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■ talune dibattute questioni ■ | ||
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Di grande interesse per gli studiosi di linguistica italiana delle origini. ■ Letteratura e bibliografia corrente in ..\pisa\vulgo11.htm e ss. Emilio Panella OP San Domenico di Fiesole, marzo 2017 | ||
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«il cardinale d’Ostia, che fue frate Predicatore, venne a morte e disse...» |
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■ | 1302-1307 lettore in SMNovella; «soldano in nostra lingua è podestade» | ||
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settembre 1303: nominato predicatore generale |
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■ | «predicò da.llato»: che significa? | ||
■ | compiti del lettore conventuale: lectio, disputatio, predicatio | ||
■ | 14 settembre 1309: nominato lettore biblico nel convento pisano | ||
■ | muore in Piacenza tra 16 e 21 agosto 1310 (non 1311!) | ||
■ | 31 anni di vita religiosa: in che anno Giordano si fece frate? | ||
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Testo da: Nuova cronologia remigiana, «Archivum Fratrum Praedicatorum» 60 (1990) pp. 188-189.
Sermone di fra Remigio dei Girolami OP, Firenze 10 agosto 1294: De mortuis, De cardinali, sermo I: Opus grande et latum et nos separati sumus (Neem. 4 = II Esd. 4, 19; Bibl. Nazionale di Firenze, Conv. soppr. G 4.936, ff. 381va-382ra), in morte del cardinal fra Latino d’Angelo Malabranca OP (Note di biografia domenicana tra XIII e XIV secolo, «Archivum Fratrum Praedicatorum» 54 (1984) pp. 248-50); non «Orsini», come talvolta nei repertori, ché degli Orsini era sua madre Mabilia, sorella di Niccolò III (1277-80); nello stesso sermone di Remigio: «Item in nobilitate quia ex parte patris filius d. Angeli Malebranche qui fuit potestas istius civitatis et septies fuit Rome senator; ex parte autem matris fuit filius sororis pape Nicholai de Ursinis» (381vb). Per il senatorato romano (1235, 1247, 1248) di messer Angelo Malabranca: Codice diplomatico del senato romano, a c. di F. Bartoloni, Roma 1948, 96, 183-86; ID., Per la storia del senato romano nei secoli XII e XIII, Roma 1946, 73, 90.
■ Cronica fratrum Sancti Dominici de Perusio, Perugia, Bibl. comunale Augusta 1141, ff. 2v-3r: «Fr. Latinus de Malabranca nobili progenie romanorum, natus est in die sancti Gregorii pape [12.III], die quo revolutis annis in Christo est regeneratus intrans ordinem Predicatorum in Parisius hora qua fuit in Decretis licenciatus magister et doctor; ex hoc universitati parisiensi salutare prebens exemplum. Post multum vero temporis ad Urbem est reversus et factus prior in Sancta Sabina ac diffinitor in capitulo provinciali in conventu urbevetano [1275?]. Hic per dominum papam Nicolaum tercium die antedicto beati Gregori factus est ostiensis et velletrensis episcopus. Habuit autem se sic sancte et prudenter secundum honorabilem statum, per omnia servans humilitatem ordinis et omnimodam honestatem, maxime autem perfectionis existens et ad pauperes mire compassionis, quibus fuit elemosinarius mangnus. Et ut superius est scriptum, claruit scientia mangna, insuper optimus sermocinator ad clerum, et populo predicator graciosus quani plurimum. Et quia sic floruit et multiplici gratia et virtutibus, per predictum summum pontificem factus est ex cius latere in Tuscia et in Lombardia legatus sub annis Domini MCCLXXXI. In quo tempore reformavit pacem in civitatem Florencie. Obiit vero Perusii MCCXCIIII, X die mensis augusti. Cuius corpus delatum fuit Romam et apud Sanctam Mariam super Minervam honorifice sepultum». Cf. Cr Ov 27 che aggiunge l’iscriziore tombale.
Fra Giordano da Pisa OP raccoglie le ultime parole del cardinal ostiense, ma non ne dice il nome. Predica 7.VIII.1305: «Ché disse il cardinale d’Ostia, che fue frate Predicatore, venne a morte e disse: - Frate Giordano (egli disse a me e ad altri), Dio il volesse ch’io mi fossi anzi essuto tra’ frati colla cappa mia umilmente, e non così». Indiscussa persiste l’identificazione con Latino Malabranca (C. DELCORNO, Giordano da Pisa e l’antica predicazione volgare, Firenze 1975, 24, 286; GIORDANO DA PISA, Prediche sul secondo capitolo del Genesi, a c. di S. Grattarola, Roma 1999, 9).
Lasciamo aperta una seconda possibilità d'identificazione: deceduto Latino Malabranca († Perugia 10.VIII.1294), un altro domenicano fu nominato cardinale ostiense (1294-1297): Ugo da Billom (Auvergne), † Roma 28.XII.1297 (Cronica fratrum Sancti Dominici de Perusio, Perugia, Bibl. comunale Augusta 1141, f. 3r; HC I, 11, 35; MOPH III, 291/17; XXII, 50, 129); a lui a lungo riconoscenti i frati della provincia Romana (MOPH XX, 377b; Un vademecum..., «Memorie domenicane» 28 (1997) 389-390 nn. 120-121). Nel 1295 Giordano era stato nominato lettore in Viterbo (MOPH XX, 121/13-14).
Testo da: Ricerche su Riccoldo da Monte di Croce, «Archivum Fratrum Praedicatorum» 58 (1988) pp. 43-46.
Come matura fra Riccoldo la decisione di comporre il Contra legem Sarracenorum (Firenze 1299-1300 ca.), quando in un primo momento né vi pensava né si riteneva capace di condurre una «efficax impugnatio»? È del tutto arbitrario pensare che nel fervore della missione orientale coltivata da tanti frati del convento fiorentino e della medesima provincia, Riccoldo sia stato sollecitato dai confratelli a mettere a loro disposizione le proprie conoscenze, persino a superare le remore circa le proprie capacità?
Ipotesi, benché non sprovvista di ragionevoli indizi; ma fra Giordano da Pisa ci ha lasciato un’inequivoca testimonianza che le conoscenze di Riccoldo venivano messe a frutto nel convento fiorentino. Lettore in SMNovella da autunno 1302 fino al 1307, Giordano si dedica alla pubblica predicazione, raccolta e trasmessaci da entusiasti uditori. Il 15 marzo 1306 nella chiesa SMNovella predica sul tema Nemo ex vobis facit legem (Io. 7, 19). Perché i cattivi sopravanzano i buoni? Delle quattro ragioni della risposta, la prima è la battaglia mossa agli uomini dai potentissimi demoni; dei quali Paolo dice: «Non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem, sed adversus principes et potestates, adversus mundi rectores tenebrarum harum» (Eph. 6, 12). Potentissimi sono i demoni perché principes et potestates. È quanto Giordano intende illustrare agli uditori chiosando il testo paolino.
■ Tutte le dette cose si mostrano qui apertamente. Potentissimi sono: ecco che gli chiama principi. Principe sì è detto lo ’mperadore, quegli è il diritto principe; così il demonio, principe di queste cose di sotto secondo la volontà di Dio. Dice in altro luogo nel vangelo: «Il principe starà di fuori». Chiamagli podestadi: questo nome è nome grandissimo, e è nome novello alle podestadi de le cittadi. Non è appena cento anni, era lo ’mperadore segnore del mondo; oggi n’ha poco del mondo: la Magna e Italia e alcun’altra provincia. Onde, quando lo ’mperadore era, sì mandava suoi vicari alle cittadi, sì che le podestadi è nome novello. Ma egli è nome troppo alto: questo è il nome del soldano, podestade; onde soldano in nostra lingua è podestade. Onde dice il vangelo, il quale fu iscritto in quella lingua de’ saracini, quando dice «Io hoe podestade di porre l’anima mia etcetera», sì dice «soldayn» etcetera (fra Giordano il disse in quella lingua egli).
Quaresimale fiorentino 277, che a fine brano ha: «‘Io hoe podestade di porre l’anima mia et cetera’, sì dice soldayn, sultân’: (Frate Giordano il disse in quella lingua egli)», ritenendo l’editore (p. 277 nn. 62-63) che sultân sia scritto in caratteri arabi, sebbene «con molta incertezza». Dalle tavole riprodotte fuori testo non risulta alcun tentativo dei copisti di scrivere la parola in caratteri arabi (la predicazione giordaniana - ricordiamo - ci è pervenuta nella solita reportatio, e di questa non l’originale); gli svolazzi in questione mi sembrano il rapido compendio di etcetera. Riporto lezione di Ashburnham 533, f. 116v, riprodotto fuori testo, ms seguito dall’editore. Per Giordano: pregevoli lavori di C. Delcorno, Giordano da Pisa e l’antica predicazione volgare, Firenze 1975, e con precisazioni cronologiche Nuovi testimoni della letteratura domenicana del Trecento, «Lettere itadiane» 36 (1984) 577-87.
Non avrà durato fatica, Giordano, a cimentarsi con la pronuncia araba di sultân, cui faceva da supporto il volgare soldano. Ma non è questa civetteria del predicatore che rende prezioso il brano. Il predicatore sa che soldano significa potere. Meglio, podestade. Il lessema volgare podestade trattiene una serrata anfibologia e presta un’eccellente controparte all’arabo sultân. Podestade significa potere, e significa persona che lo detiene, il podestà (potestas nei testi latini, la podestade in quelli volgari) del modello costituzionale dei comuni italiani. Parimenti in arabo, insinua Giordano, sultân significa podestà (= soldano), e significa potere. Cosicché potestas dell’autorità evangelica «potestatem habeo ponendi eam [scil. animam meam] et potestatem habeo iterum sumendi eam» di Io. 10, 18 è resa nella traduzione araba con la parola sultân.
Dallo stesso Giordano: «La podestà [intendi il podestà, magistrato supremo del comune] fa micidio e uccide il malfattore e non ha peccato, quando il fa a ragione»; «e però non peccano le podestadi giustamente punendo» (Prediche inedite del b. Giordano da Rivalto, ed. E. Narducci, Bologna 1867, 237, 242). Da cronaca fiorentina anonima (XIII s.): «Per la qual cosa la predecta Podestade, secondo le prove de’ testimoni, condannò messer Corso... » (Schiaffini 141). In latino, Ordinamenti di giustizia 1295: «Infrascripta sunt Ordinamenta, que merito et non sine causa Ordinamenta Iustitie de cetero nuncupentur, per nobiles et sapientes viros dominum Tebaldum de Bruxatis de Brixia Potestatem... » (ed. G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, Firenze 1899, 384).
Questo incontestabilmente implica il brano giordaniano. Le informazioni sono esatte: sultân significa in arabo classico potere e persona che lo detiene, per antonomasia il sultano; le traduzioni arabe del nuovo testamento documentano lî sultânun (letteralmente mihi est potestas) per «potestatem habeo» di Io. 10, 18.
English-Arabic Dictionary, Beirut 1973, 307 s. v. «Power», 378 s. v. «Sultan».
Novum Testamentum domini nostri Jesu Christi, versio arabica juxta recensionem Josephi David chorepiscopi Mausiliensis, editio minor, Mausili (Mosul) 1874, 200 (Giov. 10, 18); riproduce testo d’ed. Romana 1703: G. Graf, Geschichte der christlichen arabischen Literatur, Città del Vaticano (Studi e Testi 118) 1944, 99-100. Per le traduzioni arabe del nuovo testamento, ib. pp. 138-95; H. Hyvernat, Versions arabes des Ecritures, «Dictionnaire de la Bible» 1 (1926) 851-55 (vangeli); S.H. Griffith, The Gospel in Arabic: An Inquiry into its Appearance in the first Abbasid Century, «Oriens Christianus» 69 (1985) 126-67.
Oltreché esatte, le informazioni sono altamente specialistiche per un predicatore del XIV secolo sprovvisto di conoscenze linguistiche e islamologiche. Quel che Giordano dice, non è farina del suo sacco. Almeno a partire da marzo 1301 Riccoldo è in SMNovella, e per più anni convive con Giordano nel medesimo convento. Soltanto Riccoldo può render ragione delle informazioni della predica giordaniana. Conosce l’arabo, e verosimilmente anche un pò di siriaco; a più riprese asserisce che ha controllato il nuovo testamento in arabo e in siriaco; solo così può scalzare la tesi islamica della falsificazione cristiana dei vangeli. «Ita enim legi in alchorano capitulo lxi: “Dicit Iesus filius Marie: Ego sum nuncius Dei, o filìi Israel, et sum nuncius verax; ego evangelizo vobis quod legatus veniet post me et nomen eius Machometus”. Ego vere ista non invenio in evangelio, nec in latino nec in caldeo nec in arabico, quod quidem diligentissime in oriente perlegi» (Epistola III, f. 259r; ed. 282).
«Tam nestorini quam iacobini sunt precisi a latinis et grecis ante tempora Maccometti, et tamen nos invenimus apud eos in caldeo et in arabico eandem translationem et veritatem in evangelio que est apud grecos et latinos» (Liber peregrinationis f. 2lvb). «Preterea si sciunt sarraceni quod apud christianos omnes in toto mundo est evangelium corruptum et mutatum, ostendant nobis apud ipsos evangelium integrum. Nam in Baldacco et in Mensis fuit studium ab antiquo, ubi in archiviis sarracenorum libri antiquissimi conservantur, quos ostendebant nobis; et tamen numquam potuerunt nobis ostendere aliud evangelium nisi sicut est apud nos» (ib. f. 22ra; vedi anche Contra legem Sarracenorum 3, 49-53; 3, 91-92; 3, 131-34). Il caso di Hebr. 1, 3 nel Libellus ad nationes orientales ha permesso il riscontro alle dichiarazioni di Riccoldo: costui ha veramente avuto sotto mano il testo siriaco (Presentazione XV-XVI n. 13).
Testo da: Nuova cronologia remigiana, «Archivum Fratrum Praedicatorum» 60 (1990) pp. 216-218.
Capitolo provinciale Spoleto 1303, convocato per l’8 settembre (MOPH XX 145/15-17): «Facimus predicatores generales: ... Iordanem lectorem florentinum» (148, 13). Il capitolo generale Tolosa 1304 assolve tutti i predicatori generali nominati dal capitolo provinciale Todi 1301 in poi (MOPH II, 6/5-7), cosicché fra Giordano da Pisa viene nominato predicatore generale una seconda volta dal capitolo provinciale Rieti 1305 (MOPH XX 160/26-27).
«Librum Sententiarum theologicum legit eleganter Florentie in studio generali; deinde ibidem tribus annis lector principalis existens ut stella candida corruscavit» (Cronica conventus antiqua Sancte Katerine de Pisis, Bibl. Cateriniana n° 451). Poiché Giordano è detto lettore fiorentino nel capitolo provinciale 1303 (che non porta provvisioni per i lettorati conventuali) e predicava in Firenze già da gennaio 1303 (C. Delcorno, Giordano da Pisa e l’antica predicazione volgare, Firenze 1975, 13, 293 qui in stile fiorentino), l’insegnamento fiorentino deve risalire almeno ad autunno 1302. Il 4.III.1306 Giordano dice: «quelle cose, le quali io v’hoe predicate già è tre anni, sono cose grossissime» (Quaresimale fiorentino 171/159-60). Predica in Firenze, ed è detto lettore, nel 1304 (DELCORNO, Giordano 15); Avventuale fiorentino 1304 [29.XI.1304 -7.II.1305], «quando stava in Firenze per lettore de' frati», ed. a c. di Silvia Serventi, Bologna 2006, 61; nel 1305, ciclo quaresimale su Gen. c. 1 (ed. D. Moreni, Firenze 1830, 1: 7.III.1304/5; DELCORNO, Giordano 305 ss; nel 1306, ed è detto lettore (Prediche inedite, ed. E. Narducci, Bologna 1867, 246, 252, 261, 262; Quaresimale fiorentino 3 nell’accluso foglio d’«errata corrige», 33, 35, 75, 81, 138, 173, 232, 240, 272, 347, 354, 367, 419, 428, 429, 433).
■ Per l’anno 1307 le datazioni in DELCORNO, Giordano 335 ss, relative al ciclo su Gen. c. 3 di Bibl. Laurenziana di Firenze, Acquisti e Doni 290, vanno riviste dopo l’identificazoine dell’altro ciclo su Gen. c. 2 di Bibl. Laurenziana, Calci 21 (C. DELCORNO, Nuovi testimoni della letteratura domenicana del Trecento, «Lettere italiane» 1984, 577-87). Ma permangono non sufficientemente accertati sequenza luogo e anno dei cicli su Gen. c. 2 e c. 3 ed il loro intreccio con i lettorati fiorentini di Giordano; mentre è verosimile che la predicazione quaresimale sulla Genesi costituisca il versante omiletico della lettura scolastica sul medesimo libro biblico: a motivo della tenuta dottrinale del ciclo, benché riversata in più volgato registro linguistico; e a motivo di quanto si legge in Bibl. Laurenziana, Calci 21 (su Gen. c. 2), f. 58r:
«Vedete apertamente che nel paradiço della gloria e nel paradiço delitiano sarebbono state tante operationi, e sono in vita eterna. E noi miçeri che siamo in tanta tempestate e non operiamo a dDio né ai prossimi, che sarà di noi? Unde preghiamo Dio che cci dea grasia di fare operationi in amare e contemplare e laudare lui, perciò che delectassioni somme sono. Queste prendete e lassate l’altre che sono nulla. Or in questa predica è cor[m]piuto lo paradiço, tutto così bene come io l’exponesse mai in iscuola».
Vedi ora GIORDANO DA PISA, Prediche sul secondo capitolo del Genesi [Pisa 1308?], a c. di S. Grattarola, Roma 1999; Sul terzo capitolo del Genesi [Pisa 1309], a c. di C. Marchioni, Firenze 1992.
Tenendo da parte la questione dello studio «generale» (il redattore della Cronica pisana, fra Domenico da Peccioli, muore in dicembre 1407 e potrebbe aver retrodatato lo statuto giuridico dello studio fiorentino) e considerato che laddove la terminologia non distingua esplicitamente lettorati principali dai sentenziari, lector denota qualsiasi frate (finanche maestro in teologia: MOPH II, 104/19-21) insegnante non importa quale disciplina, la sequenza dei lettorati fiorentini di Giordano potrebb’essere così ricostruita:
a) lettura delle Sentenze, anni accademici: 1302-1303; 1303-1304;
b) triennio di lettorato principale, anni accademici: 1304-1305, 1305-1306, 1306-1307.
■ A proposito d’un importante, e in parte frainteso, testo di Remigio, De bono comuni 18, 161-75 («Memorie domenicane» 1985, 160), dov’è posta la questione «Quilibet magis tenetur velle, ut videtur, quod suum comune in inferno dampnetur et non ipse quam quod ipse dampnetur et non comune, immo et totus mundus» (18, 161-63), Giordano da Pisa nel contesto dell’ordo caritatis (prima Dio, poi la propria anima sopra ogni altra cosa): «E pero v’ammonisco che l’anime vostre mettiate innanti e amatela sopra tutte le cose e sopra tutte le persone. Or vedi, e’ suole essere questione se tu dei commettere uno peccato mortale per iscampare una città e tutto lo mondo e tutti li homini. Frate, dico che no, però che tu dei amare più l’anima tua ke tutte l’altre cose del mondo, e uno peccato mortale farebbe perdere l’anima tua. Unde non dei volere perdere l’anima tua per tutto lo mondo. Or che fructo ti sarebbe se tutto ’l mondo per uno tuo peccato mortale fusse in paradiço e l’anima tua fusse dannata? Nullo. Unde però innanti dei lassare una città e tutto lo mondo perire che fare uno peccato mortale. E se tu mi dicessi ‘Or non si dee lo maggiore bene più amare che ’l minore?’, frate rispondoti che sì. E se tu mi dicessi ‘Maggiore bene è che si salvi tutto ’l mondo che una anima’, e io ti rispondo che ben dici vero, ma non è lo meglio per te, ché saresti dannato e sarebbe la morte tua. E Iddio ti comanda che tu ami più l’anima tua che tutte l’altre cose e che tutte l’altre creature del mondo. Unde tu per nullo caso dei amare li altri sopra l’anima tua, ma dei lassare andare male ogni cosa innanti che gravare in alcuna cosa l’anima tua» (Bibl. Laurenziana di Firenze, Calci 21, f. 38r; vedi ora GIORDANO DA PISA, Prediche sul secondo capitolo del Genesi, a c. di S. Grattarola, Roma 1999, 104). Salvi in entrambi, Remigio e Giordano, gli estremi teologici della tesi (che nessun atto implicante colpa teologale sia legittimato dal fine, quantunque buono), l’argomentazione divide altrettanto nettamente i due lettori di SMNovella: sul repertorio dialettico delle distinzioni (tra colpa e pena, ad esempio); sulla precedenza della comunità nell’ordine dell’amore, cosicché l’individuo sia disposto, benché innocente, all’oblazione vicaria di sé nella pena in riscatto della comunità medesima; e sulla sensibilità all’estensione sociale dell’atto virtuoso del cristiano-cittadino.
Giordano da Pisa, Avventuale fiorentino 1304 [29.XI.1304 -7.II.1305], ed. a c. di Silvia Serventi, Bologna (il Mulino) 2006.
“predicò da.llato” che significa? (cf. Avventuale fiorentino p. 42 n. 16: l'Autrice conviene con l'interpretazione a suo tempo da me proposta al prof. Delcorno e da costui condivisa, mio carteggio alle date 8.III.1998, 23.III.1998).
▪ 2 febbraio 1305, festa della Purificazione. Distinte quattro ragioni della perfezione della Vergine, Giordano annuncia e tiene quattro prediche nel medesimo giorno: 1a in SMNovella stamane, 2a in orto San Michele dopo desinare, 3a a nona in SMNovella, 4a dopo nona alle donne del Prato, in sul prato d'Ognessanti (Avventuale fiorentino 553-601). Tutte sul tema della liturgia del giono, Expleti sunt dies; tutte e quattro dette "da.llato, da lato, a.llato".
▪ 16 febbraio 1306 mercoledì delle ceneri. «Predicò frate Giordano... mercoledì matttina in SMNovella il primo dì di Quaresima» (GIORDANO DA PISA, Quaresimale fiorentino 1305-1306, ed. C. Delcorno, Firenze 1974, 3). «Predicò frate Giordano... questo dì da.llato ad locum intus» (Quaresimale 5).
▪ 28 febbraio 1306. «Predicò frate Giordano lunidì... la matttina ad locum in platea» (Quaresimale 129). «Predicò frate Giordano questo dì da.llato in sero intus» (Quaresimale 136).
▪ 1 marzo 1306. «Predicò frate Giordano... martedì mattina ad locum intus» (Quaresimale 139). «Predicò frate Giordano questo dì da.llato ad locum intus in sero» (Quaresimale 147).
▪ 2 aprile 1306. «Predicò frate Giordano... martidì santo seguente in platea ad locum in mane» (Quaresimale 383). «Predicò frate Giordano questo dì da.llato la sera in SMNovella» (Quaresimale 390).
▪ 10 aprile 1306 domenica in Albis. «Predicò frate Giordano... domenica in mane ad locum intus, l'ottava di Risorressio» (Quaresimale 428). «Predicò frate Giordano questo dì da.llato, dopo desinare, a le donne da San Gaggio al Poggio, ne l'erbaio» (Quaresimale 430).
“Predicò da.llato” delle rubriche incipitarie: che cosa intendono dire i raccoglitori laici delle prediche giordaniane? In «Grande dizionario della lingua italiana» non trovo soddisfacenti riscontri (Lato, Allato…). D'altra parte il significato topografico è assicurato dalle altre esplicite indicazioni circa il luogo dei sermoni: intus, ovvero dentro la chiesa (in fase di costruzione la sezione più meridionale); o fuori nella piazza, da intendere "vecchia" (oggi piazza dell'Unità Italiana), vista l'assenza di qualsiasi distinzione tra nuova e vecchia; sebbene la nuova fosse in fase di realizzazione: ASF, Notar. antecos. 3141 (già B 2127), f. 25v (Firenze 27.VI.1306): «Actum iuxta plateam novam ecclesie SMNovelle...». Come nella tradizione: «nella piazza vecchia della detta chiesa, tutta coperta di pezze e con grandi pergami di legname...» (Giovanni Villani VIII, 56, 46-47: febbraio 1280).
▪ da.llato si accompagna ma si distingue da indicazione topografica (ad locum intus e simili)
▪ da.llato si accompagna ma si distingue da indicazioni croniche (questo dì, in sero, la sera)
▪ da.llato ricorre soltanto nelle prediche tenute nel pomeriggio
▪ il versetto tematico delle prediche da.llato è sempre il medesimo della predica immediatamente precedente tenuta il mattino (in p. 5 di 6.II.306 è della medesima pericope Mt 6,16-21, vangelo di mercoledì delle ceneri). Difatto le prediche da.llato sono continuazione, o sviluppo dei membri di divisione, di quelle mattutine.
Proposta d’interpretazione. L’espressione da.llato qui usata troverebbe spiegazione nella prassi della predicazione tardomedievale. Sermone seròtino, più comunemente detto collazione, in ripresa del versetto tematico di quello mattutino: da.llato retroversione mentale di “predicavit a latere”, ovvero dopo e a complemento del sermone mattutino. Volgarizzamento (a quanto pare infrequente) di collatio in sero, di fatto prosecuzione complementare (abitualmente fatta dal baccelliere) del sermo matutinus (del magister). Diciamo insomma "sermone collaterale"!
Testo da: AA. VV., Dal convento alla città. Filosofia e teologia in Francesco da Prato OP (xiv secolo). Atti del Convegno Internazionale di Storia della Filosofia Medievale (Prato, Palazzo Comunale, 18-19 maggio 2007), Firenze (Zella Ed.) 2008, pp. 216. In pp. 115-31: E.PANELLA, "Ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti" (Dante Alighieri). Lectio, disputatio, predicatio.
Conferenza o intervento nel convegno Dal convento alla città, di cui qui di seguito. Espone il sistema scolastico domenicano, articolato nelle tre funzioni di base: lectio, disputatio, predicatio.
(...) c) predicatio
Pulpito, straordinario ponte tra aula scolastica e strade della città. Attiva la diffusione dell’oralità. Intenso e reciproco influsso tra mediolatino e lingue volgari. Si predica in volgare, si redige per iscritto in latino. Reportationes volgari (laici che prendono nota del sermone recitato dal pulpito). Registro linguistico “mescidato”, ossia che mescola volgare e latino in direzione bilaterale. Novelle e sermoni sono meno lontani di quanto si creda!
Esempio, Giordano da Pisa lettore principale in Santa Maria Novella (1305-07): i suoi sermoni volgarizzano tecniche argomentative e categorie logico-filosofiche di natura scolastica, e passano nella città; visto che i suoi sermoni sono frutto di “reportatio” organizzata dai suoi ammiratori (taluni notai), che si danno il turno. In Pisa, 1308-10, predica sistematicamente sul libro della Genesi, e a conclusione si lascia andare: «Or in questa predica è compiuto lo paradiso tutto così bene, come io l’exponesse mai in iscuola» (Prediche sul secondo capitolo del Genesi, a c. di S. Grattarola, Roma 1999, 147). L’ha esposto agli studenti nelle lezioni di scuola, ora lo predica al popolo dal pulpito, col medesimo rigore!
Impropriamente si distingue il “predicatore” Giordano da Pisa († 1310) dal “lettore” Remigio dei Girolami († 1319). Entrambi erano lettori conventuali: leggevano, disputavano e predicavano. Del primo ci son pervenuti soltanto i sermoni. Tutto qui.
E approfittiamo. Non ci risultano norme statutarie che ingiungano ai maestri di mettere per iscritto la loro attività didattica. Molti tuttavia lo fanno. Commentari, questioni disputate, sermonari: riflettono di certo la peculiare didattica a monte del rispettivo prodotto letterario; che è anche ineludibile cornice esegetica del genere letterario. Una reportatio ci racconta come andarono le cose nell'aula scolastica. Ma quando il maestro nella propria cella rielabora per iscritto il frutto della sua attività didattica, molte cose - per contenuto e forma - creano distanza tra aula scolastica e testo che noi leggiamo! Cosucce non da sorvolare quando apriamo un'opera (redazione scritta) d'un maestro medievale; e vogliamo stabilire il rapporto tra pensiero dell'autore e reale circolazione scolastica.
Fra Niccolò dei Bolsinghi da Prato OP († 1380 ca.), di ceppo consortile rifugiatosi in Pisa, maestro in teologia, dalla carriera eminentemente professorale. «Predicavit optime, legit egregie, disputavit acerime, sermocinabatur plurimum gratiose» (Pisa, Biblioteca Cateriniana 78, f. 34r). Non iterazione retorica, ma minuzioso elenco delle attività didattiche del tempo. Perfino i due predicavit e sermocinabatur respingono un'assimilazione per binomio sinonimico: perché separati; e perché il primo ricorre più in rapporto alla predicazione in volgare, il secondo a quella dotta in latino.
(...)
E sarà un lettore, dal pulpito, a ricomporre la dissociazione tra le ambizioni delle discipline liberali e la manualità delle artes mechanice; e nel medesimo tempo ad esaltare intelligenza e fantasia nascoste nel manufatto dell'artigiano. Fra Giordano da Pisa, Santa Maria Novella 26 marzo 1306:
«Arte dico non pur quella che ssi fa con mano, ma arte dentro, ché l'arte non è nell'opere di fuori, ma è ne l'anima dentro, onde il maestro che vuole fare la casa, prima l'ordina dentro. Il primo luogo ove si fa, è mistieri che ssia ne la mente dentro: quivi s'ordina <la casa> e fàbricasi prima» (Quaresimale fiorentino 1305-1306, ed. C. Delcorno, Firenze 1974, p. 364/137-140).
Testo da: Nuova cronologia remigiana, «Archivum Fratrum Praedicatorum» 60 (1990) pp. 234-255.
Il 14 settembre 1309 fra Giordano da Pisa predica nella piazza di SMNovella in occasione dell’apertura del capitolo provinciale (Prediche, ed. D. Moreni, Firenze 1831, II, 30-41). Capitolo provinciale convocato per il 14 settembre (MOPH XX 171/28-29): «Assignamus studentes in theologia Florentie ubi assignamus studentes fratres etc. Item assignamus [studium?] theologie in conventu pisano ubi leget biblice fr. Iordanus cui assignamus etc.» (174, 3-6). Il capitolo generale 1308 aveva disposto «quod in singulis provinciis conventus aliquis seu aliqui statuantur, in quibus sola biblia legatur biblice, et ad illud studium fratres ydonei mittantur» (MOPH II, 34/26-28).
La cronaca pisana, Pisa, Bibl. Cateriniana 78, n° 107, dice sì che Giordano fu «diffinitor capituli provincialis» ma non dà l’anno. Bisogna tener distinti due diversi titoli e fasi di partecipazione al capitolo: quella dei capitolari dell’assemblea generale (priori, predicatori generali e soci dei priori); quella dei quattro definitori, eletti dalla medesima assemblea, e che insieme col provinciale discutono le questioni ed emanano le deliberazioni capitolari (diffinitiones). Vi fa più volte esplicito riferimento Remigio nella serie dei sermoni sui capitoli provinciali (Bibl. Nazionale di Firenze, Conv. soppr. G 4.936, ff. 255vb-268va). «Sicut vos scitis, nos sumus modo in capitulo congregati ut eligamus priorem provincialem et diffinitores capituli provincialis, et ideo verbum propositum [David elegit sibi quinque limpidissimos lapides de torrente: I Reg. 14, 40] non incongrue videtur assumtum; ex quo quidem verbo et in quo, circa imminentem electionem aliquid elicere possumus ex parte eligentium quia David elegit sibi, et aliquid ex parte eligendorum quia quinque limpidissimos lapides de torrente (...). Eorum ad quos spectat presens electio, alii cernuntur esse in gradu priorum, alii in gradu predicatorum generalium et alii in gradu sotiorum priorum» (f. 258ra). Cf. Constitutiones OP II, 3; II, 5; II, 7 («Archivum Fratrum Praedicatorum» 1948, 50, 53-54, 55-56).
Testo da: La Cronaca di Santa Caterina di Pisa usa lo stile pisano?, «Memorie domenicane» 16 (1985) § 3, pp. 328-30 (cf. Nuova cronologia remigiana, «Archivum Fratrum Praedicatorum» 60 (1990) pp. 261-262).
Di fra Giordano da Pisa la Cronica pisana scrive:
«vocatus per obedientiam a fratre Americo de Placentia, nostri ordinis tunc magistro, ut iret Parisius ad legendum et deberet magistralibus infulis insigniri, in Placentia inter manus dicti magistri et aliorum proborum cum summa devotione emisit spiritum, choris apostolicis sotiandum, ubi gaudet evo perhenni. Cuius corpus per cives pisanos Pis(as) adductum, innumeris populis sociatum clamantibus simul et flentibus ac suspirantibus, fuit in ecclesia Sancte Katerine in manseolo collocatum, quod etiam nunc sub sepulcro marmoreo archiepiscopi Symonis clare monstratur. Ad quod etiam eius lapideum reposticulum vidi ego multas cereas pendentes ymagines, positas ab hiis qui gratias a Deo eius oratione et meritis acceperunt; quas tolli opportuit in positione tumuli archiepiscopi supradicti. Vixit in ordine hic pater annis xxxj, cuius felicissimus transitus fuit M°ccc°xj° de mense augusti, infra octavas Sancte Marie matris Dei et virginis gloriose» (Pisa, Bibl. Cateriniana 78, n° 107, ed. 452).
Americo da Piacenza, maestro dell’ordine dal 1304, dette le dimissioni nel capitolo generale Napoli 1311, convocato per la domenica tra l'ottava dell'Ascensione e celebrato, come d'abitudine, nella settimana di Pentecoste («Admittimus cessionem magistri ordinis, quam a nobis humiliter postulavit, ipsum a magisterio ordinis absolventes», MOPH IV, 55/20-2; convocazione del capitolo generale Napoli 1311: MOPH IV, 50/17-19).
La Pentecoste 1311 cadeva il 30 maggio, e la settimana di Pentecoste andava dal 30 maggio al 5 giugno. In agosto 1311 fra Americo non era più maestro dell’ordine; gli era succeduto quale vicario generale dell’ordine Berengario di Landorra, provinciale di Tolosa, dal capitolo Napoli 1311, e quale maestro dell’ordine eletto dal capitolo generale Carcassona 1312 (MOPH IV, 56/2). L'anno 1311 della Cronica non può che essere dello stile pisano. Giordano da Pisa morì in Piacenza entro l’ottava dell’Assunta, cioè tra 16 e 21 agosto 1310. Nel 1310 il capitolo generale fu tenuto proprio a Piacenza: convocato tra l’ottava dell’Ascensione, celebrato nella settimana di Pentecoste, 7-13 giugno 1310 (MOPH IV, 45/8-10; IV, 45-50). I dati si ricongiungono eccellentemente e si confortano a vicenda. A fine capitolo maestro Americo si trattiene in Piacenza, sua città natale. Giordano, sulla strada di Parigi per leggervi le Sentenze di Pietro il Lombardo in ordine al magistero in teologia, fa sosta a Piacenza, tappa obbligata lungo la via francigena per chi proveniva dalla Toscana attraverso monte Bardone (passo della Cisa: R. Stopani, Guida ai percorsi della via Francigena in Toscana, Firenze 1995; La Via Francigena. Una strada europea nell'Italia del Medioevo, Firenze 1996); lì, tra 16 e 21 agosto 1310, è colto dalla morte. Il maestro dell’ordine Americo assiste al trapasso.
Da settembre 1309 a maggio 1311 priore provinciale della provincia Romana era Remigio dei Girolami. Giordano l’aveva sostituito nel lettorato fiorentino (1303-1307 circa) quando maestro Remigio era stato chiamato a insegnare in San Domenico di Perugia, studium curiae perché la città perugina ospitava la curia romana. Alla decisione d’inviare Giordano a leggere le Sentenze in Saint-Jacques di Parigi in ordine al conseguimento del magistero in teologia, non poté essere estraneo Remigio; la presentazione del candidato spettava per costante tradizione al capitolo provinciale presieduto dal priore provinciale, ed era confermata dal capitolo generale o maestro dell’ordine. Al capitolo generale dei priori provinciali tenuto in Piacenza 1310 partecipò anche il provinciale Remigio. E in Piacenza, con tutta verosimiglianza, costui scrisse il 12 giugno 1310 la lettera alla confraternita San Pietro Martire di Milano.
■ Per lo studio di fra Remigio dei Girolami († 1319), Pistoia 1979, pp. 226-27; Un’introduzione alla filosofia in uno “studium” dei frati Predicatori del XIII secolo. “Divisio scientie” di Remigio dei Girolami, «Memorie domenicane» 12 (1981) 64-56.
Il provinciale e maestro Remigio, già molto avanti negli anni, preparava in fra Giordano il nuovo maestro in teologia per la provincia Romana. Morto Giordano, sarà il romano fra Matteo degli Orsini a succedere a Remigio nel magistero in teologia nella provincia Romana.
MOPH IV, 75/6-7; XXII, 135; «Archivum Fratrum Praedicatorum» 8 (1938) 28 n. 12, 30-31, 35, 63. J. KOCH, Die Jahre 1312-1317 im Leben des Durandus de Sancto Porciano O.P., in «Miscellanea F. Ehrle», vol. I (Studi e Testi 37), Città del Vaticano 1924, pp. 277-78. Ricordo che, prima dell'inflazione del magistero in teologia che prende il via nell'ultimo quarto del xiv secolo, i maestri in teologia sono soltanto eccezionalmente più d'uno in ciascuna provincia dell'ordine dei Predicatori: cf. W.A. Hinnebusch, The history of the dominican order, II, New York 1973, pp. 59, 65, 68-70.
Nuove congruenze temporali generano significati e rapporti storici prima insospettati.
«Vixit in ordine hic pater annis xxxj, cuius felicissimus transitus fuit M°ccc°xj° de mense augusti, infra octavas Sancte Marie matris Dei et virginis gloriose», dice la Cronica pisana (Pisa, Bibl. Cateriniana 78, n° 107, ed. 452).
Usavano contare, a quel tempo, anche l'anno di partenza; cosicché i 31 anni di vita religiosa di Giordano rispetto al decesso in agosto 1311 (stile cronologico pisano) riconducono all'anno 1281 (stile pisano). Giordano entra pertanto in religione tra 25 marzo 1281 e 24 marzo 1282; ridotto al nostro computo moderno (allora in vigore anche nel territorio del patrimonio di San Pietro!), Giordano entra in religione tra gli estremi massimi 25 marzo 1280 e 24 marzo 1281.
Minuscola precisazione: «Vixit in ordine hic pater annis xxxj» non specifica i due distinti atti legali "accepit habitum" e "suam professionem emisit". La sequenza di vestizione e poi di professione (= emissione dei voti) comporterebbe qualche anno di distanza. Più verosimile la prima ipotesi: "vestì l'abito religioso dell'ordine domenicano", ovvero "entrò in noviziato, visse in religione"; che digià implica vita religiosa. Vedi le procedure testimoniate nel Libro di vestizione e professione di San Domenico di Fiesole (1636-1761).
E l'anno di nascita? L'ignoro.