres lectures».

Non sarebbe sufficiente né la coincidenza nel tema in discussione (sebbene nella letteratura delle questioni ordinarie e quodlibetali disponibili in edizione non ci si imbatta in tale peculiare quesito) né la convergenza nelle autorità per suggerire un rapporto diretto tra il quodlibeto dell’anonimo frate Minore e la questione di Remigio. Invitano invece a raffrontare i testi la medesima origine geografica (Firenze) e taluni richiami testuali. Ambedue gli autori, insoddisfatti della soluzione d’Uguccione da Pisa, risolvono nella medesima linea (meno perentoriamente e in asserto condizionale il lettore di Santa Croce); con trapassi e soluzioni intermedie dissonanti. Il francescano è disposto ad ammettere la riconciliazione della chiesa a motivo dell’omicidio; e tiene a precisare che non è tanto l’effusione del sangue che induce polluzione quanto il peccato d’omicidio. Che se poi si vuole argomentare distinguendo tra peccato dell’omicida e meriti del martire, e sostenere che la parte della chiesa impolluta non è soggetta a riconciliazione a motivo del riscatto operato dalla santità del martire, sarebbe facile ritorcere l’argomento:

«Et sicut tu dicis de alia parte ecclesie, sic ego dico de illa parte quam tetigit sanguis, quia non est reconcilianda prout est in bene utente, sed in quantum ille sanguis fuit effusus ab homicida, debet reconciliari; quod tamen negat».

La distinzione cui si allude la si ritrova nella questione di Remigio (sopra n°1), paragrafo «Et posset dici ad primum...». Ma vi si ritrova anche l’argomento più specifico, che frate Minore - rovesciando - chiama in causa con «Et sicut tu dicis de alia parte ecclesie...»: è il brano remigiano che termina col rimando al De bono comuni, paragrafo «Et preterea, illi qui dicunt...». Parimenti in Remigio a inizio questione, là dove è riferita l’opinione di quanti «dicunt quod non oportet», si ritrova l’argomentazione centrale del lettore francescano a sostegno della motivazione della riconciliazione nel caso da lui ammesso; argomentazione egregiamente riassunta dalla nota marginale al quodlibeto francescano. L’«Et videtur quod non» del quodlibeto riporta la tesi sostenuta nella questione di Remigio. Alla seconda obiezione, tratta dalle fonti canoniche, costui risponde che i testi vanno intesi indistintamente («universaliter») per tutti i casi in cui il sangue del martire non riscatti la polluzione; per il lettore francescano i testi canonici non fanno distinzione perché il caso di martirio è raro, ma che lasciano a noi facoltà di distinguere, quando cioè l’effusione di sangue implichi peccato d’omicidio. Infine il rinvio di Remigio alla Summa decretorum d’Uguccione da Pisa è molto più generico di quello del lettore francescano, e ha tutta l’aria di far eco a fonte indiretta («ut videtur notasse Huguiccio», sopra n° 1); là dove Uguccione ha reconsecranda, il francescano e Remigio parlano ambedue di reconciliatio; e mentre Uguccione dice «Locus... non est abluendus sed claudendus, custodiendus», il francescano dice cooperiri, cui risponde il cooperiendus di Remigio.

La letteratura scolastica ancora inedita potrebbe rivelare più pertinenti riscontri al testo del lettore di Santa Croce di quanto non faccia il testo del lettore di SMN. Ma non sarà inutile tener presente questa pista per sondare non improbabili scambi dottrinali tra i due conventi animati culturalmente da esponenti di scuole diverse. Ricordiamo che il testo dell’anonimo francescano 1296 è frutto di disputa quodlibetale, esercizio accademico aperto a studenti, baccellieri e maestri d’altre cattedre. In quell’anno la presenza di Remigio in Firenze è positivamente attestata. Nella stessa Firenze, e in SMN, la famosa disputa quodlibetale del 1315, durante la quale il baccelliere fr. Uberto di Guido da Nipozzano in ruolo di “respondens” osò pronunciarsi contro tesi tomasiane e determinare la questione contro la soluzione del maestro, si svolse alla presenza d’un gran numero «di frati, laici, chierici ed altri religiosi» (CP Arezzo, MOPH XX, 197/12). Che i codici d’opere scolastiche provenienti dai due conventi, Santa Croce e SMN, portino tracce di tali pubbliche dispute è tutt’altro che inverosimile. Certamente testimoniano quanto insegnato nell’uno e nell’altro convento. Entro la prima metà degli anni ‘90 e per la durata di trenta mesi, Dante andò «là dov’ella [filosofia] si dimostrava veracemente, cioè ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti» (Convivio II xii 7). C’è appena bisogno d’aggiungere che, se contatto diretto vi fu tra i due lettori nel corso della disputa quodlibetale del 1296, i testi consegnati nei codici sono frutto del riordinamento redazionale del materiale dibattuto (come d’abitudine nella produzione letteraria delle questioni disputate) e non comportano di suo stretta sequenza cronologica; in particolare la stesura finale del testo di Remigio, sia nella questione cod. G3 che in quella del sermone cod. D, suppone la composizione del De bono comuni.

Molto materiale di BNF, Conv. soppr. D 6.359 dell’anonimo lettore francescano potrebbe illustrare la divaricazione delle due scuole teologiche, di Santa Croce e SMN, se raffrontato con gli scritti remigiani. Oltre ai testi editi dal Longpré nell’articolo citato, segnalo questione 7: Utrum lux sit in medio intentionaliter vel realiter (f. 52vb) con soluzione a favore dell’intenzionalità, e contraria a Quolibet I, 6 (Utrum lux in medio habeat esse reale vel intentionale tantum: MD 1983, 87-90) di Remigio.

Questione (ma non sembra del medesimo autore) Utrum Deus sub ratione qua Deus sit subiectum theologie: «Responsio. Quidam dicunt quod Deus sub ratione qua Deus... Item sicut se habet obiectum ad potentiam ita subiectum ad scientiam; sed illud est obiectum potentie sub cuius ratione potentia aprehendit quicquid aprehendit; ergo et illud erit subiectum sub cuius ratione determinantur omnia que determinantur in scientia; sed sic se habet Deus quia quicquid determinatur in theologia aut est Deus aut ad eum reducitur; ergo etc... Item tanto scientia est nobilior et universalior quanto considerat de subiecto magis universali; sed theologia est universalior et perfectior inter omnes alias scientias; ergo considerat de subiecto absoluto modo... Item quelibet scientia consistit virtualiter in suis principiis; ergo illud quod est subiectum principiorum est etiam subiectum scientie; sed subiectum principiorum fidei, que sunt articula fidei, est Deus ut Deus; ergo etc... Item illud est subiectum in scientia cuius passiones probantur in illa; sed in theologia probantur de Deo; ergo etc...
Contra istam positionem arguitur, quia quelibet scientia vel doctrina sub illa ratione notificat principaliter suum subiectum sub qua de ipso principaliter et maxime intendit, cum non sit aliud agere de ipso quam notificare ipsum; sed hec scientia non notificat de Deo principaliter et maxime ut Deus est, immo valde parum et maxime ut benefactor noster; ergo etc. Item scientia que est de Deo ut Deus est, nichil habet de pratico; sed ista est pratica quia non consistit in sola cognitione sed extenditur ad operabile per nos scilicet ad delectationem; et etiam ratione finis; ergo etc... Et ideo dicunt alii quod loquendo de subiecto theologie formaliter et precise, Deus est subiectum in theologia non absolute sed secundum rationem diligibilitatis, scilicet in quantum est diligibilis vel amabilis, specialiter generi humano...»
(D 6.359, f. 49vb). Confronta con De subiecto theologie di Remigio (ed. E. Panella, Milano-Roma 1982).

marzo 2004

Sylvain Piron, Le poète et le théologien: une rencontre dans le studium de Santa Croce, «Picenum Seraphicum» 19 (2000) 87-134: notevole contributo, bibliograficamente aggiornato. Il teologo è Petrus de Trabibus OFM, il poeta è Dante Alighieri. La rencontre dei due sarebbe avvenuta in occasione d'una disputa quodlibetale in Santa Croce di Firenze (1295 ca.). Un articolo della disputa, Quodl. I, 18: Utrum scientia litterarum humanarum vel bonitas intellectus conferat ad sanctitatem anime (BNF, Conv. soppr. D 6.359, f. 109va-b; ed. Piron, Le poète... pp. 131-34): Piron avanza l'ipotesi che nella discussione di tale materia, il teologo Pietro risponda a una questione sollevata dal poeta Dante.

■ Prove testimoniali? Riscontri testuali? Indizi? Allusioni? Nulla.
■ La hypothèse sorregge la possibilité della plausibilité di qualcosa non invraisemblable (pp. 126-29).
«Sans qu'il y ait donc lieu de chercher à prouver l'indémontrable» (127).
D'accordo!

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G. BRUNETTI - S. GENTILI, Un biblioteca nella Firenze di Dante: i manoscritti di Santa Croce, AA. VV., Su alcuni libri in bibliotecche d'autore, Roma 2000, pp. 21-55. estratto "BRUNETTI".

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